«Brutto maiale, come ti sei permesso di fare una cosa del genere a un Rolls-Royce?!». È l’estate del 1967 e una signora inglese urla all’indirizzo di John Lennon che scorrazza a bordo della sua Phantom V su Piccadilly. La limousine è personalizzata d’un colore giallo elettrico con disegni floreali sgargianti, decorazioni Rom, simboli zodiacali, manco fosse parte d’allucinata carovana di zingari. La signora è talmente offesa dalla vista che cerca di colpire l’auto con l’ombrello, o almeno così dirà Lennon.
Un po’ come i capelli a caschetto dei primi Beatles, la Rolls è per Lennon un modo per esprimersi e scatenare lo scontro generazionale, facendo infuriare chi lo accusa d’avere rovinato un’icona britannica. «Immagino la signora abbia pensato: “Ma come ti permetti? Questa è una di quelle cose che non si possono fare!!», racconta Giles Taylor, design director della Rolls-Royce. «È come fare dei graffiti su Buckingham Palace. Si tocca il nervo scoperto dell’eleganza britannica, dell’educazione britannica, delle buone maniere britanniche».
Ne è passato di tempo da quando la vista della Rolls-Royce Phantom V di Lennon faceva indignare l’establishment. Oggi l’auto è considerata un capolavoro di design e un gioiellino degli Swinging Sixties. «È arte», assicura Taylor parlando della Psychedelic Rolls. «Lennon ha preso un’auto associata alla ricchezza e all’immaginario che all’epoca le Rolls-Royce si portavano dietro e l’ha usata come una tela. Lui era un anticonformista e questa era una classica dichiarazione artistica».
Lennon ha comprato la sua prima Rolls di seconda mano, marrone e nera, nel luglio del 1964 per fare la spola fra Londra e Kenwood, la tenuta nel villaggio rurale di Weybridge, nel Surrey, che aveva appena comprato. A dicembre decide di passare a un’auto all’altezza del suo status ordinando il modello più esclusivo (leggi: più costoso) di Rolls-Royce. «Pare che volesse superare il suo manager, Brian Epstein», dice Lorne Hammond, curatore del Royal British Columbia Museum in Canada che possiede l’auto dal 1993. «Nel 1964 Brian andò a prendere i Beatles all’aeroporto con una Bentley nuova, prova materiale del loro successo. La scelta di John di una Phantom V dimostrò alla gente di Liverpool, a tutta Londra e al mondo intero che ce l’aveva fatta. Aveva comprato quella che veniva considerata l’auto migliore del mondo con tutti gli optional e gli extra possibili. Ha qualcosa di umoristico la scelta di volersi piazzare un gradino sopra il suo manager».
Ha qualcosa di ironico il fatto che, quando spende tutti quei soldi, Lennon non è in grado di guidare la Phantom V. Supererà l’esame di guida il 15 febbraio 1965, all’età di 24 anni, l’ultimo Beatle a prendere la patente. «Non me ne ero mai preoccupato più di tanto perché guidare non mi interessava, ma quando gli altri l’hanno presa ho pensato che non volevo rimanere indietro», disse all’epoca. Prende la patente il giorno in cui i Beatles iniziano a lavorare su Ticket to Ride, un titolo profetico alla luce del numero di multe che Lennon accumulerà. Dicono tutti, lui compreso, che era un pessimo guidatore, che non era in grado di vedere bene i segnali stradali per via della miopia, che era troppo distratto per ricordarsi le strade e incapace di risolvere anche il più elementare problema meccanico.
Un gran numero di parafanghi viene risparmiato quando Lennon assume una guardia del corpo gallese, un omone di un metro e novanta di nome Les Anthony che gli fa anche da autista. Sempre disposizione per 36 sterline alla settimana, indossa un berretto da autista ogni volta che «Mr. Lennon» chiama. È probabile che sia lui ad andare a prendere la Phantom V il 3 giugno 1965 alla R.S. Mead. Targata FJB 111C, è lunga quasi sei metri e larga due, per un peso di quasi tre tonnellate. La carrozzeria, non ancora decorata, è di un colore definito Valentine Black. «Era tutta nera, pure le ruote», ha detto Anthony. «L’unica parte cromata era il radiatore. Mi disse che avrebbe voluto pure quello nero, ma alla Rolls non volevano».
