Alberto Piccinini: Ce l’hai il numero di telefono di Dargen D’Amico? Una mail? Lo conosci, no?! Mi pare uno simpatico, a posto, io non capisco come possa dormire sonni tranquilli adesso che la sua Dove si balla è finita nella playlist del comizio di Giorgia Meloni giovedì scorso a Roma. Trascrivo la cronaca de Il Giornale perché su queste cose non si scherza, e io non voglio scherzare: “La prima canzone partita dai microfoni è Sarà perché ti amo dei Ricchi e poveri (…) Sono state scelte anche Non sarà un’avventura di Lucio Battisti e Meraviglioso, oltre che famosi pezzi di Loretta Goggi, Cesare Cremonini, Vasco Rossi, Rino Gaetano, Edoardo Bennato e Dargen D’Amico”. Battisti, Bennato, Tolkien vabbè che tristezza, lasciamo stare Rino Gaetano che ha avuto già una vita abbastanza sfigata, Vasco Rossi che canta sempre le stesse tre frasi, ma dico: qualche decina di migliaia di phascisti scatenati sui versi “sui rottami / balla” non ti fa venire i brividi? Non dirmi che c’è dell’ironia in questo perché non vale. Dargen, dissociati. No. Quattro no. Impara da Fedez e da sua moglie Ferragni. Impara almeno da Ligabue e Stefano Accorsi che hanno diffidato la Lega dall’usare il vecchio monologo di Radiofreccia “Credo nelle rovesciate di Bonimba” in uno spot elettorale peraltro terrificante. “Credo” è lo slogan di Salvini (era brutto anche il monologo, si può dire).
Giovanni Robertini: Lanciamo l’appello a Dargen, sono d’accordo, ho visto dalle sue Stories che è in vacanza in Giappone, magari sta cosa gli è sfuggita, ha di meglio da fare. Però di solito è uno attento, consapevole, con ironia. Il suo pezzo sanremese è una raffinata analisi sociologica del sientimento nuevo dopo due anni di pandemia, ha fatto il liceo classico Parini – quello della sessantottina Zanzara – twitta sul referendum per la cannabis, e sul palco dell’Ariston ha chiamato in causa in governo Draghi per essersi dimenticato delle piccole realtà musicali. Quindi que viva Dargen!, anche se quel suo verso “che brutta fine / le mascherine” può essere piaciuto agli aperturisti anti DPCM… non era certo quello l’obiettivo. Dicevamo dell’appello, facciamolo alla Totò e Peppino, credo Dargen apprezzi: «Signor D’Amico, veniamo noi con questa mia addirvi che sarebbe graditissima cosa qualora e se voi in cuore vostro voleste esprimervi in merito all’utilizzo della canzone Dove si balla durante un comizio politico della destra. Salutandovi distintamente, i fratelli Picci e Ciacco che siamo noi, punto due punti e punto virgola».
AP: Sottoscrivo, di brutto. Dimenticavo: all’elenco del Giornale manca Su di noi di Pupo che ha chiuso la kermesse purtroppo con nessuna ironia (“Su di noi gli amici dicevano no / Vedrai è tutto sbagliato”), mentre Giorgia si sparava i selfie col pubblico. Pupo, come sempre, c’era. Un punto di riferimento. Vabè. Se vai su Wikipedia trovi una voce interessante: “I musicisti che si oppongono all’uso della loro musica da parte di Donald Trump“. Sono in 26, da Adele ai White Stripes passando per Pavarotti e i Rolling Stones. Invece un pezzo monumentale di Rolling Stone US ne mette in fila 35 sommando tutte le controversie a cominciare da quella di Springsteen contro Reagan sull’uso di Born in the U.S.A. A quando una voce di Wikipedia di cantanti nostri che si oppongono al phascismo? Dici che Elodie e Loredana Bertè è un po’ pochino? Non so che farci, giudicheranno i posteri.
GR: L’amico mio etiope dice che fa il voto tattico, Conte, per la questione dei seggi, una sorta di diagonal o catenaccio, contro il “gioco totale” del voto utile. Ho i miei dubbi, ma intanto penso… che fine avranno fatto le “bimbe di Conte”? Ho controllato, hanno ancora la loro pagina Instagram, 245k followers, mica male, e l’altro giorno hanno fatto un video con il candidato, una “bimba” con maglietta Pyrex e Conte col solito camicione bianco rigido che ridono e scherzano, seguendo la wave dei politici su TikTok. Poi l’algoritmo mi segnala le seguitissime “bimbe di Mattarella” e “le bimbe di Francesco Costa”, il vice direttore del Post che è stato appena santificato dal New Yorker facendo incazzare e rodere d’invidia tutta la bolla. E noi di chi vogliamo essere “bimbe”? Cioè, vogliamo o non vogliamo?
AP: Ah, di Costa sul New Yorker l’ho letto. La battuta migliore: a colazione in via Tortona che sono giornalisti si riconosce da come sono vestiti male. Puro Truman Capote del Ticinese. Comunque il New Yorker dice di non preoccuparsi troppo della Meloni. Dici che la sto facendo troppo tragica? Forse sì. Vivo queste ultime ore con grandi sbalzi d’umore. Un po’ penso che lunedi entro in lockdown con le serrande abbassate, gli incensi accesi, il pranzo con Glovo, la musica di Nils Frahm (Music for Animals, appena uscita, una rottura di coglioni mortale), e chi s’è visto. Un po’ penso che farò finta di niente. Fai come i terrapiattisti, mi ha suggerito un’amica, la Meloni non esiste. Ma prima di sparire ti prego scriviamo a Dargen. Trova la mail, dai.
GR: La cerco subito, anche se è tardi e già mi è presa l’angoscia. Non riesco neanche a sentire il nuovo dei Verdena, sarà fico, non ne dubito… ma non è il momento. Giusto Horace Andy con il suo nuovo Midnight Scorchers mi tira su, lo ascolto fissando la tessera elettorale sul tavolino, ottima carta semi rigida, tipo i vecchi biglietti del tram, chissà quanti fitrini ci verrebbero. Vabbè, ti chiamo domenica dopo che sono stato al seggio, magari Dargen avrà risposto.