Nel 2007 Kate Nash è entrata in classifica con un pezzo che parlava di una relazione che si stava deteriorando. Fino al 21 novembre di quest’anno il testo di Foundations sembrava descrivere anche il rapporto ormai logoro della cantante con l’industria concertistica, i cui costi di produzione proibitivi l’hanno portata a indebitarsi. Per uscirne, Nash ha avuto un’idea brillante: finanziare un tour vendendo foto del proprio sedere su OnlyFans. E così ha dato il via a una campagna battezzata Butts for Buses, culi in cambio di tour bus.
Nel caso vi spiacesse per Nash, sappiate che non è il caso. Anzitutto, la cantautrice trentasettenne, che ha sfondato una quindicina d’anni fa col debutto Made of Bricks e ha scalato le classifiche britanniche, ha un «sedere fantastico» (lo dice lei) e «riceve un sacco di complimenti». E poi, facendo pagare 9,99 dollari al mese su OnlyFans, ha finanziato senza sforzo il tour di 9 Sad Symphonies nel Regno Unito e in Europa. I problemi economici «si sono risolti in una settimana».
Ha guadagnato così tanto e in così poco tempo che pensa già a progetti futuri da finanziare col suo lato B. «È elettrizzante la mia piccola impresa… del culo», dice scherzando. «Devo registrare la ragione sociale. Voglio vedere Butts for Buses scritto su una carta di credito».
Per fare chiarezza, Nash ha tanti fan (al momento ha 926 mila ascoltatori al mese su Spotify) e fa regolarmente sold out nei locali di tutto il mondo. Ma, come molti musicisti professionisti che pubblicano musica e vanno regolarmente in tournée, perde soldi ogni volta che si esibisce dal vivo. Secondo i suoi calcoli, ogni concerto le costa circa 10 mila dollari a livello di produzione, compresi i musicisti della band, lo staff sul palco e magari un tecnico del suono. Sono spese su cui non vuole lesinare per non abbassare la qualità dello show. Se a ciò si aggiunge la stagnazione dei compensi per gli artisti e l’aumento vertiginoso dei costi per viaggi, alloggi, cibo e benzina, Nash si è trovata immersa dai debiti pur lavorando.
«Ho una carriera di successo», mi dice su FaceTime. «Sono una di quelle che non suonano negli stadi o nelle arene, ma hanno tantissimi fan. Posso andare in tour in tutto il mondo, eppure non riesco a trarne alcun profitto. Sono in rosso. Ci perso dei soldi. Che cazzo di problema c’è?».
Il problema sono i costi elevati dell’andare in tour. «È lo stesso identico problema che devono affrontare le persone comuni, che se la vedono coi prezzi della benzina e con l’inflazione. Se oggi vado a suonare in un locale in cui mi sono esibita sette anni fa, rischio di essere pagata esattamente la stessa cifra di allora, ma per realizzare lo show spendo molto più di un tempo».
Nash ha in mente una soluzione efficace per sanare la disuguaglianza profonda che affligge l’industria musicale. Se per ogni biglietto venduto per gli stadi e i palasport venisse destinata una sterlina a quelli che l’organizzazione benefica Music Venue Trust, con sede nel Regno Unito, chiama «locali di base» (ovvero luoghi con una capienza inferiore o uguale a 350 spettatori), circa 30 milioni di sterline arriverebbero ogni anno agli spazi di medie dimensioni o indipendenti, molti dei quali rischiano di chiudere. Secondo Music Business Worldwide e Music Venue Trust, nel 2023 nel Regno Unito hanno chiuso in media due locali di musica dal vivo a settimana, per un totale di circa 125 nel corso dell’anno. Per gli Stati Uniti non sono disponibili numeri certi sulle cessazioni di attività, ma gli esperti del settore concordano nell’affermare che è in vista una crisi simile.
«Ho grande considerazione dei musicisti che fanno concerti, non solo ai massimi livelli. E anche i fan ce l’hanno», dice Nash. «In Francia, da più di dieci anni viene applicata un’imposta che porta circa 30 milioni di euro all’anno a sostegno della musica e dei musicisti francesi. È semplice, dovremmo tutti seguire il modello francese che ha già dimostrato di funzionare».
