Stilare una classifica degli album di una band dal peggiore al migliore è un compito ostico. Lo è ancora di più quando il gruppo in questione è uno dei più discussi, idolatrati e spesso fraintesi della storia del rock. Nel caso dei Queen, una band che ha rivoluzionato il concetto di intrattenimento musicale, le cose si complicano ulteriormente: album dal vivo come Live Killers o Live at Wembley vengono infatti considerati dai fan alla stregua di quelli registrati in studio. Abbiamo quindi deciso di concentrarci solo su quest’ultimi, con l’esclusione di The Cosmos Rocks, primo e unico lavoro senza Freddie Mercury e John Deacon in formazione.
15. “Flash Gordon” (1980)
Commissionato da Dino De Laurentiis per accompagnare l’omonimo film basato sulle avventure dell’eroe dei fumetti creato da Alex Raymond, Flash Gordon ha permesso ai Queen di continuare a sperimentare con elettronica e sintetizzatori insieme al produttore tedesco Reinhold Mack. La scelta di pubblicare l’opera come vero e proprio album da studio e non come colonna sonora si rivelò controproducente, tanto che anche i die hard fans del gruppo la accolsero con meno entusiasmo del solito. Un unicum nella loro carriera, che tuttavia non impedì al singolo Flash di scalare le classifiche e a The Hero di farsi apprezzare dal vivo.
14. “Made In Heaven” (1995)
L’album postumo dei Queen non sfigura rispetto al resto della discografia, ma è il meno omogeneo della loro carriera, se non altro perché i pezzi provengono da session lontane nel tempo. Paradossalmente, i brani più validi sono quelli nati all’interno del gruppo, ma utilizzati dal solo Mercury nei suoi progetti solisti. Made In Heaven e I Was Born to Love You, risuonati da May, Taylor e Deacon, acquistano un altro valore. A Winter’s Tale e Mother Love, forse le ultime composizioni portate a termine in vita da Freddie, sono fra le cose migliori.
13. “Hot Space” (1982)
Oggetto di aspre critiche e infinite discussioni tra i fan, a più di trent’anni dalla pubblicazione Hot Space resta l’album più controverso di Mercury e compagni. Le sonorità disco di gran parte dell’opera sconcertarono a tal punto lo zoccolo duro dei fan, da far passare inosservati pezzi come Life Is Real, Put Out The Fire o Las Palabras De Amor che, come la celeberrima Under Pressure, non avrebbero sfigurato vicino ad altri classici del passato. Suonato dal vivo, molto materiale di Hot Space acquisì uno spessore superiore, a dimostrazione del fatto che i Queen sapessero comunque portare a casa il risultato anche in momenti di grossa difficoltà.
12. “The Works” (1984)
Reduce dalle polemiche legate a Hot Space e mai così vicina allo scioglimento, la band rientra in studio con l’intento di recuperare pubblico e credibilità. Il risultato è raggiunto grazie a una manciata di brani che ammiccano alle classifiche (Radio Ga Ga, I Want to Break Free) e riattualizzare stili come l’hard rock e il rock barocco grazie ai quali avevano avuto successo negli anni ’70 come Hammer to Fall, Tear It Up e It’s a Hard Life. È l’unico album dei Queen in cui tutti e quattro i componenti firmano una canzone estratta come singolo.
11. “Jazz” (1978)
A dispetto della presenza di hit conosciutissime come Bicycle Race, Fat Bottomed Girls e Don’t Stop Me Now, Jazz è forse l’album meno a fuoco tra quelli prodotti dalla band negli anni ’70. La scelta di spaziare tra troppi generi, figlia anche dei frequentissimi e feroci litigi tra i musicisti, non aiutò a trasformare un buon disco in un grande disco. Nemmeno il ritorno in cabina di regia di Roy Thomas Baker, a distanza di tre anni da A Night at the Opera, riuscì ad invertire la rotta. Contiene comunque perle da riscoprire come Jealousy e la travolgente If You Can’t Beat Them di John Deacon.
10. “Queen” (1973)
Quello da cui tutto ebbe origine. Un lavoro travagliato, composto molto prima di essere pubblicato e portato a termine nei tempi lasciati liberi da David Bowie negli studi Trident di Londra durante le registrazioni di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars. Spontaneo ma ancora acerbo, il debutto dei Queen è debitore in egual misura tanto del prog che del rock di band come Led Zeppelin e Who, ma mostra già in nuce alcune delle caratteristiche che li avrebbero resi celebri. Tra i brani più significativi spicca Doing All Right, nata ai tempi degli Smile, il gruppo pre Queen formato da Brian May, Roger Taylor e Tim Staffell.
9. “A Kind of Magic” (1986)
Spinti dal successo stratosferico dell’esibizione al Live Aid e chiamati a realizzare le musiche per il film Highlander, i Queen ritrovarono l’entusiasmo di un tempo e registrarono uno dei loro lavori migliori. Abbandonata l’elettronica, la band tornò a lavorare su sonorità più fedeli alla loro storia, puntando su un pop-rock di facile presa, ma non per questo meno ricercato. Le sferzate hard di Gimme The Price, One Vision e Princes Of The Universe, unite alla dolcezza di One Year of Love e Who Wants to Live Forever, dimostrarono che la band non avesse perso nessuna delle proprie anime.
