Vittorio De Scalzi se n’è andato, vittima di una fibrosi polmonare che lo aveva colpito a seguito del Covid. L’ultima volta che ci eravamo sentiti era stato in occasione del cinquantennale di Concerto Grosso dei New Trolls. Lo avevo raggiunto telefonicamente nella sua casa di Sanremo e lui, pur affaticato e indebolito dalla malattia, non si era tirato indietro per raccontarmi storie e retroscena di quel mitico album. Di più, a ogni parola sembrava acquistare nuova forza, si infervorava nel ricordare i tempi andati, mi raccontava di progetti futuri, sentivo il suo entusiasmo crescere e la sua voce farsi sempre più sicura. Ascoltandolo sentivo a pelle quello che avevo sempre pensato, ogni volta che lo avevo visto dal vivo o di persona: Vittorio e la musica erano una cosa sola.
Sapeva suonare di tutto e lo suonava bene: tastiere, chitarra, basso, batteria, flauto. L’ho sempre visto come il Paul McCartney italiano perché il suo modo di destreggiarsi con gli strumenti arrivava sempre dritto al cuore ed era in grado di comporre eccellenti canzoni pop. Non solo. In quattro e quattr’otto passava a concepire suite progressive. Era l’anima melodica dei New Trolls a fare da contraltare a quella più hard di Nico di Palo. Vittorio era la voce più morbida, Nico quella altissima. Vittorio metteva il suo sigillo a composizioni nelle quale, anche in ambito progressive, non era il virtuosismo a contare bensì la costruzione della canzone che poi veniva arricchita di spunti presi dal folk, dalla classica e dal jazz. In pochi anni era stato in grado di contribuire a un classico della canzone melodica come Una miniera, a buttarsi nel cantautorato rock di Senza orario senza bandiera, a concepire opere che hanno reso l’italia prog celebre in tutto il mondo, come Concerto Grosso, a schizzare tra hard rock e psichdeleia in Searching for a Land e Ut.
Poi i New Trolls si sono sfaldati, ma Vittorio non si è fermato, ha messo su gli Atomic System e via con altri due capolavori prog: l’album omonimo e Tempi dispari, registrato dal vivo e con due lunghe scorribande di puro jazz-rock che mai te lo saresti aspettato. Nemmeno il tempo di godersi la nuova band che i New Trolls si riformano, esce Concerto Grosso 2 e la tela si amplia ancora, non più solo prog, ma anche un rinnovato afflato pop e nuovi stimoli disco e funk. E in testa sempre lui con la sua inventiva che nel 1978 gli fa partorire Quella carezza della sera, il manifesto melodico dei New Trolls. Un brano che i progger duri e puri non gli perdoneranno mai e che invece lascia a bocca aperta per la capacità di un uomo che ha saputo passare attraverso mille generi e farli tutti bene.
Ci sono nuove diatribe con la band, nascono La storia dei New Trolls, il mito, la leggenda… C’è una reunion con la formazione storica e poi di nuovo altre separazioni. Ritrova l’amico di sempre Nico e poi lo abbandona di nuovo. Nel frattempo Vittorio mette su una sua band e porta avanti la storia del gruppo, proponendo rinnovate versioni dei due concerti grossi e concependone uno totalmente nuovo: The Seventh Season. La baraonda non si ferma: ci sono dischi cantautorali, lavori in dialetto genovese, ospitate a destra e manca, concerti a non finire. Quando mi capitava di incontrarlo in uno studio di registrazione a Genova e magari qualcuno gli chiedeva timidamente l’onore di avere un suo cammeo al flauto o alla chitarra, non si tirava mai indietro. Non gli importava che tu fossi famoso o meno, se poteva ci metteva del suo, elargiva consigli, era sempre presente e attento. Un vero uomo-musica che viveva le sette note non solo come un mestiere, ma come una ragione di vita.
“Con te se ne parte la primavera”, cantava il suo grande amico Fabrizio. Con Vittorio se ne va un modo di concepire la musica senza barriere, un amore così ampio che porta a toccare ogni sfumatura di questa arte, confrontandosi senza paura con tutti i generi possibili. Non fermandosi mai, ma avendo sempre voglia di crescere, cercando di placare una fame che, fortunatamente, non sarà mai soddisfatta.