Queste righe sono dedicate a tutte le persone che commentano i nostri articoli di politica e di opinione scrivendo: “Perché non vi occupate solo di musica?”. Secondo queste persone Rolling Stone sarebbe solo un rivista di critica musicale, quindi non competente per parlare di temi politici, né tantomeno prendere posizione. Soprattutto, sembra, quando queste posizioni sono sgradite.
Cercheremo dunque di essere il più chiari ed essenziali possibili: cari lettori e commentatori da social, dovete sapere infatti che la politica è nel Dna di Rolling Stone fin dalla sua nascita nel 1967.
Jann Wenner, insieme al critico musicale Ralph J Gleason, ha fondato Rolling Stone come una sorta di barometro delle sensibilità artistiche e politiche del movimento studentesco degli anni ’60.
Pensate alla prima cover in assoluto, che ritrae John Lennon in divisa militare. È il 1967 e i giovani americani stanno morendo nel Vietnam: Rolling Stone fa suo il messaggio pacifista dell’ex Beatle e si schiera apertamente contro la guerra. Oppure la cover del 1981, forse la più famosa della storia del magazine, che ritrae ancora John Lennon e Yoko Ono nudi nel loro letto, scattati da Annie Leibovitz, solo poche ore prima che il cantautore venisse assassinato. Anche quella cover “scandalosa” rappresenta un preciso messaggio politico di liberazione.
Nel corso della sua storia, Rolling Stone ha accentuato sempre di più la sua vocazione a commentare la politica americana e internazionale. Sono celebri le sue cover story che hanno raccontato lo scandalo Watergate e la caduta di Richard Nixon, le Black Panthers, la National Rifle Association, Bill Clinton, l’11 settembre 2001, l’invasione dell’Iraq, George W. Bush, la crisi finanziaria (celebre la definizione di Matt Taibbi su Goldman Sachs: “Un vampiro avvolto sul viso dell’umanità”), Barack Obama, Justin Trudeau (“Perché non può essere lui il nostro presidente?”), Donald Trump. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Rolling Stone si occupa costantemente di ambiente, politiche sociali, diffusione delle armi e affari internazionali.
Alla luce di tutto questo, se ancora vi ostinate a dirci “Parlate di musica” noi non possiamo che rispondervi: no. La politica fa parte dell’identità di questo giornale da sempre, e continuerà a essere così. Fatevene una ragione.
Però, dato che amiamo le voci dal coro, continueremo a leggere e considerare i vostri commenti, come il seguente: