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Viva Paul Di’Anno, l’antirockstar degli Iron Maiden perdenti e pericolosi

Il cantante morto lunedì è stato l’anima di una band diversa da quella rinata con ‘The Number of the Beast’. Era una scheggia impazzita, un cacciaballe, un bad boy, la voce di una generazione di zombie

Foto: Robert Ellis/Hulton Archive/Getty Images

Scopro che Paul Di’Anno, il cantante dei primi dischi degli Iron Maiden, ha lasciato questo mondo mentre vado verso il bancone a prendere una birra. E così, pinta in mano, brindo a questo genio dalle tendenze skinhead che – parole sue – aveva formato la sua pasta vocale proprio a furia di alcolici, interprete e autore senza peli sulla lingua che ha inventato di sana pianta quello che una volta era considerata la New Wave Of British Heavy Metal e che ha traghettato gli Iron Maiden verso il successo grazie alle sue dirompenti performance canore.

Ricordo ancora quando alle medie giravano cassette doppiate in casa della scena heavy metal di allora e ovviamente non potevano mancare gli Iron Maiden. Il loro debutto omonimo del 1980 e Killers dell’anno seguente erano colpi di cannone. Trovavo invece poco appetibili i capitoli successivi della loro saga. Qualcosa non quadrava, bastava ascoltare The Number of the Beast per avere la sensazione che si trattasse di un’altra band. Tutto era pulito, impeccabile, musicalmente perfetto, e anche la grafica non era da meno: il mostro Eddie sembrava si fosse asciugato i capelli con il phon dopo una bella passata di balsamo. E invece, già dalla copertina, il primo album degli Iron Maiden dipinge il marciume della società, niente immagini patinate: un ragazzo del futuro tossico e schizzato, uno zombie che si aggira in una città distopica.

Quello è il vero Eddie. Prima di diventare la mascotte del gruppo a favore di merchandising quasi disneyano era un’entità pericolosa che allo sguardo faceva male. Proprio Paul Di’Anno rappresentava la voce di Eddie, l’urlo di Munch di quella generazione di giovani zombie, un punk entrato nei Maiden quasi per caso, uno che viveva la strada come la sua casa e la cui occupazione principale era rovinare la serata a chiunque gli passasse vicino, a furia di risse. Cantante rock da teenager, Paul Andrews lavorava come chef e macellaio nell’Essex, dandosi il nome d’arte Di’Anno per sottolineare le sue presunte origini italiane (il padre ad ogni modo era brasiliano) e working class.

Messo in contatto coi Maiden grazie al primo batterista della band, Di’Anno era molto più vicino, per attitudine, al movimento hardcore che ad altro (il paragone che viene spontaneo è quello con Derby Crash dei Germs), tanto che era aduso perculare i bandmates per il loro tasso tecnico che riteneva superfluo, facendosi beffe delle loro uscite prog. Questo però gli permise di entrare nella formula dei Maiden come una boccata di aria fresca: il metal e le scorrazzate virtuose dei Maiden non potevano fare a meno della voce stradaiola di Di’Anno, del suo look tutto pelle nera e borchie che dava credibilità al tutto e alleggeriva il piglio da “riccardoni” degli altri componenti.

Grazie a questo contrasto tra Di’Anno e Steve Harris, mente compositiva della band, i Maiden davano una spallata a tutta la prosopopea dell’hard rock fino ad allora conosciuto, muovendosi su più piani e unendo più mondi musicali (tra i quali la new wave e il post punk), interpretando la realtà con uno sguardo di lucida follia. Follia che Di’Anno, antipoeta per eccellenza, incarna perfettamente fuori e dentro il palco: un personaggio da non imitare, un’antirockstar, un outsider distruttivo e autodistruttivo, un bad boy mai redento che però traghetta la band in profondità mai più raggiunte.

Il secondo album con Di’Anno, Killers del 1981, lo vede profetizzare il futuro dei giovani morti viventi, che improvvisamente – gonfi di sostanze eccitanti – da passive marionette diventano assassini che sgozzano a caso gente nelle metropolitane. L’intero mondo diventa una megalopoli sotto assedio, non c’è scampo: l’album è fondamentale per qualsiasi band thrash metal o speed metal che verrà, e Di’Anno incarna il disco a tal punto che, oltre a co-firmare la title track, comincia a bombarsi di droghe e alcol semplicemente per uccidere (appunto) l’idea di avere successo, e spesso non riesce a stare in piedi sul palco. La sua infelicità nella band è dovuta a un autosabotaggio quasi consapevole, per testare i limiti e la tolleranza dei suoi soci: si rende conto che il gruppo sta andando sempre più verso l’heavy metal puro allontanandosi dall’urgenza punk di cui non può fare a meno, ragion per cui lo “sfondarsi” diventa un modo per mantenere lo spirito selvaggio degli esordi.

