Ci sono molti motivi per cui And Just Like That, il reboot di Sex and the City prodotto da HBO Max, è una pessima idea. Intanto c’è il fatto che l’ultimo episodio della saga, il film Sex and the City 2, è uscito più di dieci anni fa, quando il vulcano Eyjafjallajökull era in piena eruzione: in quest’epoca digitale, sembrano passati secoli. C’è poi il fatto che Sex and the City 2 è stato massacrato dai critici per la durata eccessiva (due ore e mezza!), l’intrinseca islamofobia e una terribile sceneggiatura in cui spuntavano battute come «Lawrence delle mie labbra» (sì: quelle labbra). E, infine, c’è il fatto che, da serie tra le più sovversive del tempo in cui è uscita, Sex and the City è invecchiata piuttosto male; soprattutto, è invecchiata male la sua idea di una New York in cui sono tutti bianchi, magri ed eterosessuali. Ma la ragione principale per cui un nuovo Sex and the City è una pessima idea è l’assenza di uno dei suoi personaggi principali. Anzi, del personaggio che è stato l’anima e il cuore – e anche il centro morale – di tutta la serie: la pr sessualmente voracissima di nome Samantha Jones, interpretata da Kim Cattrall.
Cattrall ha pubblicamente bisticciato per anni con tutte le altre attrici del cast – nel caso vi foste appena svegliati da un coma: Sarah Jessica Parker (la scrittrice attenta solo al proprio ombelico Carrie Bradshaw), Cynthia Nixon (la nevrotica avvocatessa Miranda Hobbes) e Kristin Davis (la gallerista WASP Charlotte York) – accusandole di aver formato nel tempo una cricca di mean girl da cui restava sempre esclusa. Ha ripetutamente dichiarato che non avrebbe mai preso parte a un nuovo capitolo della saga. Pensare che la sua posizione sia giusta o sbagliata dipende da vari fattori: per esempio, dal fatto che vi identifichiate di più con l’outsider (in questo caso, Cattrall) o che siate fan delle scarpe da 400 dollari (SJP). In ogni caso, chiunque sapeva che in un eventuale nuovo sequel di SATC non ci sarebbe stato posto per Samantha.
Ma Sex and the City senza Samantha semplicemente non è Sex and the City. È solo una scusa per far soldi, un facsimile dell’originale, una fotocopia del format che vanta ancora oggi uno zoccolo durissimo di fan. Perché, come anche i suoi principali detrattori di sanno, il cuore di Sex and the City non è né il sesso né la città, e nemmeno le scarpe, la fossetta sul mento di Chris Noth o le cinture indossate inspiegabilmente sulla pancia nuda. Il cuore di Sex and the City è l’amicizia femminile, e il suo potere di resistere a tutto. E l’assenza di una di queste amiche altro non è se non il tradimento dell’idea alla base di tutto.
In un mondo diverso – e in una serie diversa, con un’attrice diversa – Samantha non sarebbe mai riuscita a superare lo status di mera caricatura. Sarebbe rimasta la ninfomane piazzata lì come semplice motore comico, arrapata come le MILF che troveresti dentro un brutto porno. Ha un’attitudine per le battute in stile Mae West e un livello di considerazione di sé che sembrano prodotti in laboratorio; a tratti, sembra l’idea che avrebbe un omofobo di una drag queen. In tanti, per meglio dire, sostengono da sempre che questo personaggio non sia altro che un uomo gay in abiti femminili, visto che il suo punto di vista sul sesso sembra più quello di un omosessuale che quello di una donna etero.
Ma, nonostante i tratti da cartoon e i toni politicamente scorretti oggi retroattivamente denigrati (vedi la volta che Samantha è uscita con un uomo di colore e il suo riferimento al suo “grande cazzo nero”), Samantha ha un mucchio di splendide qualità. Non si sente mai in dovere di scusarsi per il proprio stile di vita, rifiuta i giudizi dei professionisti della salute ma anche quelli delle mogliettine bacchettone che incontra in giro. Di fronte ai drammi della vita, è una roccia: basti pensare all’ultima stagione, quando, malata di cancro al seno, si produce in un discorso sincero e volgarissimo durante una serata di beneficenza per la ricerca sui tumori, che culmina nell’orgoglioso lancio in aria della sua parrucca. Più di tutto, è fedelissima alle sue amiche, di cui prende le parti anche nelle circostanze peggiori. Durante un baby shower, quando Charlotte accusa una donna incinta di aver rubato il nome del suo futuro bebè, Samantha non esita a chiamare “stronza” la gravida, e a trascinare Charlotte via dalla festa; quando l’insicura Carrie le confessa di essere tornata a frequentare un suo bastardissimo ex, Samantha è imperturbabile, e le dice freddamente che giudicarla per una simile mossa non è il suo stile. I critici hanno accusato le quattro protagoniste di Sex and the City di essere patologicamente superficiali e autoreferenziali, ma ciò non si può dire di Samantha. Nonostante sia il membro più edonista e vizioso del quartetto, è anche quello dalla morale più solida.
