Uno dei rarissimi momenti di entusiasmo e soddisfazione durante il lockdown è stato quando ho trovato la forza per mettere in ordine il mobile in bagno, un proposito che si trascinava da mesi e mesi tra le timide voci appuntate sull’agenda nel weekend. Da qualche giorno, finalmente, tutti i miei medicinali e i prodotti per pulire casa sono sistemati in perfetto ordine, riposti secondo un rigido grado di importanza e frequenza di utilizzo. Una scena piuttosto patetica rispetto alle aspettative che avevo per i miei 30 anni, ai tempi in cui gli Oasis erano una mia piccola ossessione, da adolescente.
Forse è anche per questa cocente delusione se, a tutta prima, il tweet di Noel che annunciava l’uscita di una demo inedita degli Oasis ritrovata mentre sistemava vecchi dischi in casa mi ha lasciato indifferente. «A chi può importare uno scarto di chissà quanti anni fa?», mi sono chiesto con una punta di acredine, realizzando che tutto quello che avevo trovato io sistemando casa è stata qualche confezione di Tachipirina scaduta.
Un errore che continuo a commettere quando ci sono in ballo gli Oasis è sottovalutare il potere rievocativo di ogni sortita che ha a che fare con i fratelli Gallagher e con ciò che era e ciò che è stato. Tutte le volte. A quanto pare, il tempo che corre veloce dall’ormai lontano 2009 non costituisce un deterrente. Qualcosa da qualche parte nel mio cuore sarà sempre coinvolta.
Succede tutte le volte che circolano voci di una reunion, è successo contro ogni aspettativa seguendo negli anni recenti le carriere soliste anche se temevo sarebbe stato troppo doloroso e definitivo, succede ogni volta che per qualche motivo finisco sulla pagina Instagram o Twitter di Liam Gallagher, rimanendoci intrappolato a scrollare e divertirmi per molto più tempo di quanto vorrei. È successo, inevitabilmente, dopo un paio di ascolti di Don’t Stop…, che ho diligentemente aspettato a mezzanotte, «solo per lavoro» mi ripetevo, ma in realtà, come sempre quando ci sono di mezzo gli Oasis, per passare un po’ di tempo con l’adolescente che sono stato durante gli sfigatissimi e sconfortanti anni Zero.
Sarà la contingenza storica e i due mesi di stordimento in casa che distorcono i ricettori emotivi, sarà che ci si attacca a tutto per provare qualche emozione futile totalmente soffocata dall’angoscia e dalla preoccupazione di queste settimane, ma leggere su Spotify “Ultima uscita 30 aprile 2020” vicino al titolo di una canzone degli Oasis, con una nuova piccola copertina e il font con il logo della band, beh, è stato significativo e anche questa volta sono rimasto fregato, persino da uno scarto risalente, a quanto pare, a una quindicina di anni fa. Dunque ai tempi di Don’t Believe the Truth, non certo uno dei periodi più esaltanti degli Oasis e, in particolare, della voce di Liam.
Eppure, una delle prime cose che automaticamente accade con un procedimento rodatissimo, è immaginare, anzi praticamente sapere, come avrebbe interpretato Ourkid certi passaggi della demo (che ovviamente è cantata da Noel), che identità avrebbe preso il pezzo se avesse avuto un futuro diverso, in quali passaggi le vocali sarebbero state trascinate all’infinito (il ritornello si presta benissimo: “don’t stop being happyyyyyyyyyyyyyie, don’t stop your laughiiiiiiiiiiiing”), come avrebbe inserito le seconde voci Noel e così via. Roba da pazzi.
In tutto ciò – anche qui, rimane il dubbio che il giudizio sia distorto da dosi fatali di emotività – il pezzo così come è suona bene ed è particolarmente efficace come lenta ballata notturna che si apre con un arpeggio molto simile alla ghost track The Cage di Heathen Chemistry, e ha una struttura tipica degli Oasis del nuovo millennio, con tanto di bonghi e riff beatlesiano nel bridge, scopiazzato da Dig a Pony. Ma queste sono cose futili rispetto al romanticismo della situazione, che in questo momento più che mai possiamo riempire di significati, tanto non c’è pericolo di essere smentiti. “Per lavoro” l’ultimo concerto al quale ho assistito prima che tutto venisse inghiottito da un abisso di rinvii e incertezze, è stato quello di Liam Gallagher a Roma. “Lazy days and sunny rays will guide me back home where I belong”. Il primo al quale tornerò ad assistere quando questa pandemia sarà solo un brutto ricordo, sarà quello della reunion degli Oasis?