«Aspetta, questa devo provare a cantarla, altrimenti non mi ricordo i versi esatti». Ogni tanto Tiziano Ferro ha bisogno di “fare” Tiziano Ferro: il cantante puro, che nel nuovo album Accetto miracoli torna a raccontarsi intimamente. Definisce l’ultimo lavoro, quasi tutto prodotto da Timbaland, «un salto nel buio», ma anche il progetto che gli ha ridato la libertà. Di esprimersi, di cantare, di giocare con i suoni e le parole come faceva a vent’anni. Dunque, via. Lasciamogli cantare tutte le tracce. Dalla prima all’ultima.
Vai ad amarti
«È la canzone che, non a caso, apre il disco, anche se non l’ho scritta all’inizio del lavoro di composizione. È un brano di risoluzione, e contiene una delle frasi che preferisco di tutto l’album: “Mi rattrista ma adesso non sono io l’artista”. Mi riferisco a quando tutti ti inquadrano nella cornice dell’“artista”, e allora non ti si può più dire nulla. Vogliono di te un’immagine quasi poetizzata, ti chiedono di non cambiare mai: che cazzata. Io oggi non voglio più tutto questo. Non m’interessa l’immagine edulcorata del poeta, mi piace parlare del sentimento vero. L’ho sempre detto anche ai miei amici: sono un tipo passionale, romantico, ma non melenso. Mi rivolgo alle persone in maniera sfrontata, con le parole che usiamo tutti i giorni».
Amici per errore
«È una canzone che non ho scritto da solo. Mi è arrivato il demo e all’inizio non capivo l’idea di un amore così tormentato. Non ho mai vissuto un rapporto così, e non vorrei mai viverlo. Ho fatto diventare il pezzo un’altra cosa, una storia di sliding doors in cui mi domando: qual è la linea di separazione tra l’amicizia e una relazione che non è diventata amore perché la vita ti ha portato altrove, ma in cui restano un’attrazione e un’empatia fortissime? Tutti, nella nostra vita, abbiamo una persona da mettere in questo campo. De André ha fatto Le passanti, che all’origine era un pezzo di Georges Brassens: c’era un uomo che s’innamorava a prima vista delle donne che gli passavano davanti, e si chiedeva chissà cosa potrebbe succedere con questa, chissà come sarebbe con quell’altra. La mia non è una canzone autobiografica, ma mi sono divertito molto a scrivere e cantare questo testo».
Balla per me (feat. Jovanotti)
«Era da anni che volevo fare qualcosa con Lorenzo. Questo pezzo l’ho subito pensato come un duetto, e l’ho associato a lui. Non avevo mai avuto il coraggio di coinvolgerlo direttamente. Ora sentivo di avere la cosa giusta: se lo conosco, questa gli piace, mi dicevo. Lui era qui in California a registrare Lorenzo sulla Luna, sono andato a trovarlo in studio, ha ascoltato il provino mi ha detto subito di sì. Sembra che cantiamo insieme da trent’anni. Oddio, io da trent’anni con lui ci canto per davvero. Dai tempi di Jovanotti for President, anche se lui non lo sa. No, in realtà lo sa benissimo».
In mezzo a questo inverno
«È la prima canzone che ho prodotto da solo. Parla del rapporto con la morte. La frase centrale del pezzo mi fa intravedere l’urgenza dei miei vent’anni: “Dicevi da grande lo stesso problema ti sembrerà tanto ridicolo / Ma il giorno in cui sei volato via è proprio come immaginavo da piccolo”. Ho buttato, dentro questa canzone, delle cose che avrei potuto mettere solo qui. Cose che non riusciresti a dire in faccia a una persona: ci riesci solo quando quella persona non c’è più. Ho fatto fatica a scriverla. Produrla da solo l’ha resa ancora più intima, dolorosa».
Come farebbe un uomo
«L’ho scritta insieme al mio amico Emanuele Dabbono, che ho conosciuto nel 1998 all’Accademia Sanremo. Negli anni, abbiamo fatto tante cose insieme: Il conforto, Incanto, Lento/Veloce, in questo album anche Buona (cattiva) sorte. Come farebbe un uomo è quella che io definisco una “wedding song”, ma non è necessariamente dedicata al mio matrimonio. È più universale. Per questo canto: “Dedicarti ogni cosa mentre sorridi nel tuo abito da sposa”. Io a volte mi sento di essere solo una voce: non devo cantare solo per me e le mie storie, ma per tutti».
Seconda pelle
«Questo pezzo l’ho scritto con Giordana Angi. Anzi, ad essere più precisi: l’ho scritto con lei e per lei, quando la producevo. Ci tenevo così tanto che, alla fine, me la sono tenuta, riadattandola al mio pensiero. Mi piace perché è completamente scollegata dal disco. Parla d’amore, ma di un amore che Accetto miracoli affronta solo qui. Un amore tormentato, autodistruttivo: “Guerra guerra guerra / Ti ho ferito ma c’è sangue mio a terra”. È uno di quei rapporti tossici dai quali ci si libera in maniera molto complessa. Non è la mia esperienza, ma mi piace raccontarla. È un amore sbagliato, ma molto potente dal punto di vista letterario».
