Bastano i primi due secondi della prima canzone del primo album dei Led Zeppelin per rendere chiaro quello che intendono fare, e nello specifico quello che intendono fare proprio a te che stai ascoltando. All’inizio di Good Times Bad Times la band lascia cadere un attacco a due note che apre lo spazio per il groove sincopato di John Bonham, i colpi della chitarra di Page e l’urlo acuto di Plant che parla di sesso a un volume così alto da farsi sentire anche dai vicini di casa.
«Non era certo un pezzo gradevole, non doveva esserlo», ha detto Plant: «È una scarica di energia». Lo stesso si può dire dell’intero album, registrato in 30 ore di lavoro in studio nel corso di tre settimane («Lo so perché ho pagato io il conto», ha detto Page). Non è un disco profondo e pensato, la sua realizzazione è stata paragonata alla giornata estenuante passata ad Abbey Road dai Beatles nel 1963 per registrare il loro debutto Please, Please Me. Ma contiene tutti gli elementi che la band espanderà nel corso del decennio successivo: un viaggio tra blues psichedelico (Dazed and Confused), revival anni ’50 in alta definizione (Communication Breakdown), salti tra ballad delicate e colpi metal (Babe I’m Gonna Leave You) e rivisitazioni del folk, del blues e persino della musica classica nell’intro di organo di Your Time Is Gonna Come in cui John Paul Jones cita Bach, il tutto tenuto insieme dalla loro innegabile forza bruta.
I Led Zeppelin provano il materiale (selezionato da Page) durante un breve tour della Scandinavia nell’estate del 1968, poco dopo la fine degli Yardbirds. Sotto molti punti di vista erano un insieme di opposti: Page è la superstar della scena rock di Londra allo stesso livello di Eric Clapton e Jeff Beck, John Paul Jones è un affermato professionista di studio, il campagnolo Robert Plant e il selvaggio John Bonham sono due sconosciuti che hanno suonato insieme in un gruppo chiamato Band of Joy. «Sapevo esattamente cosa volevo fare con questi ragazzi», ha detto Page, che per un attimo ha pensato anche di fare un supergruppo post-Yardbirds (una possibilità era di farlo con Keith Moon e Jeff Beck), ma voleva una nuova band su cui avere «il totale controllo artistico».
Uno dei primi pezzi suggeriti da Page è Babe I’m Gonna Leave You, impetuosa riscrittura di uno standard folk che Page ha sentito in un disco dal vivo di Joan Baez, una scelta particolare per una band composta da quattro inglesi che fanno blues. In Black Mountain Side, invece, Page cerca ispirazione nel folk inglese, modellando il pezzo sulla registrazione di una canzone tradizionale gaelica intitolata Black Waterside fatta da Bert Jansch. Gran parte di questa estetica “mordi e fuggi” è dovuta al fatto che la band era assolutamente nuova. Led Zeppelin viene registrato praticamente senza sovraincisioni agli Olympic Studios di Londra da un gruppo di musicisti che stanno ancora cercando un linguaggio comune.
«Non ci conoscevamo neanche», ha detto Plant, che non era mai stato in uno studio di registrazione di alto livello prima, «mi ricordo che riascoltavo le canzoni e avevano così tanto peso e potenza… Erano devastanti. Dovevo fare ancora molta strada come cantante, ma l’entusiasmo di lavorare con la chitarra di Jimmy… Era così indecente!». Un effetto reso soverchiante e spettrale da Page, che piazza i microfoni in studio in modo da ottenere un suono realistico, crudo e ampio come i vecchi dischi della Chess e della Sun Records.
L’ingegnere del suono Glyn Johns contribuisce sistemando la batteria di Bonham su una piattaforma rialzata per aumentare il suo suono «fenomenale». La potenza di Bonham è stata ampiamente sfruttata dalla band (il beat di Communicaton Breakdown ha una velocità quasi punk), ma John Paul Jones rimane impressionato anche dalla sua capacità di moderarsi e mantenere l’equilibrio: «John riusciva a tenere un ritmo preciso anche nei pezzi lenti come You Shook Me. Suonare lento e veloce è una delle cose più difficili al mondo». Questo senso della misura, spesso non riconosciuto, gioca un ruolo fondamentale nel creare l’intensità dell’album. Gli Zeppelin non sono l’unica band che fonde pesantezza e senso di ampiezza, ma se i Cream e gli Who allargano i confini del rock fino all’opera e all’improvvisazione jazz, gli Zeppelin riescono ad affinare il loro virtuosismo nelle composizioni.
Anche un pezzo di 8 minuti come How Many More Times viene costruito per avere il massimo impatto possibile: «C’era molta poca libertà compositiva», ha detto Glyn Johns, «si lavorava molto su ogni cosa. Gli Stones ci hanno messo nove mesi per fare un disco, questi ragazzi invece ci hanno messo nove giorni compreso il missaggio». Led Zeppelin esce nel gennaio del 1969 ed entra nella Top 10 in Inghilterra e America, nonostante le recensioni tiepide. L’enormità delle innovazioni create dalla band non era facile da riconoscere e comprendere. In un’epoca di trascendenza spirituale e di racconti del prode Ulisse, loro hanno trasformato il rock&roll adolescenziale ossessionato dal sesso in qualcosa di enorme, ribollente e bestiale. Il misticismo orientale, Mordor e le hit radiofoniche verranno dopo, questo disco è qualcosa di più puro: gli Zeppelin sono una centrale elettrica. Sono heavy metal.