Un’isteria mai vista prima: la storia del documentario ‘Beatles ’64’ | Rolling Stone Italia
Nell’occhio del ciclone

Un’isteria mai vista prima: la storia del documentario ‘Beatles ’64’

Il regista David Tedeschi racconta il docufilm prodotto da Martin Scorsese sulla pacifica e allo stesso tempo caotica invasione dell’America da parte di John, Paul, George e Ringo. Come diceva Harrison, «noi eravamo normali, era il resto del mondo che era ammattito»

Un’isteria mai vista prima: la storia del documentario ‘Beatles ’64’

I Fab Four nel documentario ‘Beatles ’64’

Foto: Albert and David Maysles © 2024 Apple Corps, Ltd.

Accolti all’aeroporto di New York dall’assalto dei fan, i Beatles hanno “invaso” l’America all’inizio del 1964. Da allora la nazione non è stata più la stessa. Il 9 febbraio, la sera dell’esibizione dei quattro di fronte ai 73 milioni di spettatori dell’Ed Sullivan Show, la Beatlemania ha cominciato a contagiare il Paese. È il periodo raccontato in Beatles ’64, il nuovo documentario prodotto da Martin Scorsese diretto da David Tedeschi, che ha collaborato in passato a vari docufilm del regista (vedi Living in the Material World su George Harrison).

Beatles ’64 arriverà su Disney+ il 29 novembre, in corrispondenza con la Festa del Ringraziamento americana, proprio come successo tre anni fa con Get Back di Peter Jackson. Include nuove testimonianze di Paul McCartney e Ringo Starr, interviste d’archivio a John Lennon e George Harrison, oltre a immagini del primo concerto americano dei Fab Four. «Il film passa da New York a Washington D.C. e Miami, un vero caos», racconta Tedeschi. «Ci sono più di 17 minuti di immagini totalmente inedite».

Il materiale video proviene in gran parte dai pionieri dei documentari David e Albert Maysles, che hanno girato pellicole classiche come Gimme Shelter e Grey Gardens.Hanno seguito i quattro filmando tre settimane nella loro vita, mentre il mondo attorno a loro ammattiva, documentando giorno dopo giorno l’esplosione della Beatlemania. «Noi eravamo normali, era il resto del mondo che era ammattito», dice George Harrison nel trailer. «L’eccitazione era palpabile quando i Beatles arrivavano in città».

Le immagini sono state rimasterizzate presso i WingNut Studios di Peter Jackson, come già è stato fatto per Get Back. Le musiche sono prodotte da Giles Martin, che si è occupato della serie di ottime riedizioni dei Beatles partita nel 2017 con Sgt. Pepper. Il risultato è un film che documenta dall’interno il momento in cui John, Paul, George e Ringo, già star in patria, diventano improvvisamente oggetto di un’isteria di massa mai vista prima (da loro, né da altri). «Era come essere nell’occhio del ciclone», dice John. «Ci stava succedendo, ma era difficile rendersene conto».

Nel film ci sono anche interviste a leggende della musica americana che testimoniano l’impatto dei Fab Four: dal fondatore della Motown Berry Gordy alla compianta Ronnie Spector. Smokey Robinson, che ha influenzato i Beatles, parla dei loro legami con la musica afroamericana. «Sono stati il primo gruppo bianco che ho sentito dire: “Sì, siamo cresciuti ascoltando la musica nera”».

Beatles ‘64 | Official Trailer

Beatles ’64 è prodotto da Scorsese, Margaret Bodde, McCartney, Starr, Olivia Harrison, Sean Ono Lennon, Jonathan Clyde e Mikaela Beardsley, con Jeff Jones e Rick Yorn in veste di produttori esecutivi. David Tedeschi ci ha spiegato come è stato realizzato e quel che dobbiamo aspettarci.

Sei un fan dei Beatles?
Un grandissimo fan. Sono cresciuto coi Beatles, fanno parte del mio dna. Vivo a New York e in un certo senso, anche se pare strano, la loro è una storia legata alla città. Ed Sullivan stava qui, è partendo da New York che la Beatlemania ha conquistato il Paese. Non è stato l’inizio della Beatlemania, ma è stato allora che è cresciuta ancora di più e ha iniziato a diffondersi in tutti gli Stati Uniti. Quindi, per certi versi, questa è una storia newyorkese.