È difficile dire quanto la performance di Cattrall abbia giocato un ruolo fondamentale in tutto questo. Un’attrice meno abile avrebbe interpretato Samantha come una semplice mangiatrice di uomini, un incrocio tra la Mrs. Robinson del Laureato e Jessica Rabbit, con una punta di RuPaul. Ma il tono camp di Cattrall non è mai una parodia, è sempre stemperato con una dolcezza e una fragilità forse persino assenti dai copioni che doveva recitare. Il miglior esempio in questo senso è quando viene tradita da Richard (James Remar), l’albergatore che si rivela l’unico in grado di fare breccia nella corazza emotiva di Samantha. Dopo averlo beccato mentre si fa fare un pompino da un’altra, Samantha rompe il quadro raffigurante un cuore che si trova nella casa dell’uomo. «Ecco, così adesso anche il tuo cuore è spezzato», dice. Nelle mani di un’interprete più scarsa, la battuta avrebbe forse fatto ridere. Ma Cattrall la recita con un tale grado di dolore e partecipazione che è difficile non sentire anche il tuo cuore spezzarsi insieme al suo.
I critici non si sono mai risparmiati nel sottolineare i tanti difetti di Sex and the City, dalla questione razziale al dibattito sulla sessualità (ricordate quando Samantha “diventa” lesbica?). In pochissimi, però, hanno criticato la straordinaria prova di Cattrall, e la sua capacità di dare calore e forza a quello che sulla carta era solo un bozzetto. Il che fa ancora più impressione se si pensa quanto l’attrice stesse male durante la lavorazione della serie, come ha più volte rivelato. (Ha spesso dichiarato di essere stata trattata con sufficienza da Parker; il fatto che Parker pubblicamente abbia solo espresso una leziosa gentilezza nei confronti della collega ha reso la posizione di Cattrall ancora più discutibile: il che mi fa credere che Cattrall abbia sempre avuto ragione.) Molti considerano la performance di Cynthia Nixon, che per il ruolo di Miranda ha vinto un Emmy, il vero esempio di ottima recitazione nella serie; ma niente mi fa ridere o commuovere più di Samantha che difende le proprie scelte di fronte a Carrie, dicendo che farà pompini a chiunque vorrà finché avrà fiato (e ossa buona per inginocchiarsi).
C’è un gran dibattito in corso su come il reboot di SATC tratterà la “scomparsa” di Samantha. Cattrall ha detto che le piacerebbe che fosse chiamata un’altra attrice per la parte, magari una donna nera o una persona non-binaria: il che sarebbe un’ottima mossa per l’intera seria. Nel frattempo, Parker ha risposto alle obiezioni dei fan dicendo: «Samantha non fa più parte di questa storia, ma sarà sempre una parte di noi, non importa chi siamo o cosa facciamo». Il che mi fa credere che gli sceneggiatori l’abbiano davvero fatta fuori: magari è morta proprio di quel cancro al seno contro cui lottava strenuamente nell’ultima stagione. Tutto questo mi sembra un tradimento nei confronti del personaggio, e anche della stessa Cattrall. Tutti i personaggi principali della serie sono versioni immaginarie delle donne, e l’immaginazione per sua natura non muore, soprattutto quando ha a che fare con una figura come Samantha. Uccidere la donna che Cattrall ha incarnato per quasi due decenni – con costi umani altissimi, per sua stessa ammissione – fa l’effetto di uno schiaffo in faccia. Ma, soprattutto, SATC senza Samantha è un insulto ai fan che da vent’anni sono affezionati alla serie, al mondo che ha costruito e alle donne che lo abitano. Solo così, solo se c’è anche Samantha, quel mondo può essere vero.