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Tutti i riferimenti reali nel trailer di ‘A Complete Unknown’, il film su Bob Dylan con Timothée Chalamet

L’arrivo a New York, la composizione di ‘Blowin’ in the Wind’, l’incontro con Joan Baez, le session di ‘Like a Rolling Stone’, le contestazioni a Newport: le vere scene dietro a quelle ricreate nel biopic

Foto: YouTube

È uscito un nuovo trailer di A Complete Unknown, il biopic su Bob Dylan con Timothée Chalamet. Non offre solo quale elemento in più per giudicare l’attore nei panni di Dylan, ma anche di capire su quali episodi si concentrerà il film basato sul libro di Elijah Wald Dylan Goes Electric! in cui appaiono anche Elle Fanning (Sylvie Russo), Monica Barbaro (Joan Baez), Edward Norton (Pete Seeger), Boyd Holbrook (Johnny Cash), Dan Fogler (Albert Grossman).

Il trailer del film, che negli Stati Uniti debutterà il giorno di Natale, si apre col giovane Bob Dylan che arriva a New York dal Minnesota. È il dicembre 1960 (qualcuno dice gennaio 1961). L’ha raccontato in termini ironici lo stesso Dylan nella prima canzone autografa che ha inciso per l’album d’esordio. In Talkin’ New York si descrive come l’ultimo arrivato che, chitarra in mano, prende la metro e sbuca al Greenwich Village infilandosi in una caffetteria: “Sono salito sul palco per cantare e suonare / Un uomo m’ha detto: torna un altro giorno / sembri un montanaro / Qui vogliamo folksinger”.

E proprio di quella comunità di folksinger Dylan entrerà a far parte, surclassando tutti per talento e visione. Nel 1966 chiederà al biografo Robert Shelton di cambiare la sua versione dei fatti: «Non sono andato subito al Village la prima volta che sono venuto a New York. Con un mio amico… uno che adesso si fa di eroina… siamo venuti a New York insieme. Lui scriveva commedie. Giravamo dalle parti della 43esima Strada. Ci arrangiammo per due mesi, facevamo di tutto. Arrivai qui nel dicembre 1960, ma nel Village andai nel febbraio». Dalla parti di Times Square la vita di strada era pericolosa: «Rischiai di farmi ammazzare».

Nel trailer si sente in sottofondo Chalamet cantare Girl from the North Country, la canzone d’amore ispirata a Scarborough Fair che Dylan ha imparato durante un viaggio in Inghilterra. In quel periodo partner di Dylan/Chalamet è Sylvie Russo, versione romanzata dalla vera fidanzata Suze Rotolo, la ragazza che appare abbracciata a Dylan sulla copertina del secondo album The Freewheelin’.

Chalamet scrive su un tovagliolo di carta le parole di Blowin’ in the Wind. Pare che Dylan l’abbia scritta veramente all’intero di un coffee shop newyorchese chiamato Commons che si trovava dall’altra parte della strada rispetto al Gaslight, il locale chiave del Greenwich Village che ospitava le esibizioni del giovane folksinger. Era il 16 aprile 1962 ed era presente un altro musicista della scena, David Blue: «Avevamo passato buona parte del lunedì pomeriggio bevendo caffè. Verso le 5 ha tirato fuori la chitarra, un foglio e una matita. Ha cominciato a strimpellare degli accordi mettendoci sopra delle parole che aveva scritto. Dopo un po’ ha chiesto a me di suonare la chitarra in modo che potesse concentrarsi sulle rime. Siamo andati avanti così per un’oretta, finché non è stato soddisfatto. La canzone era Blowin’ in the Wind».

Nel trailer vediamo Dylan che la incide in studio: era il pomeriggio del 9 luglio 1962. È stata fatta in tre take, accompagnandosi con una chitarra Gibson J-50. «Chi l’ha scritta questa?», chiede qualcuno. L’uomo che nel film risponde «l’ha scritta lui» è Albert Grossman, il manager di Dylan, l’uomo che ha passato la canzone a Peter, Paul & Mary, che l’hanno portata al successo prima dell’autore.

Nella scena successiva del trailer si vede Joan Baez arrivare Gerde’s Folk City, sempre al Greenwich Village. Com’è noto, Dylan è spesso stato poco tenero con lei e nel trailer dice sul palco che Baez canta in modo fin troppo carino e poi, a casa, definisce le sue canzoni «dipinti a olio appesi in uno studio dentistico». Lei gli dà dello stronzo. In ogni caso, il primo incontro fra i due è avvenuto effettivamente al Gerde’s Folk City nel 1961.

