«Questa canzone ci ricorda che la libertà è una cosa preziosa e bisogna combattere per conservarla e difenderla», osserva il cantautore Vinicio Capossela nella prima scena del documentario Bella ciao – Per la libertà di Giulia Giapponesi. Vinicio, “primo Virgilio” in questa storia, si trova a casa Cervi, a Reggio Emilia, la casa dei sette fratelli partigiani fucilati dai fascisti il 28 dicembre del 1943. Oggi quella casa è diventata il Museo della Resistenza, ed è simbolicamente potente che il racconto parta proprio da quel luogo che diede i natali alla cosiddetta “Banda Cervi”. Ovvero uomini democratici, antifascisti votati alla libertà, forse il bene più prezioso insieme alla vita stessa.
Il film – prodotto da Palomar, Rai e Istituto Luce – sarà in sala l’11, il 12 e il 13 aprile grazie a I Wonder e poi il 22 aprile visibile su Rai 3, quasi alla vigilia della Festa della Liberazione. L’opera di Giapponesi si compone di interviste a cantautori (oltre a Capossela, Carlo Pestelli, Cisco ex Modena City Ramblers), storici (Marcello Flores D’Arcais, Cesare Bermani), attori (Moni Ovadia), partigiani e intellettuali. Materiale di repertorio (Luce e Rai) e immagini girate ad hoc (vediamo, oggi, i sottotetti di case che nascondevano i partigiani).
Narra le origini comunque incerte (forse canto di mondine), le forme, le reinvenzioni del brano partigiano più famoso al mondo. Mostra come – anche grazie alla serie La casa di carta, che ne ha ripreso il tema musicale ribelle – il pezzo abbia assunto spontaneamente reinvenzioni di ogni tipo. Dalla versione klezmer di una band ebraica (la melodia, fra l’altro, pare nata proprio da un motivo musicale della cultura yiddish) a quella di un gruppo anarchico ucraino (oggi canto di resistenza nei territori invasi dai russi). Dalla versione per soli fiati della Iganga Community Brass Band ugandese a quella irachena, fino alla dance, ai jingle pubblicitari e agli innumerevoli remix. Purtroppo, per ragioni di diritti, manca la bellissima versione di Tom Waits e Marc Ribot (Goodbye Beautiful).
L’autrice del doc le mostra e ce le fa ascoltare tutte (sui titoli di testa, quella più celebre della “rossa” Milva). Tesse un coro di voci varie e difformi. Ricorda come, ancora oggi, quel canto possa andare contro l’ordine costituito. Mette a fuoco, ad esempio, il caso dell’oppositrice turca Banu Özdemir, che finì in carcere per aver «offeso i valori religiosi della comunità islamica», dopo aver semplicemente rilanciato su Twitter alcuni video. Si tratta dei video delle moschee che un giorno – in seguito all’azione di alcuni ribelli – anziché diffondere gli abituali canti religiosi diffusero proprio Bella ciao. Il brano viene usato come canto di lotta perfino in Cile, grazie ai Quilapayún anti Pinochet, e dai curdi che hanno liberato Kobane dall’Isis nel 2015. Carlo Pestelli ricorda come gli “angeli del fango” di Firenze, nel 1966, dopo l’alluvione, intonassero due canzoni: Yellow Submarine dei Beatles e Bella ciao. Il canto partigiano è ormai diventato canzone pop.
Si citano, infine, anche le controversie da destra e da sinistra sulla veridicità delle origini “partigiane” del canto. Questa la tesi di Giancarlo Pansa nel suo libro Bella ciao – Controstoria della Resistenza. Perfino Giorgio Bocca, ex partigiano, disse che non aveva mai sentito nessun compagno cantare quella canzone. Luigi Morrone sostiene che la prima traccia scritta del pezzo risale al settembre del 1953. Lo storico Cesare Bermani replica dicendo che non si tiene conto dell’oralità di un canto popolare.
Forse la migliore definizione del pezzo la dà proprio il primo “Virgilio” di questa lunga storia. Osserva Capossela: «Bella ciao è soprattutto una canzone antifascista. Il fascismo non è un fenomeno collocato e confinato in un preciso momento storico, collegato soltanto a un regime. Come affermava il suo fondatore Benito Mussolini: “Il fascismo non l’ho creato io, l’ho tirato fuori dall’inconscio degli italiani”. Bella ciao credo non sia solo una canzone nata nella Storia della Resistenza italiana, ma come un salvavita che scatta davanti alla privazione di libertà, di un diritto. Come un anticorpo ci soccorre».