A Venezia si cammina sempre. L’inverno è incredibilmente umido e ti entra dentro come per non lasciarti mai. Le facciate dei palazzi, quelli più scoloriti, a volte sembrano piangere di una splendida malinconia. Succede poco nei primi mesi dell’anno qui, lo dicono i local, ma anche gli acquisiti. Si passa quindi il tempo rifugiandosi di bacaro in bacaro, tra cicchetti di baccalà e spritz, in palazzi d’arte e opere minori che in qualsiasi altro luogo potrebbero essere pubblicizzate in pompa magna e che qui, nel ventre dell’arte, sono la norma. Le grandi mostre di questi giorni sono ferme e si attende l’esplosione del Carnevale per ripartire.
Set Up, il festival prodotto da Palazzo Grassi per Punta della Dogana organizzato con la curatela di Enrico Bettinello e la collaborazione del festival lombardo Terraforma, si inserisce proprio in questo contesto del febbraio veneziano che – Carnevale a parte – è un momento transitorio per la città. Il festival infatti approda negli splendidi spazi espositivi di Punta della Dogana sfruttando il momento di pausa tra il disallestimento di una grande mostra e l’allestimento di quella successiva (in questo caso dalla personale di Bruce Nauman alla collettiva Icônes prevista ad aprile).
La peculiarità di Set Up è difatti il suo format site-specific, con i tre palchi che vengono a formarsi in dialogo con gli ambienti di Punta della Dogana, luogo dell’arte per eccellenza della laguna; una prima stanza, la Navata 1, è dedicata a performance e danza, il Cubo, lo stage a 360 gradi senza palco, è invece pensato per i set musicali più performativi mentre la Navata 2, che funge da main stage, è l’unica con un vero palco per concerti e dj set. Un approccio fluido che ha l’obiettivo di condurre il pubblico in un’esperienza il più possibile immersiva e libera.
Un’idea di immersione che si realizza, principalmente, all’interno del Cubo nel set ambient della dj e producer di origini norvegese-messicane Carmen Villain, dove il pubblico si muove attorno all’impianto, tra chi rimane in piedi ad ondeggiare e chi si sdraia a terra per lasciarsi trasportare dal viaggio, o nella performance Dancefloorensick di Riccardo Benassi, dove la techno rotonda dell’artista non è sola accessoria al ballo, ma diventa politica nella serie di video-essay dal tratto poetico e sociale che scorrono sul ledwall.
Quindi non solo musica, quella c’è – e tanto – con l’elettronica politica che affronta temi come appropriazione culturale, misoginia e razzismo di Charlotte Adigéry & Bolis Popul (che abbiamo intervistato qui), l’afro-barocco di Tolouse Low Trax, le batterie di Andrea Belfi e la performance naif dall’attitudine world e post-punk dell’ensemble svizzero formato da 12 componenti dell’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, ma anche danza, con le esibizioni di Leïla Ka e Mellina Boubetra, e performance con il già citato Riccardo Benassi e il teatro visivo di Marta Cuscunà qui in scena con Corvidae. Sguardi di specie, opera dedicata ai temi dell’ecofemminismo. E ancora il ballo, forte e inarrestabile, con i dj set ricercati di Nkisi e Deena Abdelwahed. Un pensiero che viene ben sintetizzato dalle parole del curatore Enrico Bettinello: «Set Up non è un festival musicale, non è un festival di danza e nemmeno di arti performative. È tutto questo, e di più».
Il «di più», viene da aggiungere, è anche ciò che un festival come Set Up porta alla città. L’importanza dei festival, e soprattutto quelli ben pensati anche a livello di calendario (che evitano problematiche di sovraffollamento e di competizione, generando nuove economie in momenti ‘morti’), è anche la capacità di avere una ricaduta virtuosa sul territorio, con l’arrivo di nuove persone e la nascita di una serie di attività collaterali (volute o meno poco importa) anche non collegate alla rassegna di per sé. È questa la forza generatrice della cultura, troppo spesso sottovalutata o, ancor peggio, dimenticata a favore della produzione spietata di grandi eventi che entrano ed escono dai territori senza lasciti.
Set Up è quindi, prima di tutto, un’ottima idea, che riflette sulla propria comunità omaggiando la propria città di residenza; una notizia davvero buona per Venezia. E poi ancora un ottimo festival con grandi margini di miglioramento – che con il fascino della propria location e una line up ricercata e transdisciplinare – è riuscito a segnare un doppio sold out in entrambe le serate, per di più in prevendita. Speriamo possa essere d’ispirazione per altre politiche culturali sane e virtuose, anche al di fuori della laguna.