Non ricordo come si è finiti a parlarne. Rammento perfettamente l’«hello» burlesco col quale s’è presentato al telefono, il tono sardonico di certe risposte, il modo in cui mi disse che un aggettivo che avevo usato, nice, era roba da nonnetta che parla della sua torta. Come ci siamo arrivati non so dirlo, fatto sta che a un certo punto John Lydon m’ha parlato della moglie Nora Forster. Era il 2015, tre anni prima che si scoprisse che la donna è affetta da Alzheimer. «Non so se sopravvivrei alla morte di Nora».
La frase m’è tornata in mente ascoltando Hawaii, il singolo che Lydon ha pubblicato due giorni fa coi Public Image Ltd e col quale cercherà di partecipare all’Eurovision Song Contest 2023 in rappresentanza dell’Irlanda (aveva già espresso il desiderio di prendere parte alla competizione nel 2017). Per qualcuno, la partecipazione dell’uomo di Anarchy in the UK all’eurobaracconata è una provocazione, per altri l’ennesima prova del fatto che Lydon è un venduto. A me sembra una di quelle cose che tutto sommato ci si aspetta da uno che s’è sempre gettato con entusiasmo nella cultura pop del suo tempo, a volte arrivando persino a influenzarla.
Il punto però è un altro e cioè che Hawaii parla di John e Nora pur non essendo una canzone d’amore tradizionale. È un pezzo singolare, specie per i PIL. Lo senti distrattamente e passi oltre, pensando che i Public Image non son più quelli d’una volta (cosa peraltro vera). Lo ascolti con attenzione e capisci: Hawaii è una canzone spudoratamente senile sulla vita e l’amore. È emotivamente potente, anche se non sembra. Pare la cartolina d’una vacanza alle Hawaii, e in parte lo è, ma ha il tono sognante di chi evoca un ricordo dolce e allo stesso tempo quello arreso di chi canta la vita che svanisce, sì, ma con tenerezza.
Si galleggia sulle onde di questa canzone al cui centro ci sono la memoria e l’idea di esserci, qui e ora, cose fondamentali quando si parla d’una persona affetta da Alzheimer. È un pezzo sull’amore come ultima barriera che separa dalla morte. «È dedicata a chiunque stia attraversando un periodo difficile con la persona a cui tiene di più», ha scritto Lydon nel presentare Hawaii. «Porta anche un messaggio di speranza: alla fine l’amore vince su ogni cosa».
Chi l’avrebbe detto, anni fa, che il protagonista dell’ultima grande storia d’amore rock sarebbe stato il cinico, spietato, buffonesco John Lydon, il grande contrarian della cultura popolare britannica, il giullare del post punk, specchio deformante delle nostre miserie?
John e Nora si sono incontrati nel 1975 nel negozio di Malcolm McLaren. Lui non era nessuno, lei la figlia dell’editore del tedesco Das Tagesspiegel. Non un’ereditiera coi soldi di papà, assicura Lydon, ma la discendente ribelle d’un piccolo führer con cui lui non ha mai parlato («mi odiava»). Forster, che ha 14 anni più di Rotten, faceva parte da tempo della scena londinese. Aveva già una figlia, Ari Up, che poco dopo avrebbe fondato le Slits. La gente diceva a Nora di «non parlare con Johnny, che è tremendo». Lei ovviamente l’ha fatto e non si sono più lasciati.
«Non è ci siamo avviati a tempo di valzer verso la volta celeste del romanticismo», scrive Lydon nel libro autobiografico Anger Is an Energy. Come dire: questa è una storia d’amore punk. «Ci sono state un sacco di discussioni accese, che però ci hanno fatto conoscere vicendevolmente per quello che siamo, esseri umani». Dirsi di tutto e ridere assieme: per i due funziona da quasi 50 anni e un motivo ci sarà. Dieci anni fa, ritirando l’Icon Award assegnatoli dal ramo londinese della Broadcast Music Incorporated, Lydon s’è girato verso Nora e le ha chiesto «ma come fai a sopportarmi, tu?». E lei ha risposto «perché sono anch’io stupida». È una delle poche persone per le quali Lydon si lava più assiduamente i denti.