Il destino di chi visse per amare
«Sono io che parlo al vecchio me stesso: “Piangi quanto vuoi tanto io di te ricorderò il sorriso”. È la versione chiusa di me, quella che si proteggeva. Io oggi so che quella versione mi è stata utile. Senza quell’isolamento, non avrei capito dove avrei voluto andare. Perciò questa è, paradossalmente, una canzone piena di luce. Anche se non è facile dire addio al proprio migliore amico di un tempo. È come abbandonare per sempre il giocattolo di quand’eri piccolo. Nel Destino di chi visse per amare do un abbraccio al vecchio me stesso, e vado avanti».
Le 3 parole sono 2
«L’ho scritta da solo, come tante canzoni dell’album. Tutto è iniziato giocando al piano, che da un po’ di tempo ho ripreso a suonare: oggi lo faccio quasi tutti i giorni. Ho iniziato da tre accordi di un pezzo del primo album di Ed Sheeran, non mi ricordo neanche il titolo, so solo che c’era questo giro soul molto bello. L’ho usato per scriverci tutta un’altra cosa. Una volta facevo sempre così. A vent’anni prendevo i pezzi di Craig David, le ballate di Stevie Wonder, e poi i dischi di Cocciante, di Battisti. E tutto l’RnB anni ’90, da Mary J. Blige in giù. Partivo da lì e scrivevo le robe mie. Il divertimento di scrivere così, per istinto, giocando su un semplice giro musicale, mi mancava. In questo disco è successo di nuovo, e molto spesso. E, a quarant’anni, il gioco non è più così facile. Rispetto a quel giro di accordi iniziale, Le 3 parole sono 2 è diventato un pezzo molto più blues».
Casa a Natale
«Anche questa l’ho scritta con Giordana Angi. È nata da una frase che avevo scritto su un quaderno tempo fa, durante le feste: “Urlano al telegiornale nel servizio sul caos che precede il mio Natale”. Era un Natale molto complesso, quello in cui ho perso mia nonna, ero riuscito a tornare in tempo per vederla poco prima del funerale. Il Natale è sempre straziante, ha l’innegabile capacità di farti fare i conti con te stesso, di chiuderti dentro una stanza da solo con la tua consapevolezza. Per questo, è sempre molto catartico. Questa è la fotografia di un Natale, del mio Natale. È sempre molto semplice, siamo solo in quattro a Latina, io, i miei e mio fratello. Due anni fa è venuto anche Victor, ci tornerà anche quest’anno. Il Natale per me è sempre questo: il momento in cui pensi a tutto quello che è stato».
Un uomo pop
«È una delle mie preferite, anche se non ha nessuna velleità di singolo. È l’unico caso in cui ho chiesto a Timbaland il suo beat preciso, il suo timbro anni ’90. Gli ho detto: non so se farò mai un altro disco con te, perciò concedimelo solo una volta. Lui ha storto il naso: no, dai, ti prego. Alla fine, ce l’ho fatta. Un uomo pop 3.0 parla della figura dell’uomo di musica. “Un uomo pop che ti ha ingannato, che va ferito, seguito, risalvato”. È lo sporco lavoro del pop: dire la verità per quella che è. L’uomo pop non prende i premi Tenco, ma cambia davvero la vita delle persone. Ti può fare schifo, ma ti dice le cose come stanno: “Te lo dice l’uomo pop, l’inventore dello specchio”. Io mi sento un privilegiato, ad essere un uomo pop. Anche se questa parola viene spesso schifata».
Buona (cattiva) sorte
«Per me questa è una canzone molto sexy. Una canzone sui rapporti dissacrante. È come vedo io l’attrazione: deve essere istintivo. Qui l’attrazione verso un’altra persona passa attraverso le fragilità di quella stessa persona. A me le fragilità attirano molto. Canto: “Hai gli occhi di tuo padre / La bocca di tua madre / Sul tuo viso loro due stanno ancora insieme”. Mi piacciono molto le cicatrici, su chi le sa portare. Provo sempre una fortissima attrazione per i difetti».
Accetto miracoli
«È il primo testo dell’album che ho scritto. Era giugno del 2016, avevo appena finito di registrare Il mestiere della vita. La canzone era pronta, il testo era quello: già molto strutturato, in metrica. Ma la musica non mi veniva. Ed è raro che io scriva solo il testo di una canzone. Secondo me non ero ancora pronto a cantarla. C’è dentro il concetto di essere “fermo agli ostacoli”, e insieme di poter andare oltre. Se oggi penso che questa è la canzone da cui è scaturito il disco, ha tutto senso. “Nasce dal colore di una rosa appassita un’altra vita”. Sta tutto qui. Sapevo che da quel momento di impasse sarebbe nato qualcosa di costruttivo, ma ancora non lo vedevo. Poi, tutt’a un tratto, è successo. Giocando con Giordana Angi e Antonio Iammarino, abbiamo messo insieme la musica. C’era qualcosa nel mio inconscio che non voleva farla uscire, chiedere aiuto è stato necessario».