Il Bardo scrisse la tragedia (The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet) fra il 1594 e il 1595. È una delle più belle e popolari storie di ogni tempo. Rappresentata anche in musica da autori assoluti, classici e moderni, da Čajkovskij a Prokof’ev, da Bellini al Bernstein di West Side Story.
Breve soggetto. Escalus, principe di Verona, deve tenere a bada la rivalità, persino mortale, di due famiglie, i Capuleti e i Montecchi. Una lite fra i servi delle due fazioni anticipa la situazione. Giulietta Capuleti e Romeo Montecchi si incontrano a un ballo a si innamorano all’istante. Sarà l’inizio della tragedia. Giulietta sarebbe promessa a un altro, ma è disposta ad affrontare odio, rivalità e convenzioni. I due giovani decidono di sposarsi in segreto.
La storia precipita quando Romeo è costretto a uccidere Tebaldo, un Capuleti, cugino di Giulietta. Romeo è condannato all’esilio, Giulietta beve una pozione che le darà una morte apparente. Al risveglio potrà vivere con l’amato. Romeo, che non ha potuto essere informato, vede Giulietta morta e si avvelena, “… e così, con un bacio io muoio”. Al risveglio, Giulietta, disperata, si uccide col pugnale dello stesso Romeo. Le due famiglie si riconciliano sulla tomba dei loro giovani figli, morti per amore.
Franco Zeffirelli veniva dal successo dello shakespeariano La bisbetica domata. Ma il movimento del cinema, i produttori che contavano, ritenevano che il successo derivasse soprattutto dai protagonisti, divi assoluti, amatissimi dal pubblico per molte ragioni: Elizabeth Taylor e Richard Burton. Il grande successo ottenuto dal dramma all’Old Vic, culla del teatro inglese, non era sufficiente. La didascalia corrente era: «Il teatro è la casa di Shakespeare, il cinema è tutta un’altra faccenda». I precedenti, anche i più nobili, non erano incoraggianti, neppure Laurence Olivier con la sua strepitosa trilogia (Enrico V, Amleto, Riccardo III) era riuscito a far breccia nel grande pubblico.
Ma Zeffirelli non si arrese, e trovò finanziatori con cultura e sensibilità opportune: Lord Brabourne e Tony Havelock-Allen, che credettero nel progetto e convinsero i capi della Paramount a distribuirlo. Ma il budget era certo inadeguato all’idea del progetto, che comportava ricostruzioni importanti e una regia che non poteva essere “povera”. Non si poteva tradire un nome prestigioso e garante come quello del Bardo. Ma il regista toscano trovò i codici opportuni. Dopotutto era uomo di teatro, sapeva come ottimizzare il materiale.
Decisivi erano i due protagonisti. La vicenda degli innamorati di Verona presentava dei precedenti singolari, magari anomali, persino grotteschi, com’era la versione magniloquente della Metro del 1936 per la regia di George Cukor, dove Romeo era Leslie Howard, anni 43, e Giulietta era interpretata da Norma Shearer, anni 34. Avevano dunque l’età per essere i genitori dei ragazzi shakespeariani.
Zeffirelli volle rimanere fedele al testo classico, cercando due adolescenti che possedessero tutti i requisiti, compresi quelli del cinema, naturalmente. Per Romeo, da un provino emerse subito Leonard Whiting, sedicenne già scritturato dall’Old Vic. Il regista lo descriveva così: «Un fisico incantevole e l’aria sicura di un puledrino di razza, l’immagine gradevolissima di un giovinetto del Rinascimento italiano». Per Giulietta la ricerca fu più complessa. Alla fine venne privilegiata Olivia Hussey, quattordicenne. Zeffirelli dichiarò di essere stato «stregato dai suoi occhi».
Il regista naturalmente ci mise del suo, un’estetica potente, scenari dolci e “scaltri”, colline e torrenti, campi di grano sotto il sole e naturalmente le magioni dei ricchi e i tuguri dei poveri. Infatti il maestro di fotografia Pasqualino De Santis ottenne l’Oscar. E grande e dolce fu la suggestione delle musiche di Nino Rota. Altro elemento decisivo del successo del film furono i costumi di Danilo Donati, che gli valsero un altro Oscar.
Infine, le voci. I due protagonisti ebbero il supporto di Giancarlo Giannini e di Anna Maria Guarnieri, due grandissimi del doppiaggio e del teatro. Il film costò due milioni di dollari e ne incassò cento solo la prima stagione. Soccorse la Paramount in crisi economica e valse come ottimo auspicio per la major, in vista degli strepitosi successi di Love Story e dei Padrini.