L’ha annunciata come la sua «ultima nuova canzone», ma vogliamo rassicurarvi: Se ti potessi dire non sarà l’ultimo brano della carriera di Vasco Rossi. Quello definitivo, forse. Per il peso della riflessione ad alto tasso autobiografico con la quale il rocker si rivela umano, fragile, fallibile. È una sorta di introspezione condivisa su note di chitarra già sentite, questa canzone – testo e musica di Vasco solo, senza nemmeno l’aiuto del fido Gaetano Curreri – che appartiene a quella che, parlando della sua poetica tra molti anni, qualcuno potrebbe definire come la ballata della fase matura. Quella della riflessione, della nostalgia, della ragione. Quella del «se potessi raccontarti per davvero le abitudini di cui non vado fiero», roba che a ripensarci non pare possibile che a cantare sia lo stesso che ostentava una vita al massimo con andatura a gonfie vele.
E invece sì: anche Vasco Rossi è diventato saggio. Oltre lo stupore di quell’“eh già io sono ancora qua” che suonava come omaggio stupito alla vita così generosa con lui, nonostante le abitudini storte e gli eccessi, questa volta si parla di “malinconie, nostalgie, rimpianti” e delle cose “che se avessi ancora qui davanti le rifarei esattamente così”. Eh già.
Il suono è quello semplice della ballata rock, quello che conosci e che ti aspetti: chitarra, tanta chitarra e la voce rauca di Vasco che qualsiasi cosa faccia, va bene va bene va bene va bene così. La canzone – più di 4 minuti – non ha inciso, e la strofa dura al punto di farsi ritornello, fino all’apertura finale. Al netto di qualsiasi analisi e pre… giudizio, Se ti potessi dire scalerà le classifiche radiofoniche e pure quelle di streaming e sarà cantata a squarciagola dai fan (a proposito, il Kom, non pago dei 230 mila di Modena Park e dei 6 Meazza consecutivi delle passate stagioni ha appena annunciato il prossimo ritorno: Firenze Rocks, Imola e Circo Massimo per adesso).
Nessun guizzo, dunque, ma certo la coerenza di un artista – unico e inarrivabile nel genere declinato all’italiana – che si ostina a ripetere la medesima formula ormai da molti anni, avendo esaurito il meglio verso la fine del secolo scorso. Poco male, vien da dire, perché se si pensa al repertorio inarrivabile che ancora oggi riempie le scalette dei suoi concerti sold out, vanno bene anche le ultime produzioni stanche.
La bocca resta asciutta per chi, illuso e irriducibile, sperava ancora in un ultimo capolavoro, ma ritrova un sorriso ogni volta che riascolta quella voce roca e imprecisa inerpicarsi su parole nuove. C’è di buono che Vasco continua a fare Vasco senza la smania di stare al passo coi tempi o di stupire. Anche perché, in effetti, lui un posto nel Pantheon della musica bella se l’è guadagnato da tempo e non deve più dimostrare un bel niente.