La Phantom V è mossa da un motore V8 da 6,23 litri, gli interni sono in pelle nera, il mobile da cocktail ha finiture in legno pregiato, ospita un tavolino da scrittura, lampade da lettura, un set di valigie in pelle nera per due e una tv portatile Perdio. Nel bagagliaio è sistemato un sistema di refrigerazione perfetto per mantenere in temperatura lo champagne o, più spesso, la cola da mischiare con lo scotch. La caratteristica più insolita è rappresentata dai finestrini dei passeggeri realizzati in vetro oscurato Triplex Deeplight. È una delle prime auto in Inghilterra a essere dotata di vetri oscurati per proteggere i passeggeri da sguardi indesiderati. Più che mantenere la privacy, Lennon li apprezza perché gli permettono di vivere in una sorta di discoteca mobile che non ha orari di chiusura. «La gente pensa che i finestrini neri servano a nascondersi. In parte è così, ma servono anche quando si torna a casa tardi», disse nel 1965. «Arrivi che è giorno, ma all’interno dell’auto è ancora buio, basta tirare su i finestrini per sentirsi ancora in un club».
In quelle prime ore del giorno, mentre viene riaccompagnato a casa dal’Ad Lib Club o dallo Scotch of St. James, Lennon prova piacere nel sapere che sta viaggiando nella stessa auto del suo eroe Elvis Presley. Ma il Re del Rock non era l’unico “reale” ad apprezzare la Phantom V. Sia la Regina Elisabetta II che la Regina Madre l’hanno usata come veicolo ufficiale di Stato, confondendo qualche volta i fan dei Beatle. E chissà che non se ne sia parlato quando i Fan Four hanno portato la Phantom di Lennon a Buckingham Palace il 26 ottobre 1965, per ritirare l’MBE da Sua Maestà.
A dicembre 1965, una semplice manutenzione si trasforma in un’importante occasione di revisione. Lennon presenta sette pagine di modifiche da apportare al costo di 1900 e passa sterline. La spesa trasforma l’auto di lusso in una sorta di shag-wagon alla Austin Powers, a partire da un sedile posteriore modificato che si trasforma in letto matrimoniale, con posacenere sovradimensionati aggiunti ai braccioli. La musica passa da modernissimo giradischi Philips Auto-Mignon AG2101 “galleggiante” ovvero dotato di un ingegnoso sistema di sospensione che impedisce alla puntina di saltare quando l’auto è in corsa. Vengono aggiunti anche un lettore di cassette Philips in un mobile appositamente costruito e un radiotelefono Sterno raggiungibile al numero WEYBRIDGE 46676. «Gli impianti per il telefono e le batterie erano talmente grandi che occupavano quasi tutto il bagagliaio», ha ricordato Dot Jarlett, la governante di Lennon. «John fece anche cambiare il clacson in modo che riproducesse le note di Lilli Marlene».
Viene migliorato anche l’impianto televisivo passando a un più moderno Sony TV 9-306 UB, ma la ricezione è difficoltosa e funziona raramente. L’intrattenimento preferito da Lennon è il sistema di diffusione sonora “loud hailer”. Altoparlanti montati nei parafanghi delle ruote anteriori consentono agli occupanti di comunicare col mondo esterno tramite un microfono. «Potevi chiedere alla gente di attraversare la strada un po’ più velocemente, il che li spaventava a morte», ha raccontato Tony King, collaboratore dei Beatles. L’impianto stereo dell’auto può anche essere ridirezionato agli altoparlanti esterni. Lennon si diverte a diffondere registrazioni con effetti sonori di treni e motori a reazione per confondere i passanti.
Pure gli altri Beatle sono coinvolti in queste (dis)avventure automobilistiche. «Finite le session, saranno state le 2 o le 3 del mattino, attraversavamo i villaggi sulla strada per Weybridge, gridando “wey-hey” e guidando troppo velocemente», ricorda Paul McCartney nell’Anthology. «Forse George era a bordo della sua Ferrari, guidava troppo velocemente, mentre John e io lo seguivamo sulla Rolls-Royce. Aveva un microfono con un altoparlante all’esterno e gridava a George che ci precedeva: “È sciocco resistere, è sciocco resistere! Accosta!”. Che follia. Al nostro passaggio si accendevano le luci delle case, immagino che la gente si spaventasse».
Nessuno è al sicuro, nemmeno i membri della loro cerchia. «Ero ad Hyde Park, di ritorno da casa di John con la sua Rolls-Royce con autista. … Stavamo attraversando il parco e davanti a noi c’era la Austin Princess di Brian Jones», ha detto McCartney al biografo Barry Miles. «Riuscivamo a vedere il suo grande cappello sopra i capelli biondi, fumava nervosamente sui sedili posteriori. John ha preso il microfono e ha detto: “Accosti immediatamente! Brian Jones! Lei è in arresto! Accosti subito!”. Brian pensava davvero di essere stato arrestato. Si stava cagando addosso! Poi ha capito che eravamo noi che lo mandavamo affanculo dal finestrino dell’auto».
