Dopo il flop del primo album, Bowie trascorse un paio d’anni a cantare cover dei Velvet Underground con un gruppo rock di nome Riot Squad. Fondò anche un gruppo folk con la sua fidanzata Hermione Farthingale.
Parzialmente ispirato dal film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, scrisse una sorta di mini-musical di cinque minuti su un astronauta che fluttua nello spazio.
Space Oddity fu registrata nel giugno 1969 e uscì un mese dopo per approfittare dell’imminente sbarco sulla Luna. Era l’11 luglio 1969, cioè 51 anni fa esatti. Pochi mesi più avanti, il brano divenne una hit e un secondo album – intitolato, come il suo debutto, David Bowie – fu registrato per fargli da vetrina.
Il resto di Space Oddity rappresenta un Bowie in pieno hippie-folk mood: dai saluti all’amata Hermione con (Letter to Hermione e An occasional dream) al racconto di un festival all’aperto a cui partecipò nello stesso weekend di Woodstock (Memory of a free festival) fino alla presa di coscienza del fatto che, le ragazze, lo avrebbero preferito se si fosse tagliato i capelli (Unwashed and somewhat slightly dazed). «Non facevamo mai prove» disse il batterista John Cambridge. «Tutto doveva venire bene al primo colpo».
Intitolato Man of words/Man of music nell’edizione USA, inizialmente vendette poco. Ristampato dopo che Ziggy Stardust rese Bowie famoso, entrò in Top 20. «Musicalmente fu un disco terribile» confessò in seguito Tony Visconti.
L’album fu velocemente seguito da due singoli di scarso successo: The prettiest star con Marc Bolan dei T.Rex alla chitarra (e inciso nuovamente tre anni dopo in Aladdin Sane) e una nuova versione più dura di Memory of a free festival dove debuttò il chitarrista Mick Ronson che sarebbe diventato il principale sodale di Bowie. «Il suo modo di suonare la chitarra ci rapì completamente» ricorda Visconti. «Intuii che sarebbe diventato un guitar hero».