Eve è morta, lunga vita a Eve! Potrebbe essere questo il grido di battaglia di Killing Eve, la serie premiata agli Emmy che ha sfidato tutti i generi e che, dopo due stagioni, si è conclusa con un quasi-omicidio e si è risvegliata con un nuovo showrunner. Ma forse questo ben si addice a una serie che parla di camaleonti, distruzione e reinvenzione continua – e che fa terra bruciata di tutto ciò che non serve solo per il piacere di guardare le fiamme che danzano.
La terza stagione di Killing Eve arriva in un momento storico in cui tutti avremmo bisogno di un po’ di (anzi, moltissima) evasione. E che evasione è questa, in un mondo di assassini giramondo, look favolosi e un continuo gioco di seduzione con gli abissi della morale. Ma, al terzo anno, la serie inizia a smarrire l’effetto novità. Ciò che sembrava così necessario e deliziosamente sviluppato nella prima stagione – la relazione passivo-aggressiva tra l’agente dell’MI6 Eve Polastri (Sandra Oh) e la sua nemica/cotta, l’assassina Villanelle (Jodie Comer) – ha perso un po’ del suo mordente nella prima metà della stagione tre.
Ciò ha probabilmente a che fare col fatto che Killing Eve ha cambiato gli showrunner con la rapidità con cui Villanelle cambia i vestiti tra un omicidio e l’altro. La prima (e perfetta) stagione era sotto la supervisione dell’autrice di Fleabag – nonché, diciamoci la verità, genio riconosciuto – Phoebe Waller-Bridge, che ha codificato quel tono del tutto singolare di spy thriller misto a commedia nera misto a contorta love story. Emerald Fennell ha preso il timone della seconda stagione, conservando l’energia soffocante e la tensione sessuale della precedente, ma perdendo un po’ di originalità e forzando il livello di plausibilità. Un’organizzazione governativa altamente rodata come l’MI6 potrebbe davvero permettere a una psicopatica di vagare a briglia sciolta, sperando che tutto si risolva comunque per il meglio?
La terza stagione è stata affidata a Suzanne Heathcote (Fear the Walking Dead), che si è inevitabilmente trovata a dover replicare lo stile e la narrazione delle due stagioni che l’hanno preceduta. Almeno per i primi cinque episodi, Killing Eve 3.0 è più interessata a concentrarsi sulla psicologia dei personaggi che a costruire nuovi intrecci narrativi. Il problema è che rischi di perderti per strada l’intreccio stesso. Dove eravamo rimasti? Eve e Villanelle erano finite entrambe vittime del doppiogioco dei loro superiori; ed Eve, fresca del suo primo omicidio, aveva declinato l’invito di Villanelle a fuggire con lei. Villanelle, in cambio, aveva concretizzato il titolo della serie, sparando a Eve nella schiena, e lasciandola apparentemente morta tra le magnifiche rovine di Villa Adriana a Roma.
Ma il suo nome è ancora nel titolo, perciò Eve è di nuovo in pista (e decisamente viva) all’inizio della terza stagione. Ha barattato lo spionaggio con una vita passata a fare ravioli su ravioli in un ristorante coreano della periferia di Londra, cercando di riconquistare il marito Niko (Owen McDonnell) ed evitando la sua vecchia capa Carolyn (Fiona Shaw). Eve annaspa fin quasi a scomparire e, come ogni protagonista che si rispetti, crede che la sua sofferenza sia una condizione del tutto speciale. «Non sai che significa aver scelto di distruggere la tua stessa vita» dice a un nuovo personaggio, interpretato dal Danny Sapani di Harlots. Che replica: «Non pensare di essere l’unica stronza che disprezza se stessa nei paraggi: mai».
Nel frattempo, Villanelle, pensando che Eve sia morta e sepolta, è in Spagna a spezzare cuori e a seguire gli ordini di una nuova addestratrice di nome Dasha (Harriet Walker, presenza sempre gradita in qualsiasi cast). È tornata ai suoi vecchi trucchetti criminali, in una serie di outfit al tempo stesso bellissimi e bizzarri. Ma, tre stagioni dopo, vedere Villanelle commettere un omicidio pare una cosa quasi noiosa. La vera sorpresa, a questo punto, sarebbe vederla decidere di non uccidere qualcuno.
È sempre un rischio mettere un conclamato psicopatico al centro di una storia (e ormai Villanelle è una figura molto più centrale di Eve), perché è difficile scrivere un personaggio privo di qualsiasi crescita o cambiamento morale. In tutta la sua magnetica follia, Villanelle resta un oggetto inamovibile. Nella seconda stagione, era un buco nero che attirava chiunque, soprattutto l’incantata Eve, verso di sé. La trama non si è mai focalizzata su come si sarebbe o non si sarebbe potuta evolvere Villanelle, ma sull’ulteriore livello di degradazione che avrebbe raggiunto Eve.
Nei nuovi episodi, Heathcote scava nel lavoro interiore dell’assassina, con esiti alterni. Lasciata Eve alle spalle, Villanelle è a caccia di qualcosa che plachi la sua sete di esperienze sempre nuove, e finirà per trovarlo nel suo passato. C’è molta più introspezione in questa stagione, che si tratti di Eve che rimugina sui suoi recenti errori o di Carolyn che mette in discussione il suo rapporto col lavoro dopo una serie di traumi. È sempre tv di qualità, ma nulla che si avvicini anche solo minimamente a ciò che era la serie all’inizio. Killing Eve funziona quando va completamente fuori di testa, e il tocco di Heathcote è invece troppo neutro ed educato.
Anche quando non è al massimo delle sue potenzialità, Killing Eve è ancora una serie che si fa guardare con piacere, e la ragione principale restano le eccellenti performance delle protagoniste. Sandra Oh, in questa stagione, approfondisce – e, se possibile, complica – il ritratto della sua Eve, mettendo la somma delle scelte sbagliate della sua ex agente in ogni bicchiere di merlot che si versa e in ogni mossetta del viso che fa. Jodie Comer continua a dimostrare di essere uno dei volti più interessanti della tv di oggi, rendendo la sua Villanelle ancora più divertente, imprevedibile e carismatica anche quando è spaventosa, che stia pugnalando qualcuno con un diapason appuntito o che faccia il suo ingresso in una profumeria chiedendo un’essenza “che sappia di centurione romano”. L’alchimia tra loro è il sangue che scorre nelle vene di Killing Eve, perciò la serie funziona soprattutto quando sono tutte e due nella stessa stanza. L’interpretazione energica e nervosa di Fiona Shaw, nei panni del boss dell’MI6 Carolyn, è un altro dei punti di forza di una stagione che, almeno finora, non ha dato a nessuna delle tre attrici molte occasioni per risplendere.
Quando tutti i cilindri sono accesi, Killing Eve è una macchina che fa sentire il rombo del suo motore. Come ai tempi disse Lady Caroline Lamb di Lord Byron: è matto, cattivo e pericoloso. Nonostante qualche sorpresa tra i personaggi secondari, la prima metà della terza stagione sembra invece un po’ troppo rassicurante – e troppo sana di mente.
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Killing Eve è disponibile in esclusiva TimVision con uno nuovo episodio ogni lunedì.