Nel 1966, Lennon usa ancora di più l’auto facendo oltre 30 mila chilometri. Quando in autunno va per sei settimane in Spagna a girare il film di Richard Lester Come ho vinto la guerra chiede ad Anthony di raggiungerlo facendo il viaggio di oltre 2000 chilometri con la Phantom V. «Eravamo ad Almería, un posto con un sacco di sabbia, e i bambini del posto scrivevano “el Beatle” sulla carrozzeria», ricorda Anthony. La grande berlina non passa inosservata nella città di provincia e si guadagna presto il soprannome di El Funebre, il carro funebre.
Le riprese, che possono iniziare anche alle 6 di mattina, sono noiose per Lennon che usa la Rolls come un bozzolo in cui accucciarsi. «Praticamente ci viveva», ha detto McCartney. «Era perfetta avendo i vetri oscurati. John non scendeva, parlava alla gente fuori usando il microfono: “Allontanatevi dall’auto! Allontanatevi!”». Per ammazzare i tempi morti tra una ripresa e l’altra, passa ore sul sedile posteriore fumando marijuana introdotta di nascosto nel Paese all’interno di scatole di caramelle, e armeggiando col testo di una nuova canzone malinconica intitolata provvisoriamente It’s Not Too Bad e destinata a diventare Strawberry Fields Forever.
Le strade dissestate però finiscono per danneggiare gravemente il sottoscocca e l’impianto di scarico della Phantom V, la sabbia e la polvere del sud della Spagna quasi rovinano l’elegante finitura nera opaca. Bisogna darle una riverniciata e Lennon, la cui creatività era stata scatenata dalle session di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, inizia a desiderare qualcosa di decisamente più colorato.
Non è chiaro come Lennon abbia scelto il motivo tra il floreale e il rom. Secondo Anthony è stato Ringo Starr a dargli l’idea a inizio 1967. «Un giorno stavamo passando davanti al luna park e stavano ammirando le decorazioni del luna park e le roulotte degli zingari. Ringo disse: perché non far dipingere le Rolls in quel modo modo? Per John era una grande idea». Secondo altri, invece, l’idea viene a Marijke Koger del collettivo olandese di design Fool, che quell’estate dipingerà anche il pianoforte di Lennon, dopo che il musicista ha commissionato la ristrutturazione di una roulotte gitana del 1874 per regalarla al figlio Julian. In ogni caso, l’opportunità di assecondare il suo gusto eccentrico e, allo stesso tempo, di lanciare un enorme vaffanculo all’alta società britannica è troppo allettante per resistere.
Non pensando che la Rolls-Royce possa acconsentire a trasformare in modo tanto drastico uno dei suoi veicoli più preziosi, Lennon si rivolge ai costruttori di auto private J.P. Fallon di Chertsey. È l’8 aprile 1967. Dopo aver verniciato la carrozzeria di giallo, l’artista locale Steve Weaver viene incaricato di dipingere le volute art nouveau rosse, arancioni, verdi e blu, i pannelli laterali floreali e sul tetto il simbolo astrologico di Lennon, la Bilancia. Il 24 maggio Weaver presenta una fattura di 290 sterline e il giorno dopo l’auto è pronta per il ritiro. Non stupisce che la presentazione di questa stramba Rolls attiri l’attenzione della stampa di mezzo mondo. «La prima volta che l’ho guidata, sono stato seguito da orde di fotografi e da Pathé News», ricorda Anthony.
Le reazioni? Contrastanti, a seconda delle generazioni. Il Daily Mail scrive che il veicolo di un «giallo stridente» suscita le proteste della gente e secondo il numero di luglio 1967 del Beatles Book Monthly un funzionario dei vigili teme che il colore acceso costituisca una pericolosa distrazione per i conducenti di altri veicoli. E poi c’è l’anziana che prende a ombrellate l’auto a Piccadilly. «Chiaramente John era entusiasta della storia e la ripeteva ovunque andasse», ha scritto l’amico Tony Bramwell nel suo libro di memorie del 2006 Magical Mystery Tours: My Life with the Beatles.
Di certo Lennon e i suoi amici ne sono entusiasti. Consegnata pochi giorni prima dell’uscita di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, compie il viaggio inaugurale ufficiale il 28 maggio, portando un gruppo di amici nella nuova residenza di campagna di Epstein per una festa sia per il lancio dell’album che per l’inaugurazione della casa. Lennon riesce in qualche modo a farci stare altre otto persone: la moglie Cynthia, George Harrison e la moglie Pattie, Koger e i colleghi Fools Simon Posthuma e Josje Leeger, oltre a Derek Taylor (l’ex e futuro addetto stampa dei Beatles appena arrivato da Los Angeles per l’evento) e a sua moglie Joan. Tutti tranne i Taylor indossano vestiti in seta e raso colorati, ornati di fiori, campanelli, sciarpe, amuleti. Fuori, palloncini legati a cartelli stradali indicano la strada. Dentro, gli amici sorseggiano tè all’LSD e suonano a ripezione la dolce ninna nanna dei Procol Harum A Whiter Shade of Pale. «John e amici arrivarono a bordo della Rolls gialla sgargiante, passando attraverso bucoliche stradine di campagna come a bordo di una zucca magica sulla strada per il ballo», scrive Bramwell a proposito della scena.
