Un incubo ricorrente: ritrovarsi nudi in piazza. I propri genitali esposti al pubblico ludibrio. Ma c’è di peggio: i propri dati fiscali esposti al pubblico ludibrio. Hai il codice corto! Ci fingiamo tutti un po’ più ricchi al bancone del bar, finché non conviene mostrarci tutti un po’ più poveri alla scrivania del commercialista: ora temiamo che migliaia di partita Iva, sorelle di sventura e avversarie nella lotta all’ultimo tozzo di bonus, sappiano quanto più poveri siamo. Con quel fatturato non avresti fatto godere nemmeno gli ispettore di Equitalia, erotomani della riscossione. Temiamo che le altre Perdite Iva (sono partite il cui risultato finale si conosce in anticipo) scoprano i numeri delle nostre miserie.
Il dubbio era: lotta nel fango o clic-day? Fatichiamo a trovare le mascherine chirurgiche, figurati, fattelo spedire tu, tutto quel fango, dalle pianure alluvionali olandesi. E così Giuseppe ha optato per il clic-day. Ne resterà soltanto uno. L’unica partita Iva che otterrà il bonus brandirà uno spadone a due mani, porterà il kilt, la chioma di Cristopher Lambert, sarà contornato da teste mozze di venditori Folletto e avvocati civilisti. In queste ore moltitudini bibliche sono entrate nel sito dell’Inps per richiedere il bonus da 600 euro promesso dal governo. Il sito ha guardato PornHub, gli ha detto, “ora capisco le tue occhiaie”, e poi ha sbroccato. Gli è andato proprio in pappa il cervello. Tu vendi graffettatrici e portapenne nel negozio di tuo nonno in periferia, e di colpo entra l’intero Circo Loco di Ibiza.
Così sugli schermi degli autonomi, da anni orfani di ogni tutela statale, rilucono i profili di altri orfanelli che se s’ammalano gli conviene pregare. Il più presenzialista dei profili comparsi a cazzo di pin è quello di Luciano Vangone. Un profilo ambizioso, capace di dire al suo proprietario: ti sopporto da vent’anni, non ci hai mai resi famosi, adesso ci penso io. Il destino sprizza simpatia da tutti i casi. Sceglie te, che hai nel cognome un arnese contadino e un accrescitivo. Che sei una grossa vanga con le palle. Nessuno ci pensa sul momento, ma il cervello traduce il Vangone in un oggetto buffo. Quando hai tutte le fortune. Luciano. Vangone. Due parole, entrambe piane. Due enne come penultima lettera. Suona che è una bellezza. Luciano Vangone. Potremmo ripeterlo ore.
Il destino si è incarnato nell’algoritmo, l’algoritmo ha scelto te. Cazzo ti volti indietro? Dico proprio a te. Perché io? E chi se ne frega! L’algoritmo fa la minchia che gli pare. Piglia uno-fotte un altro-ignora un terzo. Le misure post-coronavirus accerchieranno il nostro privato fino a comprimerlo in uno spazio grande quanto una nocciolina? Bene, per la prossima epidemia totalitaria l’algoritmo ha scelto te, Luciano Vangone, come paziente zero. Sei tutti noi. Il signor Rossi fuor di stereotipo. L’italiano medio dal cognome abbondante. Con quel tanto di nazionalismo che lo rende più perentorio: dal latino, quando sì che spaccavamo il culo ai crucchi, “discendente di Lucio”. Uno nessuno centomila Vangoni. Je suis Lucianò Vangonè. Essere Luc Vangonich. Se Franz Kafka fosse stato meno stitico e avesse saputo bollire la pasta come dio comanda, altroché K., Luciano Vangone sarebbe stato processato a caso, avrebbe cercato di raggiungere invano quel castello là in fondo, si sarebbe trasformato, nel suo letto, in un enorme CUD immondo. Luciano Vangone, un nome che resterà nei libri di Storia per celebrare il totalitarismo fuzzy del nuovo millennio, la distopia burocratica all’amatriciana.
È il contrappasso della corsa alla popolarità. Tutti vogliono essere Chiara Ferragni e si ritrovano a essere Luciano Vangone. Tutti vogliono essere influencer e si ritrovano perdite Iva. Tutti vogliono essere Batman. Luciano Vangone è Robin, ma senza nemmeno quella cazzo di mascherina striminzita a nascondergli sopracciglia e codice fiscale. Ti vogliamo un bene esentasse, Luciano.