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Storia delle mattate di Kanye West

La schiavitù come scelta, gli slogan dei suprematisti bianchi, l’ossessione per gli ebrei, le scuse giusto in tempo per la pubblicazione di ‘Vultures’: cronologia delle uscite di un sedicente «libero pensatore» che crede di essere in missione per conto di Dio

Foto: Oliver Contreras/Pool/Getty Images

Kanye West non è il tipo che si pone dei limiti. Prima ancora del famigerato «death con 3 ON JEWISH PEOPLE» lo facesse bannare l’anno scorso da Twitter, ha indossato una t-shirt con la scritta “White Lives Matter” alla Settimana della moda di Parigi, facendo subito una pessima fama nell’ambiente. Dopo una serie di apparizioni pubbliche in cui ha ribadito idee antisemite e la teoria, ampiamente confutata, secondo cui la morte di George Floyd per mano della polizia di Minneapolis sarebbe stata causata da una dose letale di Fentanyl, pare che abbia “accettato” di acquistare Parler, la piattaforma di social media di estrema destra gestita dal marito dell’opinionista conservatrice Candace Owens. Fino a quando, pochi giorni fa, ha cercato di scusarsi col popolo ebraico dopo nuove esternazioni ancora più antisemite.

Le dichiarazioni di Ye seguono il modello tipico dell’escalation. In passato ha rilasciato lunghe interviste dai contenuti esplosivi in cui si vantava per lo più del suo genio impareggiabile. Altrettanto spesso si è spinto nel campo della retorica della cospirazione, senza rinunciare a commenti antisemiti. Nel 2013 è finito nell’occhio del ciclone per un intervento nel programma radiofonico Breakfast Club dove, parlando della sua visione del mondo, ha osservato che «i neri non hanno un network paragonabile a quello degli ebrei. I neri non hanno gli stessi agganci dei petrolieri. Non conosciamo nessuno che abbia una bella casa, nessuno così influente da cui puoi andare quando sei in difficoltà». In seguito ha ritrattato, definendo l’uscita un complimento mal riuscito. Non era la prima volta. Nel 2011, si è trovato nei guai per essersi paragonato a Hitler, durante un concerto, ricorrendo a una pessima analogia per spiegare quanto la gente lo odiava.

Anche nel pieno del successo commerciale degli ultimi vent’anni i suoi discorsetti sul palco sono stati parte integrante dello show. «Non sono una celebrità, sono un attivista», ha detto al New York Times nel 2015. «Sono scomodo perché quando vedo la verità per me è difficilissimo starmene zitto». Prima c’è stato il proclama in diretta tv nel 2005 durante un Telethon per le vittime dell’uragano Katrina in cui ha affermato che «George Bush se ne frega della gente di colore». E poi, naturalmente, il suo famigerato blitz contro Taylor Swift ai VMA nel 2009. Secondo alcuni, Ye si stava spendendo in difesa dei gruppi emarginati dal mainstream. Col passare del tempo, è diventato palese che la preoccupazione principale di Kanye raramente si concretizza in qualcosa di diverso dalla ricerca di potere e attenzione. Nel 2015 lo stesso artista che in passato si era speso sul tema, ha dichiarato che «il razzismo è un concetto datato».

Nonostante West abbia avuto almeno una diagnosi di disturbo bipolare e a dispetto della natura oltraggiosa dei suoi commenti, ha avuto modo di portare la sua retorica all’attenzione di un vasto pubblico grazie a podcast e programmi d’informazione. Proprio come il campionamento di Blades of Glory – Due pattini per la gloria che Ye ha utilizzato una decina d’anni fa per N****s in Paris, la hit tratta da Watch the Throne, i suoi commenti sembrano derivare in gran parte da arroganza e voglia di provocare. Saranno anche incitamenti all’odio, ma come si dice nel film «fanno impazzire la gente». Lo stesso Ye, recentemente, ha dichiarato la sua avversione alla lettura. Ai fanatici di destra desiderosi di strumentalizzarlo va benissimo così.

Analizzando il comportamento di Kanye dal 2016 in poi, si evince uno schema del tipo botta-e-risposta. Ecco come uno degli artisti più dotati dell’hip hop è caduto nel tranello da “pillola rossa”, tipica di chi crede a tutto ciò che trova su Internet. E non sembra avere alcuna intenzione di smetterla.

2016: il cappellino rosso

Poco dopo le elezioni del 2016, Kanye ha interrotto uno show a Sacramento dopo una lunga sfuriata in cui ha criticato Hillary Clinton e lodato Donald Trump. Dal pubblico, deluso, si sono levate forti grida di disapprovazione. È stato l’inizio della svolta pubblica di Ye verso il cristianesimo militante e la retorica di destra. Ha poi cancellato le date rimanenti del Saint Pablo Tour e, poco dopo, è finito in ospedale per una “emergenza psichiatrica”. Nel dicembre 2016, dopo il ricovero, Kanye è andato a trovare il Presidente neoeletto alla Trump Tower. Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti presenti nell’atrio dell’edificio che lui e Kanye erano «amici di vecchia data».

