Se si apre più o meno ogni tipo di analisi del genere da 5 anni a questa parte, è molto facile imbattersi nel dato che certifica il rap come genere più influente sugli altri generi di tutta la storia, persino più del rock, genere oggi così annacquato da non avere neanche più una connotazione precisa.
Con la forza dunque dell’influenza e la debolezza della concorrenza, nel 2019 chiunque sta venendo a patti con il fatto che il rap – o almeno la nomenclatura rap – si prenderà tutto. Negli ultimi mesi, per esempio, abbiamo visto salire fino alle stelle Lil Nas X, che si è inventato (?) un genere, quello del country rap, che altro non era che country sbiascicato (mumble) con un 808. Però in classifica l’America – ma non solo – ha deciso che era il momento giusto per gustarsi un po’ di country e quel successo gli ha permesso di far avere successo persino a una canzone intitolata Panini.
Il maschio bianco, poi, è nostalgico per eccellenza, perché è sempre stato bene e ha anche l’illusione di essere stato meglio. Pertanto quando un artista bianco si cimenta nella musica nera influenzandola con la musica tanto bianca da risultare albina, be’, quella traccia non può che far successo.Parliamo di Post Malone, una tra le stelle più brillanti della scena definita trap americana, che venerdì 6 settembre ha pubblicato il suo terzo, attesissimo, disco, Hollywood’s Bleeding.
Anche per via dei featuting di Future, Meek Mill, SZA, Young Thug e Halsey. Ma, soprattutto, quelli di Travis Scott e Ozzy Osbourne. Avete capito bene. Travis Scott, Post Malone e Ozzy Osbourne, assieme in Take What You Want, rappresenta uno di quei mix improbabili tanto da risultare una di quelle centrifughe bio per le quali ti chiedi chi è stato il primo a pensare che sedano e mela potessero vivere un felice matrimonio pronto a consumarsi nel tuo stomaco. Eppure – proprio come le centrifughe di cui sopra – è una di quelle cose che ti fa tornare indietro e dire “ne voglio di più”.
Per quanto in giro Post Malone dica di aver voluto fare qualcosa di “weird and funky”, piuttosto che una hit radiofonica, anche solo la partenza del brano ha un quid di MTV, che ti riporta agli anni ‘90, la vera zona di comfort per il fan tipo di Post Malone.
Che il rock, le chitarre e tutte le affinità di quel mondo siano roba di Post lo si percepisce non solo dallo skin tone. Del resto Ozzy è un’icona proprio per quel rapper che MTV lo ha sfondato per primo: mentre continuava a non fregargliene un cazzo (“Still don’t give a fuck”), Eminem si autoproclamava la fusione tra Esham, Manson e Ozzy – che è praticamente un BABA Succo di quelli che sostituiscono il pranzo, proseguendo la metafora – e in Despicable si dava del pazzo come Ozzy, con un gioco di parole tra “batshit” e il momento più celebre della carriera del volto dei Black Sabbath e una povera testa di “bat”, pipistrello (no, purtroppo non quella di Robert Pattinson).
Ma Eminem, seppur avo naturale di Post Malone, non è l’unico a citare Ozzy: 50 cent. sosteneva di andarci a cena, i Rae Sremmurd e Juice WRLD lo hanno recuperato e mantenuto vivo. Ma perché Ozzy, Post Malone e Travis Scott dovrebbero trovarsi sulla stessa traccia? Se possibile il trio sembra ancora più randomico di Kanye, Rihanna e Paul McCartney, anche se il brano alla lunga sembra funzionare di più.
Travis si ritrova nella traccia un po’ a caso. Se avete visto il documentario capirete che la sua missione non è quella di ispirare nessuno, né di costruire nuove regole del gioco, ma semplicemente quella di andare in studio e spaccare. Lo fa anche in questo caso, probabilmente passava dallo studio mentre Ozzy e Post si scambiavano consigli e così si è ritrovato tra un ritornello e una strofa.
Ozzy invece arriva e si mette al servizio di Post. “Take what you need from me” è sì un verso della canzone, ma è praticamente un passaggio di consegne. Ozzy si mette a disposizione del suo giovane adepto e gli permette di diventare un nuovo Ozzy con l’808. Guardando in faccia Post, si ha l’impressione che – al di là del ferro sui denti anziché in tasca come i colleghi – se fosse nato qualche anno prima, il suo genere sarebbe stato il country, con un bel cappello a falda larga e un chitarrone color legno.
Grazie anche ai geni di Miley Cyrus, Lil Nas X ci è arrivato prima, per cui a Malone non resta che ributtarsi nel rock e costruire hit. Il profilo Twitter specializzato in statistiche sul rap “Hip Hop By The Numbers”, infatti, ha raccolto una serie di dati chiedendosi se Post Malone fosse definibile Hip Hop. Il risultato è che in una sola traccia del disco Post rappa più di quanto canti (I Know, dove il rap occupa il 59.8% della canzone), su un disco in cui il rap è il 12% della tecnica “melodica” scelta da Malone. La conclusione dell’account è che Post sia Pop. Nell’immaginario comune, però, l’essere pop non preclude l’essere rap: basti pensare all’Italia, dove Sfera è passato dall’essere Trap King alla Popstar, passando per Rockstar, senza perdere un briciolo di credibilità. La conclusione corretta è dunque che, nonostante non rappi, Post Malone rimane nell’immaginario comune un’esponente del genere.
Il rap a oggi, grazie a esperimenti come questi (a un passo dall’essere così canonici da non essere più esperimenti da Numb. Encore a Juice WRLD, che mette mano a Phil Collins), si conferma il genere più vivo perché quello che ha meno paura di mischiarsi. Un giovane impero romano, basato sulla mescolanza di culture e etnie, che lo rende completo e forte. L’unica tela ancora bianca su cui è possibile dipingere, mentre intorno abbiamo solo spazi squarciati senza essere dei Fontana. Anche per questo durerà a lungo, ancora per molto.