Oltre a finanziare il suo tour, OnlyFans ha rappresentato una forma di emancipazione personale e uno strumento di protesta valido. «Guarda cosa sta succedendo in America. È più importante che mai che le donne abbiano la possibilità di gestire il loro corpo, fare ciò che vogliono, essere indipendenti, fare dichiarazioni forti sulla sessualità femminile».
Da quando Nash ha inaugurato il suo OnlyFans, più di un mese fa, è balzata al primo posto tra i content creator del sito. Dice che la piattaforma in una settimana le ha portato più soldi di quanti ne raccolga in un mese con i servizi di streaming musicale (OnlyFans versa ai creator l’80% dei loro guadagni, mentre Spotify paga agli artisti 0,003-0,005 dollari per ogni stream). I follower su Instagram sono aumentati di 10 mila unità in una settimana e lei ha rilasciato interviste a tutti i principali media inglesi. «Perché è un po’ scandaloso, è roba pruriginosa», dice. «Nessuno mi cercherebbe se postassi semplicemente un poster del tour e scrivessi: “Fare un tour è molto difficile ora come ora e il vostro supporto significa molto per me”».
Con o senza le attenzioni dei media, la campagna di Nash avrebbe comunque preso piede. Poco più di una settimana dopo aver lanciato il suo OnlyFans, e poche ore prima di esibirsi in uno show sold out al Koko di Londra, l’artista ha collaborato con Save Our Scene U.K. per piazzare un poster gigante del suo sedere su un camion dei pompieri che, girando per Londra, si è fermato davanti agli uffici di Live Nation, di Spotify e alla Camera dei comuni.
Nash spiega di essersi ispirata a ciò che è accaduto all’ex conduttrice di Top of the Pops Gail Porter, che nel 1999 ha visto proiettare sul Parlamento delle sue foto di nudo, senza peraltro avere dato il consenso, nell’ambito di una campagna pubblicitaria per il sondaggio “Sexiest Woman” della rivista FHM (Porter aveva accettato di fare il servizio fotografico, ma non che la sua immagine venisse utilizzata in quel modo). «Era davvero sexy sulla prima pagina di quella rivista, ma non è stata pagata per lo shooting. L’hanno sfruttata e ci sono anche state conseguenze spiacevoli. Ho pensato: mi piacerebbe che il mio sedere fosse proiettato sulla Camera dei comuni. È una presa di posizione molto punk e una specie di vaffanculo all’industria musicale. Mi è parso anche un bel modo per bilanciare quella brutta storia».
Non è riuscita a far proiettare il suo sedere nudo sulla facciata della camera bassa del parlamento britannico, ma piazzarlo su un camion dei pompieri e farlo girare per Londra in tanga rosa ha rappresentato un’ottima alternativa. E comunque vorrebbe ancora portare il suo sedere alla Camera, oltre che in diversi altri posti. «Voglio un cartellone del mio OnlyFans in Times Square, proprio dove piazzano sempre quelli di Spotify». Se ci riuscirà, probabilmente Nash sarà investita da un’ondata di apprezzamento e sostegno da parte di colleghe e fan. «La gente mi incoraggiava per strada», dice Nash parlando del giro sul camion. «Alle persone questa roba importa. Siamo stufi di sentire parlare di milionari che cercano di rovinare tutto, cazzo. Nell’era del tardo capitalismo, se sei una musicista come me, dovresti guadagnare andando in tour».
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Nash non è l’unica artista pop su OnlyFans. In ogni articolo sul suo sedere veniva citata anche Lily Allen, che ha un OnlyFans dedicato alle foto dei suoi piedi (un fatto di cui si parla meno, ma è comunque degno di nota, è che tante, da Kathleen Hanna a Courtney Love a Cardi B, hanno fatto le spogliarelliste a inizio carriera).
Quando, sui social, un follower ha criticato Allen scrivendo «Immaginate di essere una delle più grandi popstar/musiciste d’Europa ed essere ridotte così», la risposta della cantante era in linea con le osservazioni di Nash sull’industria musicale e dell’intrattenimento: «Immaginate di essere un’artista e di avere quasi otto milioni di ascoltatori mensili su Spotify, ma di guadagnare di più se 1000 persone si iscrivono per guardare le foto dei vostri piedi. Non prendetevela con me, ma col sistema».