Foto: Timothy A. Clary/AFP/Getty Images

2018: la schiavitù è una scelta

«Penso che le sfuriate siano un segno di coraggio», ha detto Ye dopo essersi conquistato altri titoli di giornale con una serie di dichiarazioni provocatorie. «Ne avevo abbastanza della politica… il coraggio è più importante della perfezione. Il sentimento è più importante del pensiero».

Non è strano che l’artista e sedicente libero pensatore sia rimasto affascinato dalle teorie della commentatrice conservatrice Candace Owens, il cui lavoro con il gruppo Turning Point USA si concentrava sulle supposte tensioni culturali che covavano nei campus universitari. Essendo lei una delle poche voci conservatrici di colore, non è difficile immaginare quali chiavi di ricerca possano aver portato i suoi video nel feed di Kanye. Nell’aprile del 2018, Ye ha twittato di adorare «il modo di pensare di Candace Owens». Poco dopo, durante una visita agli uffici di TMZ con Owens, Kanye ha affermato in modo insensato che la condizione di schiavitù, in America, era una scelta per le persone che ne erano state vittime. «Sentiamo parlare di schiavitù da 400 anni… 400 anni? Sembra una scelta».

Owens è diventata una presenza fissa, nell’orbita di Kanye, tanto da chiedere a Ye di disegnare il merchandise per la sua campagna Blexit che incoraggiava gli elettori neri ad abbandonare il Partito Democratico. Owens ha confermato la notizia a Page Six dicendo che «ho la fortuna di poter dire che questo logo, questi colori, sono stati creati dal mio caro amico e collega supereroe Kanye West». Ha poi smentito, scrivendo in un comunicato che «non ho mai detto che Kanye ha disegnato le magliette per Blexit e vorrei scusarmi pubblicamente per qualsiasi stress o problema che l’impegno per smentire questa voce può avere causato a lui, ai suoi rapporti di lavoro o alla sua famiglia» (anni dopo, nel 2022, l’influenza di Owens su Ye si sentiva ancora: l’idea che la morte di George Floyd sia stata causata dai farmaci e non da una cattiva condotta della polizia è una notizia falsa tratta dal di lei documentario The Greatest Lie Ever Sold: George Floyd and the Rise of BLM).

Nel frattempo, la stampa ha riportato notizie sulla salute mentale di West e lui ha raccontato a TMZ di non essere soddisfatto dei farmaci che gli sono stati prescritti: «Vogliono che prenda queste pillole tre volte al giorno, ma io ne prendo una, forse due a settimana. Mi avete fatto spaventare di me stesso, di ciò che penso. Così ho preso delle pillole per non finire in ospedale e dimostrare così che tutti avevano ragione. Siamo drogati! Seguiamo le opinioni degli altri. I media ci controllano. Ma da oggi cambia tutto».

2019: King Nebuchadnezzar

Nel 2019 sembrava che le buffonate di Kanye si potessero in qualche modo imputare alla sua nuova fede ferventissima. Ha lanciato il Sunday Service Choir e ha messo in scena un’opera intitolata Nebuchadnezzar all’Hollywood Bowl; nella Bibbia, Nabucodonosor è un re babilonese che ha sconfitto gli ebrei, dando inizio a un lungo periodo di cattività per loro. «Gesù ha vinto perché ora il più grande artista che Dio abbia mai creato lavora per lui», avrebbe detto West, in quel periodo, nella megachiesa di Houston gestita da Joel Osteen.

2020-2022: contro Kim e Pete

Tra la fine del 2020 e l’inizio dello scorso anno hanno preso a circolare voci su una fine imminente del matrimonio di Kanye con Kim Kardashian (con cui ha quattro figli). Le reazioni alla separazione della coppia dilagavano sui social, mentre i post di Kanye sul conto di lei si facevano sempre più insistenti e specifici. Ye ha pubblicato due album con testi che facevano esplicito riferimento alla separazione e nel 2022 ha condiviso un video per il singolo Eazy in cui lo si vede uccidere una rappresentazione animata dell’allora fidanzato di Kim, Pete Davidson.

In una raffica di post risalenti allo scorso febbraio, Kanye ha iniziato a criticare pubblicamente Kim per aver permesso alla figlia di apparire nei suoi video su TikTok. Per alcune settimane Kanye ha attizzato la polemica, postando screenshot e insulti che a molti commentatori sono parsi tipici del comportamento di un partner violento. Ye ha usato la stessa tattica nelle sue liti con i colossi Adidas, Gap e JP Morgan.

Tra i pochi a schierarsi dalla parte di Kanye durante l’offensiva contro la madre dei suoi figli c’è stata la vecchia amica Candace Owens, che ha scritto su Twitter: «Kim si sbaglia su questo punto… in realtà Kanye sta cercando di proteggere la figlia e Kim sta facendo passare questa cosa per “ossessione” e “volontà di controllo”».

