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Sylvain Sylvain era pronto a morire sul palco

E invece se l'è portato via un tumore. Il chitarrista dei New York Dolls ha vissuto 50 anni di rock’n’roll con un grande spirito ed è rimasto fedele all’idea che «se la gente vuole il sangue tu devi darglielo»

Foto: Kevin Winter/Getty Images

Una cascata di riccioli neri coperti negli ultimi anni da una coppola che faceva un po’ Simpatiche canaglie e un po’ ammiccamento sexy; abiti sempre colorati o “chiassosi”, che non lo facevano passare inosservato; una propensione spiccata per le Ibanez e Gretsch; un senso dell’umorismo always on, guizzante, magari a volte un po’ autoreferenziale. Questo era Sylvain Sylvain – all’anagrafe Sylvain Mizrahi. Nato il 14 febbraio del 1951 e mancato il 13 gennaio 2021 per un cancro che combatteva da circa due anni, è noto per essere stato il chitarrista dei mai troppo celebrati New York Dolls, in cui peraltro divideva il ruolo con un’altra figura fondamentale di loser ed eroe sotterraneo: Johnny Thunders.

Della breve – ma intensa, nella migliore e stereotipata tradizione – avventura con i Dolls è Sylvain stesso a fare una fotografia vivissima e divertente (nella prefazione alla sua autobiografia There’s No Bones In Ice Cream), nel suo stile tipico, ricordando un episodio di un vecchio cartone animato in cui Daffy Duck, per conquistare il pubblico che ha di fronte, ingolla una tanica di benzina, polvere da sparo, uranio 238 e infine si butta un fiammifero acceso in bocca. Gli spettatori restano col fiato sospeso, ma sembra non accadere nulla… poi all’improvviso un’esplosione enorme, con le piume di Daffy che svolazzano per tutto il teatro fra l’ilarità generale e una montagna di applausi. A quel punto Bugs Bunny, il coniglio suo rivale, grida entusiasta a Daffy: «Ne vogliono ancora!», ma l’anatra è ormai una figura eterea, fantasmatica, che fluttua nell’aria in forma di spirito e gli risponde: «Lo so, lo so. È un grandissimo numero, ma posso farlo una sola volta».

In effetti per i New York Dolls così è stato: due soli album nella golden age (poi una reunion all’insegna della nostalgia negli anni 2000) che hanno avuto l’effetto della miscela ingerita da Daffy Duck. Sylvain, a questo proposito, spiega chiaramente la sua filosofia da performer nel volume già citato: «Quando sali sul palco, indipendentemente da tutto, devi promettere che sei pronto a morire là sopra. A detonare. A volare più in alto che puoi e poi, come fosse il 4 luglio, esplodere in una pioggia di fuochi d’artificio. Questo è tutto ciò che serve sapere sullo show biz. Il pubblico vuole il sangue e tu devi darglielo». E aggiunge, tratteggiando gli anni di massimo splendore dei Dolls: «Quando sei nell’occhio del ciclone, non sai neppure che c’è un ciclone. Sei solo in una rock’n’roll band, suoni, ti metti gli abiti di scena e fai tutto ciò che avevi sempre sognato. […] Non ci siamo mai messi a studiare un piano a tavolino. […] Nessuno ci ha mai detto come comportarci. L’abbiamo fatto perché eravamo così e volevamo fare in quel modo».

Nato in Egitto da famiglia ebrea, Sylvain è emigrato da bambino prima in Francia e poi negli Stati Uniti per fuggire alle persecuzioni di ordine politico-religioso nel suo Paese d’origine, dopo la crisi del Canale di Suez del 1956. A New York si appassiona al pop e al rock’n’roll, ma anche alla moda (con Billy Murcia mette in piedi un’attività di creazione e vendita di capi rock’n’roll); poi dopo un’esperienza coi Pox entra nei New York Dolls. È proprio lui a trovare il nome del gruppo, ispirato dal New York Doll Hospital, un laboratorio per la riparazione di bambole al primo piano di un edificio situato di fronte al negozio in cui lavora, il Different Drummer (una boutique di abbigliamento trendy).

Nei Dolls, in cui cinque personalità bizzarre e forti si coagulano, Sylvain diviene il perno attorno a cui tutto gira, il punto fermo. Lo spiega anche Lenny Kaye, chitarrista di Patti Smith (e non solo), in un accorato ricordo pubblicato in onore dell’amico scomparso: «Il suo ruolo nella band era quello di punto di riferimento, perché coordinava i satelliti che gli ruotavano attorno, i suoi compari nel gruppo». Sylvain stesso, in un’intervista del 2011 rilasciata a Rockpit, si è definito il membro della band coi piedi per terra, «il George Harrison del gruppo, quello tranquillo».

Ma non è tutto, riguardo al suo apporto alla band: Syl, infatti, agli albori dei New York Dolls dà dritte fondamentali all’amico Johnny Thunders che, pur essendo già un discreto chitarrista, non padroneggia ancora del tutto alcune tecniche. «Johnny veniva da me a farsi insegnare certe cose», ha ricordato in una lunga intervista inedita del 1993 con Devorah Ostrov. «Johnny era solito dire che gli avevo insegnato tutto ciò che sapeva e per me era un grande complimento. Io gli dicevo sempre: “Torna, ti mostro altre cose!”. Poi ci scambiavamo idee e riff, ci divertivamo in quello scantinato. A volte dormivamo lì, poi ci svegliavamo la mattina dopo e cominciavamo subito a suonare insieme. È così che abbiamo imparato l’uno dall’altro, suonando insieme il blues».

Dopo l’esperienza con i Dolls – implosi nel 1976, alla fine della loro prima vita – Sylvain non si è mai fermato e non si è allontanato dal rock’n’roll, come testimonia la sua discografia solista – e non – ampiamente documentata online (Criminals, Batusis e diversi altri progetti, spesso durati pochi istanti), nonostante non sia finito sotto le luci della ribalta o abbia raccolto grande gloria e riconoscimenti. Con grande ironia lo confermava lui stesso: «Una volta ho sentito Bono dire che i Ramones l’hanno influenzato, quindi ho pensato: “Allora c’entro un po’ anche io!”. Il problema è che mi è sempre andata male coi soldi. Ed è una cosa che a volte mi provoca amarezza, sai, perché non sono in grado di dare ai miei figli alcune cose, mandarli al college, dar loro da mangiare qualcosa di diverso dagli spaghetti… questa cosa mi fa molto male».

Ormai resta solo il frontman David Johansen a testimoniare e mantenere vivo lo spirito dei New York Dolls originari. Ma in questo momento l’unica cosa giusta da fare è mettere su un disco con Sylvain alla chitarra, uno dei tanti, e suonarlo al volume più alto possibile.

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