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Florence Welch è la voce del futuro

La cantautrice dei Florence + the Machine è l’ibrido perfetto, con il carisma di una rockstar e i virtuosismi di una vincitrice di X Factor

Florence Welch, foto di Tom Beard

Florence Welch, foto di Tom Beard

Tutto mi sarei aspettato dalla vita, tranne che a un certo punto avrei avuto quasi trent’anni, che avrei guardato con nostalgia agli Anni Zero e con una inedita serenità a tutta quell’estetica fatta di tatuaggi di triangoli, cappelli neri a tesa larga, pantaloni stretti e in generale a quei discorsi delle persone che sono tornate illuminate da un mese di vacanza studio a Londra «che è una città troppo avanti, con tutti quei negozi di dischi e locali dove suonano ogni sera band emergenti» etc etc.

Non sono mai stato un fan dei Florence + The Machine, però da quando hanno annunciato l’uscita del nuovo album High as hope, anticipato dai singoli Sky full of song e il recentissimo Hunger, mi è capitato di riascoltarli e soprattutto di inserirli all’interno di un discorso da bar più ampio, legato appunto alla nostalgia per gli Anni Zero, che porto avanti da mesi o forse da anni con un paio di amici che si dividono tra chi li considera una specie di medioevo e chi l’ultimo decennio degno di nota per la storia della musica. Sì, lo so, i miei discorsi da bar sono molto avvincenti, ma comunque, tornando agli Anni Zero e ai Florence + The Machine, che sono figli e al tempo stesso dei rappresentanti di quel periodo, avendo esordito nel 2009 con Lungs – che scherzando e ridendo sta per compiere dieci anni, che si sentono tutti, a partire da quell’ukulele con cui inizia “Dog days are over” – è il caso di chiedersi, tanto per citare quelli che tornano dalla vacanza studio a Londra: ma quanto stava avanti Florence Welch? Tantissimo e bisogna dargliene atto.

Florence Welch è l’ibrido perfetto, con il carisma di una rockstar e i virtuosismi di una vincitrice di X Factor. È la frontman del futuro, una specie di via di mezzo tra Lana del Rey e Nico, con le sue fattezze nordiche e i suoi sette metri d’altezza, le trecce, i lunghi vestiti floreali che le conferiscono un’estetica da Lady Godiva del rock pop contemporaneo, che regge sia per cantare affianco a Mick Jagger, che per una foto in posa su Instagram.

A fine giugno uscirà finalmente il quarto album dei Florence + The Machine, a distanza di tre anni da How big, how blue, how beautiful, il disco che sancirà probabilmente la maturità della cantautrice londinese, che da sempre ha travisato nei testi tantissimi aspetti della sua vita privata, a partire ovviamente dai patemi d’amore, fino alla depressione.

Oggi il tema principale sembra essere una certa consapevolezza: in Hunger sembra parlare da sorella maggiore su droghe e sulla percezione del proprio aspetto fisico, e in generale con una certa saggezza nei confronti di tutto ciò che rende vulnerabile un adolescente, anche perché pure lei ora è alle prese coi suoi trent’anni e di recente ha dichiarato di aver smesso di sbronzarsi dopo le estenuanti tournée e che questo l’ha aiutata a tornare in studio più facilmente.

Insomma forse anche Florence ripensa con nostalgia agli Anni Zero, così come pure a lei è toccato mettere la testa a posto, di sicuro tutto mi sarei aspettato dalla vita, tranne che avrei detto quanto sto per dire: è in lei che risiede l’eredità di una iconografia femminile credibile nel panorama musicale odierno e bisogna dargliene atto.

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