Nei primi anni di MTV era impossibile non incappare in Whip It dei Devo. Quand’è stata lanciata la tv musicale, nel 1981, esistevano pochi video e quindi MTV la passava quasi ogni ora. Col risultato che Whip It è diventata una grande hit e ha fatto dei Devo delle icone visive, anche se decisamente bizzarre.
Oggi c’è un’altra canzone dei Devo che domina le frequenze di MTV, Uncontrollable Urge. Non è mai entrata in classifica, non ha avuto dischi d’oro o di platino, ha “solamente” circa cinque milioni di visualizzazioni su YouTube e 30 milioni di stream su Spotify, eppure ha fruttato al principale cantante e autore del guppo Mark Mothersbaugh molti più soldi di Whip It, che ha il quadruplo di visualizzazioni ed è stata ascoltata in streaming sei volte tanto.
La differenza l’ha fatta la cover di Uncontrollable Urge scelta come sigla di Ridiculousness – Veri American Idiots, il comedy clip show che al suo apice è andato in onda negli Stati Uniti per ben 113 ore sulle 168 di programmazione di MTV. Nell’ultimo decennio, con 42 stagioni dello show, 1545 episodi e innumerevoli repliche in onda ogni 30 minuti, i diritti d’autore per i passaggi della canzone hanno fruttato a Mothersbaugh circa un milione di dollari all’anno, secondo una stima della moglie e manager Anita Greenspan.
Mothersbaugh, che ha composto anche i temi musicali di Pee-Wee’s Playhouse e Rugrats, ma anche di alcuni film di Wes Anderson e di altri film e show televisivi, racconta che «se anni fa qualcuno mi avesse detto che questo pezzo sarebbe diventato la mia principale fonte di reddito, non ci avrei creduto».
«È assurdo e divertente», dice Greenspan. «Visto che i Devo sono stati fra i primissimi a girare dei video, agli albori di MTV li passavano molto. Poi la rete ha iniziato a contestare i loro videoclip, li consideravano sovversivi, non li gradivano, hanno smesso di passarli. Oggi però Uncontrollable Urge è molto probabilmente la canzone più passata da MTV. Alla fine i Devo hanno avuto la meglio».
I due pezzi sono diventati dei tormentoni di MTV per ragione decisamente diverse, ma ironia vuole che dietro al loro successo vi sia lo stesso motivo: il canale aveva bisogno di riempire i buchi del palinsesto. «I Devo erano in heavy rotation», ricodava “Weird Al” Yankovic nel libro del 2011 I Want My MTV. «Non perché MTV amasse i Devo, semplicemente la rete trasmetteva 24 ore su 24 e servivano tanti contenuti».
Il pezzo ha fruttato grossi utili a BMG, che cura le edizioni musicali dei Devo. L’azienda gestisce i cataloghi di leggende come George Harrison e Mick Jagger, ma secondo i dati di Jonathan Palmer, dirigente BMG, Uncontrollable Urge è la canzone che guadagna di più dalle licenze di sincronizzazione, ovvero le licenze che gli editori concedono per consentire l’utilizzo di musica nei programmi.
Uncontrollable Urge è un caso unico nel business poco conosciuto, ma potenzialmente molto redditizio delle canzoni usate come sigle in tv. Sfondare come musicista è sempre una sfida titanica, ma piazzare qualcosa in televisione fa guadagnare un sacco di soldi, che tu sia una popstar o un compositore di colonne sonore per il cinema.
Gli autori di canzoni guadagnano tramite vari canali legati alle royalties. Il più affidabile è rappresentato dalle performance royalties che gli autori ricevono ogni volta che le loro composizioni passano in radio, sono diffuse in spazi pubblici come ristoranti o sale da concerto, oppure vengono usate in programmi tv e film.
Le performance royalties sono conteggiate e riscosse da associazioni come BMI e ASCAP. Queste trattano con le reti televisive e i servizi di streaming per stabilire le tariffe, incassano il denaro e distribuiscono le royalties agli iscritti. Visti gli scarsi compensi che molti autori di canzoni ricavano dalle piattaforme di streaming, queste royalties possono essere fondamentali.
Il pezzo dei Devo è un caso limite, perché la maggior parte degli altri programmi non va in onda con la frequenza con cui MTV trasmette quotidianamente Ridiculousness. Però Uncontrollable Urge (che altrimenti avrebbe incassato circa 150 mila dollari, in tutto questo tempo, dai diritti di streaming su Spotify) dimostra che ci sono ottime possibilità di guadagno per gli autori e i compositori che hanno la fortuna di vedere il proprio lavoro utilizzato in programmi televisivi popolari.