Inizia così la semi-mitica Summer of Love, che finisce bruscamente il 27 agosto con la morte di Epstein nella sua casa londinese per overdose accidentale di barbiturici e alcol. I tempi cambiano, arriva il grande freddo. In autunno i Beatles si riuniscono per girare il loro debutto alla regia, Magical Mystery Tour, e per Lennon è un’esperienza solo leggermente meno triste di quella vissuta l’anno prima in Spagna. Nelle foto di produzione del film si vede la Rolls. Sono tra le ultime immagini conosciute dell’auto in servizio attivo coi Beatles.
Dal 1968 in poi Lennon comincia a usare un’altra Phantom V, targata EUC 100. È bianca, segno dell’allontanamento dall’immaginario psichedelico in direzione di una sorta di minimalismo concettuale, almeno in parte per via della relazione con Yoko Ono. Via il caleidoscopico collage della copertina di Sgt. Pepper, dentro la spoglia copertina del White Album, i vivaci caftani vengono sostituiti da immacolati completi bianchi, Kenwood rimpiazzata dall’imponente casa di campagna georgiana bianca di Tittenhurst Park. Difficile dire dove va a finire la Phantom flower power. Secondo Steve Clifford viene spedita negli Stati Uniti all’inizio del 1968 affinché Lennon la possa usare durante le riunioni a New York con la Apple Corps, la nuova etichetta discografica dei Beatles creata nel vuoto di potere seguito alla morte di Epstein. La Phantom V viene utilizzata altre volte da Lennon, ma soprattutto prestata ad altri musicisti come Bob Dylan, i Moody Blues e alcuni membri dei Rolling Stones nei primi anni ’70.
Finisce in un magazzino nel dicembre 1977, quando cioè Lennon la dona al Cooper-Hewitt Museum dello Smithsonian Institute in cambio, avendo problemi col fisco, di un credito d’imposta di 250 mila dollari. È il pezzo forte della mostra Ornament in the 20th Century tenutasi tra l’ottobre 1978 e il gennaio 1979, con grande divertimento di Lennon per via delle cartoline ricordo che ritraggono la sua vecchia auto disponibili nel gift shop. Poco prima della chiusura della mostra ne invia una a suo zio Norman.
Dopo l’omicidio di Lennon, la Phantom V gialla diventa la reliquia di una delle figure più singolari del XX secolo. Quando il 29 giugno 1985 il museo Cooper-Hewitt la mette all’asta da Sotheby’s, viene comprata per 2.299.000 dollari, quasi 10 volte la cifra stimata. L’acquirente è Jim Pattison, magnate e miliardario canadese che batte un concessionario Rolls-Royce della zona di St. Louis aggiudicandosi l’auto più costosa della storia.
Per un certo periodo, la Phantom V viene esposta al museo Ripley’s Believe it or Not di proprietà di Pattison nella Carolina del Sud. Viene prestata all’Expo ’86 di Vancouver prima di essere ceduta al governo canadese ed esposta all’Historic Transportation Center della British Columbia nel 1987. Dopo la chiusura dell’istituzione avvenuta nel 1993, finisce nella sua sede permanente presso il Royal B.C. Museum.
Troppo grande per trovare posto collezione regolare del museo, l’auto è per la maggior parte del tempo in un deposito. Col passare degli anni, il televisore Sony, il lettore di cassette Phillips e la ruota di scorta sono misteriosamente scomparsi. L’impianto audio non è più funzionante, ma la guida è ancora fluida. Ogni sei mesi un rappresentante di Bristol Motors fa fare all’auto un giretto per mantenere tutto in ordine, portando il chilometraggio totale a 56 mila chilometri. «La sfida è preservare la vernice esterna che non ha aderito bene al metallo e alla vernice originale», spiega il responsabile della conservazione Kasey Lee. «Manteniamo l’auto in funzione per poterla spostare dal deposito all’esposizione quando necessario. È incredibilmente pesante, la vernice è fragile, sarebbe altrimenti difficile spingerla senza danneggiarla».
Secondo Hammond, l’auto di Lennon è stata valutata oltre cinque milioni di dollari, ma il suo vero valore è incalcolabile. «Si sa quanto valgono opere d’arte come questa solo quando vengono battute all’asta. Data che si tratta di Lennon e la febbre da collezione di tutto ciò che è associato a lui e ai Beatles, il suo valore non potrà che crescere. Ad essere inestimabile è già il suo valore come pezzo di storia culturale».
Da Rolling Stone US.