Com’è nato il film?
Occupandomi del montaggio del film su George Harrison Living the Material World io e Martin siamo diventati amici di Olivia Harrison. Per quella pellicola abbiamo intervistato Paul e Ringo. Si è creato un rapporto con la Apple, che aveva questo materiale video e voleva farne qualcosa.

Da dove viene il girato?
Da David e Albert Maysles, che erano molto famosi negli anni ’60. Era il loro secondo film, ne hanno girato anche uno che è stato proiettato raramente intitolato What’s Happening!. Uno dei motivi per cui veniva mostrato di rado è che non si erano assicurati di avere tutti i diritti necessari. Così la Apple ha acquisito i negativi dei Maysles.

In effetti What’s Happening! The Beatles in the U.S.A. non l’ha visto quasi nessuno.
Al e David erano registi fenomenali, dei pionieri, stavano facendo qualcosa di decisamente inconsueto. What’s Happening! è stato trasmesso dalla tv americana, ma era considerato, come dire, troppo alternativo, di nicchia. Nella versione passata in tv c’erano degli intermezzi con Carol Burnett.

In What’s Happening! c’è un momento bellissimo: i Beatles sono appena atterrati e lasciano in auto l’aeroporto. Paul ha in mano una radio a transistor che trasmette una loro canzone, guarda la telecamera e dice: «Mi piace!». È così intimo.
Sì, i Maysles sono stati pionieri di quello che chiamavano direct cinema. Si vede che i Beatles sono rilassati e che sono carismatici. Ma anche le fan, le ragazze che si ammassano davanti al Plaza Hotel o a quello che oggi chiamiamo Sullivan Theater, hanno un gran carisma. Al e David sapevano come far rilassare le persone, ottenendo così qualcosa di particolare. Non saprei dire cosa fosse. Ho lavorato con Al quando Scorsese l’ha ingaggiato per Shine a Light. L’ho visto all’opera mentre i Rolling Stones facevano le prove. Sapeva il fatto suo. La gente vedeva la telecamera, ma se ne dimenticava subito.

Nel trailer, c’è Ringo che parla con Scorsese. L’ha intervistato lui?
Abbiamo fatto due interviste: una con Ringo e una con Paul. Marty era lì per Ringo e ha condotto il gioco. Non ci interessava fare delle interviste formali. Ringo ha conservato molti degli abiti che ha usato nel corso degli anni, aveva uno dei completi che indossava sul treno per Washington. Ha ancora tutto, persino la batteria che ha suonato all’Ed Sullivan. L’intervista a Paul l’ho fatta io al Brooklyn Museum, quando era lì per la mostra fotografica Eye of the Storm. Vedere il testo scritto a mano di I Want to Hold Your Hand è stato emozionante.

Quanta parte del 1964 racconta il documentario?
Solo quelle tre settimane: arrivano a New York, dove restano quattro o cinque giorni, poi vanno a Washington e a Miami. Ci sono riprese dei Maysles che coprono tutto l’arco temporale, ma c’è anche dell’altro. Un grande ricercatore ha scovato negli archivi locali altri filmati di Miami, materiale dimenticato. È entusiasmante.

La fotografia e il suono sono brillanti.
Gli WingNut Studios in Nuova Zelanda hanno restaurato la pellicola da 16 millimetri, rendendola perfetta. Hanno restaurato anche l’audio, quello che sentite è stato prodotto da Giles Martin. Il concerto di Washington suona alla grandissima: è il loro primo show in un’arena e il loro primo concerto negli Stati Uniti. Quando mette mano alle tracce registrate in studio Giles ha molto più controllo. Questo è un concerto dal vivo e il bello è che ti dà proprio quella sensazione.

Fino a un paio di settimane fa i fan non sapevano nulla di questo film. È successo tutto così in fretta?
Anche per noi è andato tutto alla velocità della luce. Dalla prima volta che se ne è parlato a quando abbiamo chiuso il progetto saranno passati due anni. Siamo stati in sala di montaggio per un annetto circa. Per i nostri standard è stato veloce, ma continuano a ripetermi che in realtà non lo è per niente.

Da Rolling Stone US.