È quel che è successo ai Barenaked Ladies, il cui frontman Ed Robertson ha scritto la sigla di The Big Bang Theory. La sitcom è una delle serie televisive di maggior successo di tutti i tempi ed è andata in onda con nuovi episodi per 12 anni, dal 2007 al 2019. Ha portato poi a un accordo molto vantaggioso per lo streaming e negli States di solito va in onda in tv tra le quattro e le sette ore al giorno.
Robertson è restio a svelare la somma esatta che ha guadagnato tra la messa in onda originale dello show e la syndication, ma è astronomica. «Non è di sette cifre e nemmeno di dieci: è una via di mezzo», dice. «Non voglio essere cafone e volgare, ma è stata una svolta per la mia vita. Big Bang Theory mi ha cambiato la vita, è stato come avere una hit al numero uno più volte all’anno, ogni anno, per gli ultimi dieci anni. È una gallina dalle uova d’oro».
La sigla ha fatto guadagnare a Robertson più di tutto il resto del repertorio dei Barenaked Ladies messo insieme, che comprende sei dischi d’oro e di platino (c’è anche l’album Stunt, quattro volte disco di platino) e il singolo numero uno One Week. «Big Bang Theory ha eclissato One Week facendola sembrare una cosetta da niente».
Robertson ha venduto parte dei diritti della sigla, anche se non dice per quanto e a chi. «Siamo arrivati al punto che i diritti d’autore che guadagneremo da altra musica sono diventati quasi irrilevanti. È per questo che sono riuscito a godermi i tour, negli ultimi anni. Facciamo dischi che ci piacciono e che ci interessa fare. Non abbiamo più bisogno di impressionare nessuno. È il lato positivo: il tema di Big Bang Theory ha reso la nostra band autosufficiente ed è grandioso».
Robertson è uno dei tanti autori e compositori che hanno vinto la lotteria quando la loro musica è finita in un programma molto visto. Justin Shukat è il presidente della Primary Wave Publishing, la società che amministra i diritti della cantautrice Allee Willis, la co-autrice di I’ll Be There for You dei Rembrandts, la sigla di Friends. Dice che la quota del 15% sui diritti della canzone frutta a Willis circa 700 mila dollari all’anno.
Fra i programmi che incassano di più negli Stati Uniti ci sono The Office, che va in tv e streaming fa registrare cifre notevoli, e le soap General Hospital e Febbre d’amore, che continuano ad andare in onda quotidianamente. Secondo molte persone interpellate per questo articolo, il campione assoluto è il compositore Mike Post, le cui musiche si possono ascoltare in Law and Order e nei suoi vari spinoff: come ha detto un dirigente del settore, «ci sono lui e Taylor Swift».
Il compositore Doug Cuomo, che ha scritto la sigla di Sex and the City, racconta che quando la serie è entrata in syndication ha contattato la società che gestisce i suoi diritti d’autore e «ho chiesto se c’era un errore. Il mio pagamento trimestrale era 10 volte i precedenti». Anche se vivere scrivendo musica per la tv e i film resta un sogno, la sigla di un programma relativamente popolare può ancora garantire una sicurezza economica che la musica pop raramente offre.
Per il produttore musicale Marco Jacobo il colpaccio è arrivato con dieci anni di ritardo. Nel 2011 ha pubblicato Hold ‘Em. Grazie a un contatto della sua etichetta Now-Again Records, indie specializzata in ristampe e musica per campionamenti, il pezzo è diventato la sigla di Abbott Elementary, una delle poche sitcom di successo trasmesse da un network nell’era dello streaming. Lo è stato per quattro stagioni facendo guadagnare a Jacobo circa 300 dollari in streaming, ma una somma a sei cifre grazie alla tv.
«Non me lo sarei mai aspettato, da allora ho pubblicato altre canzoni che ero sicuro avrebbero fatto centro e invece… niente», dice Jacobo. «Ma quelle che ce la fanno possono funzionare anche per dieci anni, come è successo a questa. È stata una benedizione. Ora la canzone costituisce il 40% dei miei guadagni».
In qualità di presidente della Songwriters of North America, Michelle Lewis passa gran parte delle giornate a battersi per una migliore retribuzione degli autori di canzoni ed è stata determinante nell’approvazione del Music Modernization Act del 2018. Non le sfugge l’amara ironia del fatto che un programma televisivo può rendere a un autore di canzoni molto più di un brano in un disco di successo. Oggi, dice Lewis, è più probabile che gli autori mainstream si guadagnino da vivere con la musica per la tv che con l’industria discografica vera e propria.
