Ieri sera, per alcune ore, Instagram è diventato una costellazione di flame contro Burgez, catena di hamburgherie di Milano celebre, in particolare, per la sua comunicazione che non incarna propriamente lo spirito europeista e comunitario di cui il capoluogo meneghino si è fatto in questo ultimo decennio. L’azienda, accusata di sessismo, omofobia e razzismo è stata inondata di critiche e segnalazioni per i propri contenuti social e, nonostante un tentativo vano di rispondere al fuoco con altrettanto fuoco, il suo profilo è stato rimosso dal colosso americano. Pare che non possiamo nemmeno più fidarci degli hamburger.
Forse vi ricorderete di Burgez per questo nostro articolo pubblicato dopo un loro annuncio ambiguamente sessista e razzista in cui l’azienda attaccava le donne italiane ree di essere viziatelle, al contrario delle loro colleghe filippine, seriose stacanoviste. O forse per quando l’8 marzo avevano preparato, salvo poi bloccare l’attività promozionale a causa di una sommossa web, una t-shirt da regalare alle donne in cui spiegavano come posizionarsi a pecorina per soddisfare al meglio i loro uomini. O forse vi ricorderete di loro per quella moderna comunicazione anticonformista sfoderata in post quali: “Oggi è la Giornata Mondiale dell’Educazione Femminile. Dunque ragazze se vi presentate in cassa tirandovela e con aria di sufficienza faranno la stessa cosa anche le nostre cassiere così imparate cosa significhi essere una Figa di Legno”, o l’affascinante “Amore di mamma se ti senti un pochino porca non fartene una colpa. È bello” o l’arguto “Stasera sei sola e vuoi fare una cenetta romantica? Ordina Burgez e fai match con Harvey” con allegato una foto di Harvey Weinstein, condannato a 23 anni di carcere per stupro e aggressione sessuale. O forse di quando, ad una ragazza che si lamentava sotto un post di una loro uscita infelice, risposero “tu in compenso sei proprio bona”.
Sta di fatto che ieri il customer care di Burgez ha deciso di rispondere con aggressiva supponenza a una ragazza che chiedeva informazioni di servizio. Sfiga vuole che la ragazza, colpita da questa inaspettata arroganza, abbia dato un piccolo colpo di pollice per scrollare la pagina Instagram dell’azienda e – come dire – si sia sentita davvero molto presa per il culo dai contenuti che venivano pubblicati. O meglio, offesa e imbarazzata. Sfiga vuole che la ragazza si sia sentita così incazzata da ripostare quei contenuti nelle proprie stories facendo incazzare gran parte dei suoi contatti: la palla di neve era diventata una valanga. Un’enorme valanga chiamata boicottaggio. In poche ore è esploso l’hashtag #boicattaburgez e #burgezshame e il profilo Instagram dell’azienda, segnalato così tante volte per contenuti inappropriati, sessisti, omofobi e razzisti, è stato momentaneamente oscurato dal social americano. Tutto è partito da una ragazza che era stanca di essere trattata, per l’ennesima volta, come un pezzo di carne. Possiamo biasimarla?
L’umorismo è terreno infame perché territorio protetto dalla sacra libertà di parola, diritto intoccabile delle società democratiche, nonché ultimo furbo baluardo di difesa per chi, come dimostrato in passato dallo stesso Burgez, resta inamovibile alle critiche mosse alla propria comunicazione. È solo ironia, replicheranno, usufruendo della risposta che generalmente si riceve da chi è dedito all’utilizzo di certe “battute” aggressive verso specifici gruppi sociali. Diffidate, è l’equivalente dell’omofobo che dice: “io ho un amico gay quindi posso”. No, non puoi. Ed è in questo passaggio che quella ragazza, e presumiamo anche l’ondata di persone che hanno segnalato il profilo, si siano sentiti presi per il culo. Perché, come insegna Ricky Gervais, imperatore supremo del black humor e del politicamente scorretto, c’è battuta e battuta e se la tua battuta ha un solo livello di lettura, ed è quello becero e sessista, non è comicità, non è umorismo; è un’offesa. Puoi riderne tu, certo, e la tua cerchia stretta di amicizie retrograde, ma questo non significa che non sia tremendamente volgare e offensivo. Ed è su questo punto che la nostra società dovrebbe decidere di far un passo sicuro per smarcarsi da questa retorica passatista.
In un periodo storico di grande pensiero per un possibile nuovo futuro, con un PIL probabile a -9% che richiederà una reinvenzione feroce del nostro avvenire prossimo, siamo nel momento adatto per prendere delle decisioni nette. Sarà forse finito il tempo delle piazze (e il Coronavirus non ha aiutato), ma di certo non si è arrestato quello per incazzarsi. Certo, bisognerà combattere con una realtà non detta: quasi nessuno di noi vuole, realmente, un mondo egualitario. Un mondo egualitario significherebbe che noi bianchi fighetti dovremmo rinunciare a qualche privilegio come la libertà di essere sessisti, omofobi e razzisti. Quando sarebbe così facile smettere di minimizzare maschilismo, sessismo e omofobia come umorismo, ma affrontarli per quello che sono: pensieri patriarcali di un passato di cui dobbiamo spogliarci. Dietro una sporca battuta sessista, si cela un sessista. Dietro una becera uscita omofoba e razzista, troveremo un omofobo razzista. E il motivo è presto detto: solo questo genere di persone pensano che quella “comicità” sia divertente. Se fossero tutti dei simpatici umoristi, citando quel vecchio refrain Zelig, questi customer service non avrebbero una coda di paglia così infiammabile quando gli viene fatto notare il merdone che stanno pestando (dopo la prima segnalazione della ragazza, per un breve momento, sul profilo dell’azienda è spuntato un post in cui, con il consueto tono provocatorio, si annunciava che gli utenti che avrebbero rotto i coglioni sarebbero stati bloccati). È bene ricordare però che le merde saranno sempre lì, pronte per essere pestate e a turno, inevitabilmente, ognuno di noi troverà la propria con cui sporcarsi le scarpe nuove (finalmente l’uguaglianza!). Sbagliare è lecito, quello che conta è come ne reagiamo. Quello che era stato chiesto, in questo caso specifico, era di capire la problematica, aprire un dialogo e porgere le scuse dovute. Non contrattaccare con un uso ancor più massiccio d’arroganza. La legge del più forte, non è legge civile.
Ecco, quindi, Burgez…
Noi non ci auguriamo assolutamente che Burgez chiuda, né tantomeno che suoi dipendenti perdano il posto di lavoro, ma certi comportamenti non possono più passare inosservati ed è corretto che vengano indicati quando non si riesce ad autoregolarsi nel 2020, a maggior ragione in una piazza europeista come Milano. Noi ci auguriamo che un’azienda recidiva nell’offendere determinati e specifici gruppi di persone possa finalmente capire l’errore di pensiero, filosofia e comunicazione per fare un passo indietro, scusarsi, e prepararsi culturalmente allo step per uscire da un certo medioevo elettivo. Per fortuna si è arrivati a un momento della civiltà dove non è più sufficiente fare buoni panini, ma è necessario farlo con rispetto. Il perché è semplice: siamo una-fottuta-società. Lo impareremo mai?