Ovviamente Harris & Co. non sono dello stesso parere, decidono di parlargli e farlo rigare dritto, ma Di’Anno non si fa fare la predica, gioca d’anticipo e decide di mollare tornando ad essere un cane sciolto. Addirittura si fa dare, senza neanche chiedere i diritti d’autore, una semplice buonuscita che chiaramente si sputtana in bagordi. I Maiden non lo lasciano andare con piacere, anzi: si rendono conto di aver perso un grande frontman. Ma arriva Bruce Dickinson e diventa il cantante giusto al momento giusto. Perché i Maiden oramai sono una band di professionisti che non sgarrano di una virgola, vige la disciplina e al posto dei fumi mefitici di una vita di strada postatomica senza direzione arriva l’epica storica, la leggenda, il mito (che era presente nei primi Maiden, ma in maniera marginale).

Di’Anno invece prosegue la carriera cavalcando il destriero del caos con i Di’Anno, artefici di un hard rock che però – forse su pressione del manager – si sposta clamorosamente in zona AOR, contraddicendo le istanze punk del cantante, che infatti scioglie la band quasi subito. Si mette quindi al lavoro coi Gogmagog, un supergruppo messo su a tavolino dal manager Jonathan King, ma appena si rende conto di essersi infilato in una manovra commerciale lascia baracca e burattini. Deluso da tutto, fonda i Battlezone nel 1986, forse il suo progetto più valido, una sua interpretazione personale dell’heavy metal che – a causa degli alti e bassi dovuti alla sua proverbiale incostanza – arrivano a tanto così dal registrare dei classici del genere senza riuscirci pienamente (pubblicano due album tra l’86 e l’87). Anche in questo caso una gestione turbolenta della band, tra membri cacciati a pedate, uso massiccio di droghe e conflitti costanti tra personalità megalomani, porterà allo scioglimento.

Il progetto successivo di Di’Anno sono (guarda un po’) i Killers, che riprendono lo spirito crudo degli inizi del cantante con un power metal granitico: due album che nei primi ’90 vanno abbastanza bene, con un contratto che li lega alla Sony. Si sfiora in quel periodo anche il miracolo. Quando Dickinson lascia i Maiden sembra proprio che i vecchi compagni di viaggio lo rivogliano, scelta che sarebbe stata azzeccatissima visti poi i risultati pessimi del disco The X Factor col cantante Blaze Bayley.

A parte questo episodio, sembra che tutto vada a gonfie vele. Di’Anno si trasferisce negli Stati Uniti, si sposa. E invece ancora una volta le droghe e gli eccessi distruggono tutto, soprattutto il suo matrimonio (nel suo curriculum, tra l’altro, se ne contano cinque). Durante una lite con la sua ragazza Di’Anno tira fuori il coltello, viene fermato dalla polizia e arrestato e perquisito: troveranno di tutto nella sua casa, tra cocaina e armi, e lui viene messo al gabbio, considerato persona socialmente pericolosa. Da questo momento, bandito dagli Stati Uniti, la carriera di Di’Anno procede a singhiozzo, tra tentativi di rilanciarsi in Brasile – per motivi economici più che di origini – con i Nomads, problemi di salute sempre più evidenti a causa dei suoi bad habits e una incarcerazione per frode nel 2011 in Inghilterra che ne mina la tempra.

Nel 2021, costretto a un crowdfunding per sfangarla, gli ex compagni dei Maiden lo aiutano a coprire le spese di un intervento al ginocchio che riuscirà, ma questo non gli impedirà più avanti di finire in sedia a rotelle. Nonostante questo, l’impavido bad boy continuava a gridare nel microfono dei palchi di tutto il mondo, senza perdere un briciolo di punkness e di stile: non si è mai arreso al tempo e al suo destino di loser.

Chi sia stato veramente Di’Anno forse non lo sapeva neanche lui. Nelle interviste era famoso per contraddirsi continuamente, una tecnica che usava apposta per sviare le indagini sulla sua personalità (eclatante quando disse di essere diventato musulmano, nonostante bevesse come un cammello). La sua era la vita di una scheggia impazzita, un approccio costantemente di pancia di cui ha fatto le spese. Per noi, con le sue abbaglianti luci e le sue altrettante fagocitanti ombre, rimane l’antieroe rock per eccellenza: «Io sono un tipo che deve fare quello che si sente di fare», disse intervistato da True Metal nel 2004. E la mente va subito a Running Free dei Maiden: “I’ve got nowhere to call my own / Hit the gas, and here I go / I’m running free, yeah”.

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