Trovando le storie da una notte vacue, noiose e ripetitive, o almeno così scrive, Lydon cercava qualcosa di più duraturo e l’ha scovato in Forster, che l’ha accettato com’era, warts and all. «Lei conosce i miei dolori d’infanzia e io i suoi, son cose che non confessi nemmeno agli amici più stretti». Quando si trasferisce a New York da solo nonostante le tentazioni resta fedele alla sua punk mummy warrior essendo lui «in cerca di relazioni stabili». La descrive come una donna che pare uscita da un film anni ’40, con una sua eleganza austera ma sensuale in un mondo di hippie «coi lunghi vestiti a fiori e le infradito». Sposati dal 1979, non hanno potuto avere figli, ma hanno cresciuti i nipoti (vale a dire i figli di Ari Up, che chiama Lydon granddad). Non che lui se ne rammarichi: i figli sono bellissimi purché non siano tuoi.
Due anni e mezzo fa Lydon ha raccontato com’è diventata la sua vita da quando alla moglie è stato diagnosticato l’Alzheimer. «Sta peggiorando». E non migliorerà. È una condizione che in parte conosce avendo perso momentaneamente la memoria a causa della meningite quand’era bambino. Ripete spesso che per un fatto che spiazza anche i medici la donna continua a riconoscerlo, sempre. «Mi basta guardarla negli occhi e quand’è pronta a farlo lei mi ritrova ed eccoci di nuovo assieme», ha detto di recente al Guardian. L’importante è «non farla sentire sola, che è la sensazione peggiore».
Col passare degli anni, Lydon ha raccontato pezzi della sua storia con Nora anche nelle canzoni. L’ha fatto in modo decisamente strano, ad esempio in Grave Ride, che ha pubblicato come solista, in cui ha utilizzato la guerra (all’epoca in Bosnia) come metafora d’una distanza tra i due che risulta insopportabile. E l’ha fatto in modo buffo in Double Trouble dei PIL, dove canta un litigio con la moglie circa la tazza del water da riparare, un pretesto per spiegare che si vive bene solo tirando fuori tutto, dicendosi tutto, anche sbraitandosi addosso.
«Nora ed io qui siamo e qui resteremo», scrive nel libro dove s’immagina di morire assieme, perché il pensiero che se ne vada prima lei è insopportabile. Nell’intervista che gli feci, mi disse che lui e Nora avevano sfiorato la morte assieme almeno due volte, in un incendio che aveva interessato la loro abitazione in California e quando non sono saliti per puro caso sul volo Pan Am 103. Era il dicembre 1988, Nora s’era attardata a fare i bagagli e perciò avevano perso l’aereo. Il Boeing che avrebbero dovuto prendere è stato fatto esplodere sopra Lockerbie uccidendo 259 persone a bordo e 11 a terra.
E perciò c’entrava Nora quando Lydon ha partecipato al reality inglese I’m a Celebrity… Get Me Out of Here! e ha dato fuori di matto, uscendo anzitempo. Dopo Lockerbie, è in apprensione ogniqualvolta la moglie prende un aereo. La produzione non voleva dirgli se la donna era atterrata sana e salva in Australia, dove si stava svolgendo il programma e perciò lui se n’è andato. Ovviamente Nora stava bene. Era un po’ era delusa, ma ha capito. Il padre di lui invece era arrabbiato: aveva scommesso dei soldi sulla vittoria del figlio.
C’entrava Nora anche con la partecipazione di Lydon all’edizione americana del Cantante mascherato. Dentro al vestito del Jester c’era l’uomo dei Sex Pistols e dei PIL. Ovviamente gli sono piovute addosso critiche d’ogni tipo. Lui ha spiegato che l’ha fatto per amore, che c’è andato per tirare su il morale alla moglie. La ricompensa più grande è stata quando guardando la tv Nora l’ha riconosciuto e ha detto: «Johnny, ma sei tu». Sentirglielo dire in quel mondo è stata per Lydon «una delle esperienze più belle della mia vita».
Rendersi ridicoli di fronte a cinque milioni di spettatori solo per strappare un sorriso e un attimo di lucidità alla persona a cui tieni di più, con cui sei sposato da oltre 40 anni, la cui coscienza di sé piano piano sta svanendo. Se non è perseveranza, se non è devozione, se non è amore questo.