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Tutto quello che sappiamo sul nuovo album di St. Vincent

'Daddy's Home' «è il suono della Downtown stracciona di New York nel 1973, zero glamour e molto sporco sotto le unghie». Racconta «storie di persone imperfette che fanno del loro meglio»

La foto dei cartelloni pubblictari del disco apparsa in vari social

La fotografia di due cartelloni pubblicitari apparsa in vari social ha rivelato quelli che dovrebbero essere il titolo e la data di pubblicazione del nuovo album di St. Vincent, il primo dopo Masseduction del 2017 e le sue appendici MassEducation e Masseduction Rewired. Il disco si intitolerà Daddy’s Home e uscirà il 14 maggio.

«Chi è il tuo paparino?», si legge sul cartellone pubblicitario scritto in stile rétro. «St. Vincent è tornata con un disco di canzoni tutte nuove. Wurlitzer caldi e verve, chitarre scintillanti e grinta». E poi lo slogan: «Ti porta da uptown a downtown di New York con l’artista che ti spinge ad aspettare l’inaspettato».

L’abbigliamento e la parrucca indossata dalla musicista fanno pensare a un disco fortemente ispirato agli anni ’70. Non a caso, il cartellone promette che il lavoro uscirà «su vinile, cassetta, 8-track e altri supporti».

St. Vincent ha commentato le voci con un tweet ironico: «Non c’è niente da vedere qui».

La musicista ha però parlato dell’album con gli autori della newsletter The New Cue. Pur non confermando il titolo, né tantomeno dando informazioni specifiche sulle canzoni, ha spiegato lo spirito di Daddy’s Home. Ecco le cose che abbiamo appreso.

È un disco newyorkese
Lo dice St. Vincent: «È il suono della Downtown stracciona di New York nel 1973. Glamour che non dorme da tre giorni». La parrucca, il completo e le scarpe del cartellone non mentono. Del resto, in ogni album St. Vincent ama calarsi in un nuovo personaggio.

St. Vincent voleva sentirsi più libera e “fluida”
«Col senno di poi, mi sono resa conto che l’ultimo album e il tour erano incredibilmente rigidi, per gli abiti che indossavo e che mi costringevano letteralmente, ma anche per lo spettacolo poco flessibile e per la musica spigolosa. Quando ho finito il tour mi sono detta: ora voglio solo cose fluide e sinuose, voglio che la mia nuova musica sembri un film di Cassavetes. Desideravo toni caldi e non distorti per raccontare storie di persone imperfette che fanno del loro meglio. Che è un po’ la mia vita».

Ha ascoltato molta musica anni ’70
Mentre lavorava all’album Annie Clark ha riascoltato dischi prodotti a New York fra il 1971 e il 1976, «quelli post flower power, che prendevano a calci in culo l’idealismo hippie. Un’America in recessione, ma prima della disco, nichilista e grezza. Non è un periodo glamour, c’è molto sporco sotto le unghie».

È prodotto con Jack Antonoff
A differenza di Masseduction, che l’ha quasi esaurita, Daddy’s Home è stato registrato senza drammi. «Ero agli Electric Lady Studios di New York e volevo fare questo disco lurido e squallido, e Jack era della partita. Ha tirato fuori un gran suono di Wurlitzer, roba super funk». Sembra un disco fatto da una band, «da cinque o sei persone in una stanza», ma non lo è.

C’è un pezzo ispirato al padre in prigione
«Mio padre è uscito di prigione nel 2019. È stato dentro per 10 anni. La prima canzone scritta per l’album parla di quando andavo a trovarlo e firmavo ricevute accartocciate di Target che qualcuno aveva lasciato nella stanza delle visite. È incredibilmente triste, ma è anche incredibilmente assurdo e tutta la famiglia ha trovato un modo per riderci su».

E questa dovrebbe essere la copertina:

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