«Un brillante nuovo interprete folk è apparso al Gerde’s Folk City», scriveva all’epoca Robert Shelton sul New York Times. «A soli 20 anni, Bob Dylan è uno dei più interessanti personaggi che si siano esibiti in un locale di Manhattan negli ultimi mesi. È una specie di incrocio fra un ragazzo del coro e un beatnik, questo Mr. Dylan, ha uno sguardo da cherubino e un ciuffo di capelli arruffati, parzialmente coperti da un berretto nero alla Huck Finn. Può darsi che i suoi abiti abbiano bisogno delle cure di un sarto, ma quando si dà da fare con chitarra, armonica e piano, o quando compone  canzoni più in fretta di quanto riesca a ricordarle, il talento gli esce anche dalle cuciture dei vestiti».

Nel trailer si vedono poi Dylan e Baez sul palco del primo Monterey Folk Festival. Era il maggio del 1963 ed era la prima esibizione in assoluto di Dylan sulla West Coast. Duettò effettivamente con Baez sulla note di With God on Our Side. «Ecco un giovane di cui sentirete parlare», disse al pubblico la folksinger, che all’epoca ben più famosa di Dylan. I due passarono del tempo nella casa di lei a Carmel, per poi andare in tour assieme in estate, facendo irritare Rotolo. Pochi giorni dopo il festival uscì The Freewheelin’ Bob Dylan, il disco con Blowin’ in the Mind, Masters of War e Girl from the North Country, che è la canzone che gli sceneggiatori fanno cantare a Dylan e Baez a Monterey

Dopo poco più di un minuto di trailer le immagini del primo periodo, con Chalamet vestito come Dylan della copertina di Freewheelin’, si mescolano a quelle di un’era completamente diversa. È il musicista che si è messo alle spalle il mondo dei locali folk del Greenwich Village e ha spiazzato i suoi fan e gli amanti più conservatori del folk usando strumenti elettrici. È il rocker sprezzante ed enigmatico di Don’t Look Back di D. A. Pennebaker e dell’episodio con Cate Blanchett di Io non sono qui di Todd Haynes.

«Vogliono che canti Blowin’ in the Wind per il resto della vita», dice Chalamet/Dylan prima che le immagini passino nella sala dove sta incidendo Like a Rolling Stone, la canzone chiave del periodo elettrico, alla presenza di Grossman e del produttore Tom Wilson, intepretato da Eric Berryman. «Questa roba farà incazzare un sacco di gente» ed è effettivamente quel che è accaduto. Dylan incide Like a Rolling Stone il 16 giugno 1965. È un momento chiave anche della discografia: quel singolo, incontenibile e lungo oltre sei minuti, rivoluzionerà le regole del rock.

Poco più di un mese dopo, il 25 luglio 1965, Dylan è al festival folk di Newport. Il dialogo che si sente nel trailer: «Ho sentito che adesso suona in elettrico», «non sul nostro palco». È uno degli episodi più mitizzati nella storia di Dylan e non solo. Nella “casa” del folk tradizionale, portò una nuova band elettrica con membri della Paul Butterfield Band. Anche se il programma del festival invitava il pubblico fatto di studenti universitari della media borghesia a «tener presente i gusti, gli interessi e i comportamenti sociali dei ragazzi delle scuole superiori, di quelli che hanno interrotto gli studi, di quelli che lavorano», Dylan fece un colpo a sorpresa, provando di nascosto in una casa di Newport.

La breve esibizione elettrica fu accolta da contestazioni, ma anche da applausi. Col tempo, i primi sono stati raccontati ben più dei secondi. Nel trailer vengono mischiate varie scene, tra urla come «abbassa il volume!» (accadde veramente, i più infastiditi pare fossero il grande etnomusicologo Alan Lomax e il riverito folksinger e attivista Pete Seeger) e scazzottate. Per anni si è detto che, irritato, Seeger avrebbe tentato di tranciare con un’ascia i cavi dell’alimentazione per far cessare il rumore infernale della band di Dylan, ma è un episodio inventato.

Nel delineare il personaggio di Dylan – prima che lo si veda brevemente in sella a una motocicletta, forse la Triumph con cui ebbe il famoso incidente del luglio 1966 che ha chiuso la parte più esaltante e caotica della carriera – nel trailer si torna indietro nel tempo a una scena casalinga con protagonisti il folksinger a Sylvie. Lei dice che non le parla mai del suo passato o della sua famiglia. Lui replica che «la gente inventa il proprio passato, ricordano quel che vogliono, dimenticano il resto».

È un modo per spiegare o giustificare la sua ritrosia a parlare delle sue origini, che fin dall’inizio ha nascosto anche alla stampa inventando storie colorite su un passato avventuroso mai veramente vissuto da lui, famoso eppure completo sconosciuto.

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