«Ho notato che quando parlo di Mirko, inconsciamente, uso ancora il presente: dico è invece di era, come se fosse ancora fra noi. Di tutti quelli che ho conosciuto, resta la persona che più si avvicina al 100% di purezza», mi racconta Auroro Borealo parlando di Mirko Bertuccioli, il cantante dei Camillas scomparso lo scorso 15 aprile a causa del Covid, a soli 46 anni. Siamo nella sua Pesaro, nel pomeriggio delle prove del Luccichini Dappertutto, uno spettacolo – in scena ieri sera, apertura al Pesaro Film Festival – che è un tributo alla memoria del musicista, con una pioggia di ospiti tra cui lo stesso Auroro.
Proviamo tutti insieme a capire chi sia stato, Mirko, ma è un lavoro duplice. Da una parte, la carta d’identità, e quindi il negoziante di dischi (in città era proprietario del Plastic: un’istituzione almeno quanto i suoi occhiali colorati, da queste parti) e gli album – soprattutto – della sua band, esplosa alla fine degli anni Zero fra indie-pop artigianale, surrealismo e DIY, nonché madrina di una bella fetta di musica indipendente italiana oggi qui presente. Dall’altra, ciò che hanno rappresentato quel pop stralunato, ovvero gli abbracci collettivi di La canzone del pane (a proposito: ieri Pesaro era illuminata da luminarie coi versi di quel pezzo), la loro capacità di stampare sorrisi sugli spettatori e diffondere affetto a profusione.
«Mirko era un animatore dell’animo: faceva “succedere cose”, metteva in piedi eventi in giro, suonava», racconta Ruben Camillas (Vittorio Ondedei), amico di una vita, compagno di band e organizzatore della serata. «Era disperso: una pallina da flipper impazzita fra tante persone, con legami in tutta Italia. Per questo stasera ci sono tanti amici». In effetti, scorrere la lista degli ospiti – Calcutta, Pop X e Lo Stato Sociale, ma anche Maria Antonietta e Colombre – è saggiare la sua forza aggregativa, oltre che il talento nello scovare talenti e lanciarli alle serate che gestiva. E poi coi Camillas aveva creato un mood – prima che un suono – inconfondibile: fra motivetti micidiali e semplicissimi, inseriva canzoni al miele e naif, divertenti ma disincantante, mai satiriche anzi oniriche, surreali, bucoliche, con un sottofondo di malinconia infantile degna di una puntata di Adventure Time. Sdrammatizzava, sempre e comunque.
«Ci ha insegnato che la musica serve a far star bene chi ti viene a guardare: gli dobbiamo tanto», ci spiega Lo Stato Sociale, per l’occasione in trio Carota-Albi-Checco. «Ha creato una comunità di persone, una scena diciamo, e questa rimarrà in tutti noi che ne abbiamo fatto parte. Ora dobbiamo portarla avanti con lo stesso spirito», chiude la band bolognese. Già, ma quale spirito? «Quello di uno che sul palco faceva ciò che voleva: era puro istinto, esprimeva ciò che sentiva senza filtri; un vero artista, insomma», aggiungono i The Bluebeaters. «E che ci lascia un monito: siate voi stessi». Lo conferma Maria Antonietta, pesarese doc cresciuta al Plastic: «Ogni weekend ci andavo e compravo un disco, posso dire di essermi formata lì. Ma la vera eredità di Mirko è la consapevolezza di essere libera nel fare musica: la spontaneità, non sentirsi mai obbligati ad assecondare uno stereotipo». Colombre: «Era proprio questione di attitudine. Vederli suonare dal vivo, con la loro purezza e dirompenza, ha cambiato il mio approccio allo stare insieme agli altri».
Perché un concerto dei Camillas era una festa, soprattutto. Un carosello pieno di gag nonsense, versi di animali, giochi col pubblico, ironia, cambi di registro. Esattamente come il Luccichini Dappertutto, che quando la sera comincia non sai che aspettarti – lacrime, ricordi, raccoglimento? – e invece scopri che probabilmente corrisponde al modo in cui Mirko avrebbe voluto essere salutato: una festa dadaista e improvvisata, piena di cazzeggio e con dentro l’affetto degli amici di sempre. Le coordinate, del resto, le dà Ruben all’inizio: combattere la morte con la vita.
Quindi mostra un video di uno dei tanti tour in cui viene fuori l’anima umoristica e stralunata di Mirko, poi apre lo show con Lo Stato Sociale e i The Bluebeaters col cult Bisonte, infine chiama sul palco gli altri Camillas (Michael e Theodore) e il Duo Bucolico. Insieme, infatti, costituiscono la band che da lì in poi vede alternarsi alla voce i vari ospiti, fra Colombre che canta Maya con la solita delicatezza, il maestro Panizza (con mascherina al volto) in Sbranato, Maria Antonietta che filtra col trash-punk di Mi dai fastidio e Auroro Borealo che a gomiti alti si divora Dracula. Ma, comunque, è un concerto liquido: chi finisce di cantare si mette in un angolo, fa i cori, mentre sul palco volano birre, sigarette, piedi scalzi, enormi “grazie” per il musicista scomparso. E sorrisi.
Già, perché questo sembra davvero un live dei Camillas: stavolta Ruben è da solo, certo, ma non mancano l’umorismo surreale, le gag col pubblico, gli inviti (nello specifico) a ballare-sulla-sedia. Alcuni resistono, altri si alzano in piedi solitari. Tutti sorridono, qualcuno si commuove: ma questo succedeva anche quando c’era Mirko, figuriamoci. Perché un po’ di malinconia monta – e non può non farlo – quando Calcutta canta una versione cristallina e al tempo stesso storpia e genuina de La canzone del pane, o nei futuri ormai purtroppo inverosimili di Settembre by Brace (“A settembre tornerò a coltivare i campi per te”), ma non c’è niente di lugubre o funereo nell’aria. Anzi: le guest sorridono, mentre Ruben sembra soddisfatto proprio come uno che sta combattendo la morte con la vita.
E come uno che, soprattutto, non vuole più scendere dal palco: la coda dello spettacolo (120 minuti in tutto, wow) è pura improvvisazione di oltre mezz’ora, con Giacomo Laser e Vanessa Vermuth che cantano Il codice e relativo mantra (“Ci gonfieremo davvero, diventeremo palloni, palloni blu”, fra il sogno e il groppo in gola), poi chiamano sul palco tutti gli ospiti – ma davvero tutti – e trascinando il pubblico in un carosello finale completamente casuale, libero e primitivo in stile Camillas, fra cori a squarciagola, reprise di Bisonte e La canzone del pane, Il gioco della palla corale e quasi ska, dediche, urlacci. Ecco: ci chiedevamo chi fosse Mirko Bertuccioli, all’inizio; uno che ha trasformato una serata in sua memoria in una festa sfrenata piena di cazzeggio e balli scalmanati, è. Uno che, anche quando vorrebbe farti piangere, riesce comunque a farti ridere e star bene.