Ma cos’hanno i ciclisti che non va? Odiano la vita oppure solo gli automobilisti? Come fanno a ostinarsi a intasare le strade e il mondo, mettendo in pericolo loro stessi e noi che guidiamo, con il loro girovagare? Solo nel 2017 ci sono stati più di 250 morti solo in Italia, una media di un morto e mezzo al giorno. L’Agi fa un interessante parallelismo: l’equivalente dei partecipanti al Tour de France. Ogni anno. Stecchiti. Un po’ è colpa della rete stradale che è un colabrodo un po’ del loro comportamento perennemente indisciplinato.
C’è un articolo del codice della strada, il 182, che al primo comma dice: “I ciclisti devono procedere su unica fila in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano e, comunque, mai affiancati in numero superiore a due; quando circolano fuori dai centri abitati devono sempre procedere su unica fila, salvo che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro.” Quante volte ne avete trovati che ammorbano tutto il traffico viaggiando in gruppo? E avete mai visto una volta che sia una nella vita, un vigile multarli per questo? Oppure, al quarto comma: “I ciclisti devono condurre il veicolo a mano quando, per le condizioni della circolazione, siano di intralcio o di pericolo per i pedoni. In tal caso sono assimilati ai pedoni e devono usare la comune diligenza e la comune prudenza”. Sì certo, come no.
Faccio un sacco di chilometri e conosco le strade di mezza Italia. Non ce ne sono di adatte alla bicicletta. Cioè sulla carta la strada è di tutti, ma dobbiamo essere realisti. Camion, tir, furgoni, camper, SUV, monovolume, sono i pachidermi che ci annegano coi loro tubi di scappamento. Se la sono presa loro la strada ormai, facciamocene una ragione. In Italia siamo i primi in Europa per numero di auto per ogni abitante, abbiamo 37 milioni di veicoli immatricolati e ci spostiamo tutti in massa di continuo anche per andare al cesso. Ergo le strade sono un casino. Eppure i ciclisti imperano. A Milano si ostinano per istinto suicida a pedalare tra binari del tram e pavè e fuori dalla città, fino a Foggia, te li trovi anche in superstrada. Li guardi andare al lavoro col volto martoriato dalla fatica, traballanti, a 3 km/h. O sono delle mine vaganti e goffe oppure si avventurano nei luoghi più insensati, come dei piccoli cazzo di esploratori Tobia.
Come dicevamo prima, ormai in bici non ci sono regole: si va tranquillamente contromano, sul marciapiedi, a zig zag. E il ciclista ti fissa sprezzante, con quell’aria da salva-il-pianeta. Che sto facendo di male?. Per quanto uno possa amare spostarsi in bicicletta non riesco a capacitarmi di come gli possa piacere farlo in una strada urbana pensata e concepita per le auto.
Anni fa parlai con uno delle critical mass che era addirittura contrario alle piste ciclabili, che considerava alla stregua di recinti per cani. Secondo la sua visione uno sulla pista ciclabile non impara davvero a stare in strada, ma pedala come un automa. Un pensiero che ancora mi dice tanto della mentalità del ciclista. Quello che veramente urta dei ciclisti è il vittimismo, il loro sentirsi costantemente parte lesa. Potrebbero che ne so creare dei comitati, fare degli incontri di sensibilizzazione sul tema della sicurezza, ma figuriamoci. Tra loro vige un vittimismo totale.
Le macchine sono il Male. Eppure potrebbero decidere di migrare in massa e fondare una nazione per soli ciclisti. Ci sono tante aree spopolate nel mondo, di sicuro nessun Paese avrà problemi a concedergli qualche chilometro quadrato di steppa o deserto in cui possono edificare il loro sogno: una civiltà che pedala, senza ammorbare tutti gli altri cristi che non pedalano. È utopia, è un pensiero politicamente scorretto. Ma a volte le cose sono semplici, basta essere realisti.