La sua frase «darei ragione a Piotta, perché stabilire la percentuale del romanesco e dell’italiano è molto difficile» è un passaggio chiave del dibattito seguito all’esclusione di ‘Na notte infame dalla categoria degli album in dialetto delle Targhe Tenco 2024. Pubblicata lo scorso venerdì da Adnkronos, l’intervista ha segnato un importante punto a favore del cantante e rapper romano che pensa che il suo disco sia stato escluso ingiustamente dalla categoria. Il Tenco ha replicato che, affinché vi rientri, il numero di canzoni in dialetto sul totale deve superare il 50% e non è questo il caso di ‘Na notte infame. La vicenda, com’è noto, è finita nelle mani degli avvocati.
L’opinione in questione conta perché è autorevole. La frase riportata da Adnkronos è infatti di Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, docente di Linguistica italiana all’Università Roma Tre e co-autore con Claudio Giovanardi del Vocabolario del romanesco contemporaneo. Nella stessa intervista, D’Achille afferma che «è difficile dire se una parola è romana perché anche l’italiano se ne è appropriato» e che quindi «il Club Tenco ha utilizzato un criterio che, probabilmente, nel caso del romanesco andava temperato». Oggi, scriveva Piotta, «colui che è il Professore in materia, il luminare Paolo D’Achille, professore di Storia della lingua italiana, Linguistica italiana e Dialettologia italiana nel Dipartimento di Studi Umanistici, e Presidente dell’Accademia della Crusca dice che ho ragione io».
La verità è che D’Achille non ha ascoltato ‘Na notte infame prima di parlare con Adnkronos e quindi non può, né vuole entrare nel merito del numero di canzoni in romanesco e in italiano contenute nell’album, che è il criterio indicato dal Tenco per l’inclusione e l’esclusione dalla categoria. «Io però l’ho dichiarato subito che non avevo sentito il disco», mi dice al telefono. Per qualche motivo, però, nell’articolo di Adnkronos disponibile online e consultabile qui non si specifica che D’Achille non ha mai sentito il disco.
«Io ho detto che è difficile stabilire una percentuale rigida di italiano e dialetto, sì, ma nell’ambito di una singola canzone, non mi riferivo affatto al numero di canzoni all’interno di un album. È chiaro che è tutto diverso se il distinguo è tra una canzone in italiano e una canzone in dialetto».
A questo punto, dice D’Achille, «avrei voglia di sentire il disco», cosa che non ha ancora fatto. «Potrei aggiungere qualcosa solo dopo averlo ascoltato», ma al momento «non posso entrare nel merito e dire se ha ragione l’uno o l’altro». Leggendo l’articolo di Adnkronos si poteva pensare che si esprimesse in base a quel che aveva ascoltato. «Francamente non sarei mai entrato nel merito, non do pareri legali, era una semplice intervista, non sono tenuto a documentarmi più di tanto», ovvero a sentire 38 minuti di musica prima di rispondere alle domande di un giornalista. Con Adnkronos «ho parlato in generale». Sul numero di canzoni nell’una o nell’altra lingua, ribadisce, «non posso esprimermi, non le ho sentite. Quando ho fatto l’intervista non ho preso neppure in considerazione che la questione fosse relativa al numero di canzoni: se così fosse, non sarebbe un problema di linguistica. Non dovrei neanche essere interpellato».
Anche considerando che, come mi dice D’Achille, «tra romanesco e italiano c’è un continuum ed è difficile dire qui inizia e qui finisce il romanesco», e quindi considerando come dialettali tutte le canzoni che lo sono almeno in parte, ascoltando ‘Na notte infame il conto è presto fatto. Ci sono quattro canzoni in romanesco su undici, quindi meno del 50% del totale. A meno che non mi sfugga qualche altro aspetto, l’esclusione mi pare quindi corretta. ‘Na notte infame non avrebbe mai dovuto essere candidato in quella categoria.
I problemi delle Targhe Tenco sono semmai altri. L’augurio è che, una volta chiarita questa questione, li si possa finalmente affrontare. Quelli che nascono dalla vicenda di ‘Na notte infame sono almeno quattro. Il primo: possibile che un’istituzione come il Tenco non abbia le risorse e/o la volontà di supervisionare la votazione e quindi invitare a correggere eventuali candidature e voti sbagliati? Nel caso specifico, avvisare lo staff dell’artista che il disco è stato candidato nella categoria sbagliata ed eliminarlo prima che i giurati lo possano votare. E avvisare gli stessi giurati qualora votino un album fuori categoria, ad esempio uscito in un periodo dell’anno diverso da quello preso in considerazione della Targhe (vi assicuro che succede).
In secondo luogo, perché il regolamento è così vago e lascia ampi margini discrezionali al Tenco? Al passaggio secondo cui gli album in dialetto «devono contenere almeno la metà dei brani che siano afferenti alla categoria nella quale concorrono» è aggiunto un «salvo casi particolari da valutare di volta in volta» che abbinato a «per qualsiasi controversia o dubbio, la decisione finale e insindacabile è del Direttivo del Club Tenco» apre la porta a infinite polemiche.
Il terzo problema è l’opacità: perché non vengono resi noti alla fine del processo il numero dei voti ricevuti da ogni singolo disco/canzone e le preferenze espresse dai singoli giurati? Farlo renderebbe le votazioni trasparenti e inattaccabili. Si allontanerebbe il dubbio che possano essere manipolate per favorire questo o quel candidato. Infine, perché le Targhe Tenco, che hanno una storia lunga e prestigiosa, non sono nelle mani di una giuria più qualificata che può votare con una maggiore conoscenza della materia?
È un punto fondamentale. L’elenco dei giurati è disponibile a questo link (è stato aggiornato il 2 luglio, deduco che c’è stato qualche cambiamento dopo lo scoppio della polemica). Contiene giornalisti più o meno attivi, attori, gente dello spettacolo. Si tratta di circa 300 giurati che in molti casi (ho chiesto anni fa la cancellazione della giuria proprio per questo motivo) non hanno ascoltato un numero sufficiente di dischi italiani per esprimere un parere fondato e autorevole. Parere che spesso, specialmente nelle categorie considerate meno importanti, viene espresso velocemente, senza grande cura, basandosi sui pochi nomi noti e sulle informazioni parziali a propria disposizione.
Per ora non ci sono risposte: la mia richiesta di intervista a un membro del direttivo del Tenco non è stata soddisfatta.