«Nessuno compra più gli album, lo streaming non paga ancora gli autori come invece succedeva con le vendite degli album e, per vedere qualche soldo, bisogna sperare che una canzone arrivi in radio, che è sempre meno forte», spiega. «Quando si scrive musica pop, bisogna che le stelle si allineino: occorrono il momento giusto, l’artista giusto, l’A&R giusto. Ma se hai fatto una sigla, sai che il tuo pezzo non finirà nel nulla. Scrivere pop è come buttare a caso la tessera di un puzzle in mezzo al mucchio sperando che si incastri, senza avere una visione d’insieme. Quando scrivi per una serie televisiva, la musica entra a far parte di un mondo e quel mondo ha un valore».
Lewis ne sa qualcosa. Ha iniziato scrivendo per artisti come Cher e Hillary Duff, ma ha avuto successo come autrice di musica per la tv, in special modo per Dottoressa Peluche della Disney e A casa dei Loud di Nickelodeon. Considerata la frequenza con cui le due reti trasmettevano questi programmi nell’arco della giornata, l’autrice ha guadagnato 30o mila dollari all’anno a metà degli anni 2010.
I compositori per la tv devono affrontare un panorama in rapida evoluzione, con la transizione dal modello tradizionale allo streaming. Oggi gli show più importanti non sono in onda sui network, ma, ironia della sorte, per gli autori di canzoni le tariffe corrisposte dai network sono comunque più alte di quelle delle piattaforme di streaming come Netflix. Un dirigente del settore stima che i network tradizionali paghino per ogni minuto di musica 15 volte più di una piattaforma di streaming.
Avviene perché le Performing Rights Organizations incassano dai network in base a un tariffario fisso e non a seconda del numero di spettatori. Le piattaforme di streaming pagano conteggiando le views e per arrivare a eguagliare le tariffe dei network servono molti più stream.
«Per certi versi, è una situazione simile a quella che gli autori di canzoni hanno sperimentato con l’avvento dello streaming musicale, anni fa», spiega il dirigente. «Tutti dicevano che con un credito da autore in un album popolare ci si poteva comprare casa. Ora con lo streaming c’è una tale sovrabbondanza di materiale che bisogna fare numeri pazzeschi per avvicinarsi alle cifre di un tempo. Ci sono meno persone che fanno i soldi».
Il dirigente si aspetta nei prossimi anni un cambiamento significativo nelle modalità di pagamento dei diritti d’autore e sostiene che le Performing Rights Organizations dovranno valutare con attenzione le modalità per negoziare con le piattaforme al fine di garantire il giusto compenso agli autori.
Greenspan, che oltre a Mothersbaugh rappresenta molti altri autori, sostiene che i pagamenti dei servizi di streaming devono essere «rettificati». E ricorda che le cifre incassate da Mothersbaugh per Rugrats, negli anni ’90, gli sono servite a comprare casa.
«Gli autori che scrivono le musiche per Apple e Netflix incassano quanto Mark da un network? Dovrebbero adeguare le loro tariffe a quelle dei network, non c’è alcun motivo perché non accada. Non siamo più ai tempi di L’isola di Gilligan, il peso dei network televisivi si è molto ridotto».
La situazione generale di Hollywood non aiuta. Dato che gli studios danno il via libera a meno progetti, gli autori di canzoni hanno meno opportunità di piazzare il loro lavoro. E per via del pulsante “salta l’intro” presente nei servizi di streaming, che ha cambiato il modo in cui gli spettatori guardano la tv, alcuni show hanno eliminato del tutto le sigle.
C’è poi la questione del futuro della syndication in generale. Per decenni, un programma televisivo che veniva trasmesso in syndication è stato il sogno proibito di ogni produttore, ma, con la scomparsa del dinosauro della tv tradizionale, il dilemma di come riempire i palinsesti di un canale con un paio di dozzine di ore di contenuti potrebbe diventare irrilevante, dato che i servizi di streaming permettono agli spettatori di guardare quel che vogliono, quando vogliono. Uncontrollable Urge guadagnerebbe così tanto in un mondo di contenuti infiniti e senza la necessità di riempire un palinsesto?
Per il momento, MTV continua a trasmetterla. «Era la prima canzone del nostro primo album. MTV ha smesso di passarci e noi siamo rientrati dalla porta di servizio», dice Mothersbaugh. «È un bel colpo di scena e ha qualcosa di ironico: è uno dei pezzi per cui non abbiamo mai girato un video e ora è probabilmente la canzone più suonata di sempre da MTV».
Da Rolling Stone US.