2022: White Lives Matter

Durante la presentazione parigina della Yeezy Season 9, Ye ha indossato una t-shirt con una foto di Papa Giovanni Paolo II davanti e la frase “White Lives Matter” sul retro. «Abbiamo cambiato il panorama della moda negli ultimi dieci anni. Noi rappresentiamo la strada. Siamo la cultura», ha detto. «E quando si tratta di cultura, io sono Ye e tutti sanno che sono il leader».

Il mondo della moda non ha tardato a mettere in croce Kanye, e molti commentatori hanno criticato la copiatura sciatta di una frase in voga negli ambienti dei suprematisti bianchi. Ye ha criticato aspramente la veterana redattrice di moda Gabriella Karefa-Johnson che ha descritto la maglietta come un «gesto incredibilmente irresponsabile e pericoloso» e ha affermato senza alcuna prova a sostegno che la multinazionale LVMH sarebbe in qualche modo collegata alla morte di Virgil Abloh. «Non è ammissibile che tu strumentalizzi la morte di Virgil per la tua campagna vittimistica», ha scritto su Instagram Tremaine Emory, direttore creativo di Supreme.

Kanye ha poi rilanciato il concept della maglietta, annunciando di voler distribuire gratuitamente le t-shirt nel distretto di Skid Row e si è lanciato in quella che è in buona sostanza una corsa all’attenzione della stampa in cui ha parlato di odiose teorie della cospirazione legate a ogni tema, dal presunto controllo ebraico dell’industria dello spettacolo e dello sport fino a Pete Davidson e l’ex moglie («Ho appena visto che su TMZ hanno detto che Pete Davidson e Kim fanno sesso vicino al camino per onorare la nonna. È roba da sionisti ebrei»). Durante un’intervista con il conduttore di telegiornale Chris Cuomo, ha cercato di coprire con dei «la la la!» bambineschi la voce di Cuomo che spiegava pacatamente la definizione di antisemitismo. È una buona fotografia di quello che è stato il più grande problema di Kanye negli ultimi dieci anni di carriera: ama il suono della sua voce più di ogni altra cosa al mondo e non gli importa di nessun altro.

2023: le scuse (più o meno)

West ha trascorso la maggior parte del 2023 intento ad applicare la sua personalissima versione della teoria della riduzione del danno (che, in realtà, assomiglia molto a fare ancora altri danni). Dopo che marchi come Balenciaga e Adidas hanno tagliato i ponti con lui a causa delle sue esternazioni antisemite, nel dicembre 2022 è stato bandito da X (ex Twitter) per aver postato, tra le altre cose, l’immagine di una svastica intrecciata con una stella di David e aver pubblicato alcuni messaggi privati tra lui e l’amministratore delegato di X, Elon Musk. «Ha nuovamente violato il nostro divieto di incitamento alla violenza», ha twittato Musk all’epoca. «L’account sarà sospeso» (Musk ha poi cambiato idea: Ye è stato riammesso in X nell’estate del 2023).

A marzo 2023, West è riemerso dopo una breve pausa dai social media per postare su Instagram che guardare Jonah Hill in 21 Jump Street gli ha «fatto tornare simpatici gli ebrei»; e ha aggiunto, articolando quella che forse è la sua idea di scuse per i commenti antisemiti, che «nessuno dovrebbe prendere la rabbia contro uno o due individui e trasformarla in odio verso milioni di persone innocenti». La gente non era (giustamente) convinta: il post ha suscitato clamore e lui è stato temporaneamente sospeso da Instagram.

Nei mesi successivi, Ye si è preparato tranquillamente per il ritorno sotto ai riflettori, facendo un’ospitata nel tour di Travis Scott e causando per un breve periodo un certo fermento nei tabloid per alcune foto NSFW che lo ritraevano con la sua fidanzata di allora, Bianca Censori, scattate dai paparazzi durante un giro a Venezia. Nell’autunno del 2023 ha annunciato l’uscita del suo nuovo album con Ty Dolla Sign Vultures pubblicando la title track in cui rappa: “Ma come sono antisemita, mi sono appena scopato una troia ebrea”. A quanto pare, rendendosi conto che questa esternazione non costituiva una difesa né un atto di scusa, il 26 dicembre ha pubblicato su Instagram una dichiarazione diretta alla comunità ebraica, scritta in ebraico (una lingua che, si noti, la maggior parte della popolazione ebrea mondiale al di fuori di Israele non parla).

«Mi scuso sinceramente con la comunità ebraica per qualsiasi “effetto indesiderato” causato dalle mie parole o azioni», ha scritto secondo la traduzione fornita da Google Translate. «Non era mia intenzione ferire né offendere e mi dispiace profondamente per il dolore che posso aver causato. Mi impegno a lavorare su me stesso e a imparare da quanto accaduto per garantire una maggiore sensibilità e comprensione, in futuro. Il vostro perdono è importante per me e mi impegno a fare ammenda e a promuovere l’unità».

Resta da vedere se la comunità ebraica accetterà le sue scuse o, cosa forse più importante dal punto di vista di Ye, se qualcuno lo perdonerà a tal punto da comprare Vultures quando uscirà a gennaio.

Da Rolling Stone US. Ha collaborato EJ Dickson.

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