Nonostante l’approvazione dei media, ci sono ancora detrattori che considerano qualunque forma di vendita del proprio corpo (anche consensuale beninteso) sostanzialmente oppressiva. In un editoriale del 30 novembre, l’Independent si chiedeva: «OnlyFans è davvero espressione di emancipazione femminile o è deleterio per le donne?». In risposta alle femministe che considerano una forma di oppressione trarre profitto dal nudo, anche se realizzato eticamente, Nash dice che «siamo tutti indottrinati. E siamo anche tutti repressi sessualmente. La nostra mentalità è ancora influenzata dal cristianesimo e dietro a frasi come “le donne non possono provare piacere” c’è la religione».
Continua: «Non capisco la logica di una donna che cerca di parlare a nome di tutte le donne. Da femminista, penso che il succo del femminismo sia: non puoi definirmi. Mi ricorda la faccenda delle Terf (trans-exclusionary radical feminist, ossia le femministe radicali che non considerano donne le trans, ndt). Smettete di dire alle persone cosa possono o non possono essere. Si può dare sostegno alle sex workers e allo stesso tempo combattere lo sfruttamento nell’ambito di quei lavori. In quanto femminista, dovresti fare proprio questo, dovresti rendere più forti le donne e aiutarle quando sono sfruttate… Ti può piacere il sesso e non il porno, ma perché devi cercare di decidere se il porno debba esistere o meno, parlando anche per le donne che invece vogliono guardarlo? Per me non ha senso e non ce l’ha nemmeno all’interno del movimento femminista».
I legislatori britannici stanno dibattendo su alcuni cambiamenti da introdurre nel settore della musica dal vivo, tra cui la proposta della tassa sui biglietti degli stadi. A inizio dicembre, il governo ha fissato una deadline per valutare la reazione dell’industria musicale a questa proposta. L’onorevole Sir Chris Bryant (Ministro per i Media, il turismo e le attività creative) ha scritto in una lettera che «vogliamo che entri in vigore il prima possibile, per i concerti del 2025, un’imposta volontaria sui biglietti delle arene e degli stadi. Perché questa tempistica sia rispettata, vogliamo vedere progressi tangibili in tutta l’industria musicale entro il primo trimestre del 2025».
Nel frattempo, oltre a piazzare un cartellone pubblicitario in Times Square (messaggio per i potenziali investitori: «Mandatemi un’e-mail»), Nash vuole chiedere a Lisa Nandy, Segretario di Stato britannico per la Cultura, i media e lo sport, di discutere la questione davanti a un tè. «Nandy è da una decina d’anni la persona più importante per la musica nel Regno Unito», spiega Nash. «Potrebbe aiutarci a cambiare le cose nei campi dei live e della musica registrata per renderli più etici. È tutto nelle sue mani. Vorrei convincerla a diventare un’eroina, perché abbiamo bisogno di lei. È la nostra salvatrice».
In fin dei conti, il problema della chiusura dei piccoli locali e dell’impossibilità di esibirsi per gli artisti indie e di media levatura riguarda chiunque ami la musica, a prescindere dal livello di reddito. «Qualcuno mi ha chiesto qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere. La mia risposta è che se le band non possono permettersi di andare in tour, i locali chiuderanno», dice Nash. «Se chiudono tutti, restano solo gli stadi e i palazzetti e quindi potremo solo assistere a concerti di quel tipo. La gente comincerà ad annoiarsi. Finirà che torneranno quei cazzo di gladiatori: povera gente che s’ammazza in uno stadio per far intrattenere il pubblico».
Ride. «Sto scherzando… più o meno. Vogliamo proteggere i musicisti a tutti i livelli. E c’è un modo per sistemare le cose, cazzo. Non dobbiamo lasciare che il tardo capitalismo distrugga l’unica cosa su cui siamo tutti d’accordo: ci piace andare ai concerti e ci piace ascoltare quella cazzo di musica».
Da Rolling Stone US.