8. “The Miracle” (1989)
Epico, autoreferenziale ed energico, The Miracle poteva essere l’ultimo capitolo della storia della band. Dopo una vita di soddisfazioni ma anche di litigi, May, Taylor e Deacon si compattarono intorno a Mercury, ormai consapevole del proprio destino e, per la prima volta, decisero di accreditare tutti i brani a nome Queen. La varietà di stili, accomunati da una potenza che non si sentiva da anni, portò alla pubblicazione di ben cinque singoli e alla composizione di Was It All Worth It, vera perla dimenticata di una band consapevole di non avere più tempo, ma desiderosa di dimostrare di avere ancora molto da dire.
7. “The Game” (1980)
Cambia il decennio e la band si apre a sonorità non più legate all’immaginario dei ’70. Lo si capisce già dal look della band, che somiglia a una gang di biker. Sono però le canzoni a sorprendere maggiormente: l’utilizzo di sintetizzatori porta i Queen ad esplorare territori musicali inediti, con cui rinvigorire una formula che rischiava di farsi ripetitiva. Il risultato è un album che coniuga il classico songwriting del gruppo e il desiderio di aprisi a generi differenti. Another One Bites the Dust, col suo incedere fortemente black, diventa il loro maggior successo di sempre e li porta a scalare le classifiche americane.
6. “Sheer Heart Attack” (1974)
Seconda opera del 1974, Sheer Heart Attack rappresenta l’ultimo tassello evolutivo prima dell’esplosione su scala mondiale. Sempre più consapevoli delle proprie potenzialità, e nonostante l’assenza per lungo tempo di Brian May per problemi di salute, i Queen compongono il loro primo album classico, che li porta a scalare le classifiche grazie a Now I’m Here e, soprattutto, Killer Queen. Per la prima volta, John Deacon appare come autore di canzoni con la singolare Misfire. Per molti musicisti e addetti ai lavori è l’album migliore della discografia.
5. “News Of The World” (1977)
Dopo la sbornia di sovraincisioni del passato, complice anche l’arrivo del punk, i Queen rendono la musica meno stratificata senza tuttavia rinunciare alla loro tipica grandeur. Lo provano le iniziali We Will Rock You e We Are the Champions, inni che nel giro di qualche tempo diventeranno patrimonio di ogni rocker (e amante dello sport) sulla faccia della terra. Tutto l’album convince, soprattutto grazie a un songwriting maturo e alla produzione essenziale di Mike Stone, lontana anni luce dagli eccessi sonori degli esordi. My Melancholy Blues è il brano da riscoprire.
4. “Queen II” (1974)
Il secondo album trasforma la band. Il sound si fa più corposo e sicuro, così come è evidente il desiderio di utilizzare al meglio le possibilità offerte dai Trident Studios. L’immaginario L’uso massiccio di voci, armoni e strumenti stratificati fa del disco uno dei grandi pilastri dell’hard rock inglese. L’album era diviso fra Lato Bianco, composto per lo più da May, e Lato Nero, opera di Mercury. Ogre Battle e The March of the Black Queen sono i classici nascosti.
3. “A Day at the Races” (1976)
Aspramente criticato dalla stampa specializzata, che lo considerò frettolosamente una copia minore di A Night at the Opera, il quinto album dei Queen rappresenta in realtà il gemello del precedente, col quale condivide tanto l’ambizione quanto la voglia di superare gli stilemi classici del rock. E poi contiene Somebody to Love, una delle tracce più celebri dell’intera storia della musica popolare che, da sola, vale l’intera discografia di decine di altre band. Forse manca l’effetto sorpresa, ma le promesse sono mantenute dall’inizio alla fine. Da recuperare Drowse, uno dei brani migliori scritti da Roger Taylor.
2. “Innuendo” (1991)
Il vero capolavoro della maturità. Stremati dalle condizioni di salute di Mercury e consci di avere i giorni contati, i Queen si ripresentano sul mercato discografico con un’opera epica e debordante, in cui testi e sonorità sono drammatici, ma mai disperati. È un inno alla vita e alla determinazione nell’andare avanti nonostante tutto, attaccandosi a ciò che di bello e di terribile l’esistenza dà. Con la title track, ma anche con le maestose All God’s People, These Are the Days of Our Lives e la conclusiva The Show Must Go On, i Queen toccano vette inimmaginabili per un gruppo arrivato a quel punto della parabola artistica e umana.
1. “A Night At The Opera” (1975)
Se davvero esistesse una classifica dei dischi oggettivamente perfetti, A Night at the Opera ne farebbe parte. Esagerata, barocca e decadente, la quarta prova in studio rappresenta la quintessenza della musica, della visione e della sfrontatezza dei Queen e di ogni suo componente del gruppo. Da qui in avanti, ogni loro opera uscirà sconfitta dal paragone con A Night at the Opera e, soprattutto, con Bohemian Rhapsody, classico senza tempo su cui nessun discografico avrebbe scommesso un centesimo nel 1975. E se vi siete stancati di Boh Rhap, andatevi a recuperare Death on Two Legs o The Prophet’s Song…