È fragile e instabile la voce di Franco Battiato nel nuovo singolo Torneremo ancora. Sembra costantemente sul punto di rompersi. Il timbro sicuro e trasparente d’un tempo e il canto che evocava mondi lontanissimi sono sostituiti da un eloquio tremante che rende emozionante una canzone altrimenti ordinaria per gli standard dell’artista.
Inclusa nell’album dal vivo a cui dà il titolo, Torneremo ancora è un pezzo sull’universalità della migrazione, come ha detto a Rolling Stone il co-autore Juri Camisasca: «Siamo tutti migranti fin quando non torneremo a casa alla nostra dimora ultima, come ci insegnano diverse religioni e discipline, a partire da quelle orientali». Si canta il punto di vista di chi crede che «nulla si crea, tutto si trasforma» e che «la vita non finisce, è come il sogno».
L’introduzione strumentale, con quelle note di piano ascendenti armonizzate dalla Royal Philharmonic Concert Orchestra, invita a guardare verso l’alto. L’artista ha cantato la sua parte nel 2017, gli archi sono stati registrati quest’anno con la direzione di Carlo Guaitoli. E insomma, questa canzone senza ritornello, fuori moda e fuori dal tempo potrebbe essere l’ultimo inedito di Franco Battiato che sentiremo, ma non è il suo testamento, non è il messaggio definitivo che l’artista ci vuole lasciare. Tutt’altro: è una canzone come tante, inizialmente offerta ad Andrea Bocelli, non stonerebbe in una mezza dozzina d’altri dischi dell’artista.
Torneremo ancora è un pezzo sulla mortalità. In alcuni passaggi, come «i migranti di Ganden in corpi di luce su pianeti invisibili», a noialtri cinici può far venire in mente una parodia. Ma quando Battiato canta le ultime parole, quel «torneremo ancora ancora e ancora» e la voce s’incrina, il pezzo svela la sua natura: racconta l’ultima migrazione dello spirito con la fragilità propria della condizione umana.