Si è chiusa domenica Atreju, la manifestazione della destra italiana nata nel 1998 da un’idea di Azione Giovani (che con lo sfortunato partito di Calenda condivide solo la prima metà del nome) e subito accolta da tutta Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, tra i fondatori di entrambi, è diventata nel frattempo una leader riconosciuta dai suoi maggiori avversari politici, che qui si confrontano con lei, legittimandola come statista. Ha già scritto la sua biografia, pubblicata l’anno scorso da Rizzoli, ed è l’unica donna leader sia di un partito politico europeo che di un partito italiano (ECR Party, ossia il Partito dei Conservatori e Riformisti europei, e Fratelli d’Italia, che ha fondato nel dicembre 2012 con Guido Crosetto e Ignazio La Russa lasciando il Popolo delle Libertà). Spesso ad Atreju si sente ripetere che “bisogna smettere di parlare di quote rosa, Giorgia è lì perché è capace. Punto”.
E se Meloni scherza sul fatto che Atreju sia diventata “la terza Camera d’Italia” non dice niente di troppo azzardato, perché su questo palco, un po’ come al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, stanno passando davvero tutti, o almeno tutti quelli che, spaventati dal suo successo valutano di prendere prima o poi accordi con FdI. Nonostante la recente inchiesta giornalistica di Fanpage abbia svelato un sistema di finanziamenti in nero per la campagna elettorale del partito alle comunali di Milano, infatti, FdI è il partito che è cresciuto maggiormente negli ultimi 10 anni, con il paese sempre più spostato a destra: secondo diversi sondaggi, è con Lega e Partito Democratico uno dei tre partiti che potrebbero ambire al 20% dei voti se si votasse oggi. Con un PD così poco a sinistra, il futuro dell’Italia sembra già scritto. È in questo contesto che siamo stati ad Atreju, questo che segue è un racconto per immagini per capire come è nato, come si è evoluto e dove potrà arrivare.
Cartolina numero 1: Il Natale dei conservatori
Innanzitutto, dopo molte edizioni tenutesi in settembre, oggi Atreju si colloca in dicembre e il claim scelto è un richiamo perfetto per un paese familista come il nostro: Il Natale dei conservatori. Fascisti suonava male, sovranisti pure, e allora siccome almeno a parole gli italiani amano le tradizioni, si dica conservatori. Conservatori e non liberali o reazionari, ha voluto precisare Fabio Roscani, presidente di Gioventù Nazionale, in un suo intervento. Conservatori, ma magari con figli avuti al di fuori del matrimonio, osserva qualcuno dall’esterno quando qui si parla a sproposito di difesa della cosiddetta famiglia tradizionale. Conservatori di valori, dice Roscani citando Prezzolini, conservatori che non accettano più di sentire che la cultura è per forza di sinistra, come non lo sono certi temi, e tra questi cita inaspettatamente la questione ambientale. Chissà se Roscani dietro le quinte le ha prese o se invece farà carriera. Ascoltando i motivi per cui è fiero di essere europeo, parrebbe di sì.
“Sono nato qui dove è nata la civiltà. Ho messo insieme le pietre a Stonehenge per avvicinarmi al cielo, ho costruito il Partenone e combattuto alle Termopili. Ho vinto con Costantino contro Massenzio e costruito un arco che è divenuto pilastro della storia. Ho vissuto lassù tra il grigio del castello di Bamburgh, e riflettuto all’ombra del monastero benedettino di Subiaco. Sono arso vivo per difendere le mie idee come Giovanna D’arco in Piazza del Mercato Vecchio. Sono tornato a combattere la guerra di Cipro, ho raggiunto Apremont per raccogliere il bianco giglio nel campo dei ribelli. Sono arrivato in Italia per vegliare sui fratelli del Monte Grappa. Sono tornato a bruciare ancora in piazza a Praga con Jan Palach per veder nascere dalle lacrime la primavera della Libertà. Ho picconato il muro a Berlino per poter dire ‘Io Sono Europeo’, sono nato qui, dove è nata la civiltà, nell’Europa con il cuore senza agenzie di rating. Tenetevi pure la vostra Europa dello spread e dei burocrati. Noi costruiamo l’Europa dell’Identità!”.
Mentre Roscani parlava però, rimaneva il mistero più grande, ossia il nome dato alla festa ormai più di vent’anni fa: perché proprio Atreju, perché il protagonista de La storia infinita? Il sito ufficiale Atreju.tv fa riferimento alla volontà di questo personaggio di “lottare contro il Nulla che avanza”. Un po’ vago, e anche Roberto Saviano ha recentemente sottolineato come l’autore del libro da cui è tratto il celebre film non fosse di destra. C’è chi dice che Michael Ende fosse conservatore per certi aspetti, ma sappiamo che detestava nazisti e neonazisti.
Cartolina numero 2: la pista di pattinaggio
Per evitare l’imposizione del Green Pass, cui molti elettori sono contrari, Atreju 2021 si svolge infatti prevalentemente all’aperto, in Piazza Risorgimento a Roma, ma il sito dedicato indica anche una farmacia convenzionata, nella stessa Piazza Risorgimento, dove è possibile fare un tampone a prezzo ridotto di 10 euro. Il festival prevede anche un mercatino di Natale, un presepe vivente, una pista di pattinaggio, una mostra sulla storia di Babbo Natale e una tombolata a cura dei ragazzi di Gioventù Nazionale. Ad ogni numero è abbinato un personaggio politico, perciò il 25 sarà Giorgia Meloni.
Incuriositi dal claim e dall’annuncio della presenza della musica – del resto, che festa sarebbe senza musica? – abbiamo chiesto all’ufficio stampa quali ospiti musicali fossero previsti. In passato hanno infatti si sono esibiti ad Atreju Irene Grandi, Davide Van De Sfroos, Max Pezzali, Max Gazzè, Mogol, Katia Ricciarelli, Pupo, Enrico Ruggeri, Mario Biondi e gli Zero Assoluto. E come dimenticare la famosa foto di Giorgia Meloni e Giovanni Lindo Ferretti dei CCCP?
Cartolina numero 3: la direttrice che si fa chiamare direttore
Nessuna risposta dall’ufficio stampa, a quanto pare però quest’anno non è stato fatto un investimento in tal senso e l’unica ospite musicale è stata Beatrice Venezi, direttrice d’orchestra e figlia di Gabriele Venezi, ex dirigente di Forza Nuova che fu anche candidato sindaco a Lucca. La direttrice insiste nel farsi chiamare direttore, al maschile, motivo per cui Atreju, che ogni giorno attribuisce un premio a una personalità che si distingue nell’affermazione dei valori della destra, le ha assegnato un riconoscimento.
Il discorso di Venezi offre alcune perle. Un’affermazione condivisibile come “credo ci sia necessità di una diversa narrazione delle donne” viene pronunciata accanto a considerazioni che vorrebbero sconfessare anni di studi di genere, come quella secondo cui non c’è bisogno di “cure speciali”. E “Bisogna cantare fuori dal coro (…) anche consapevoli delle conseguenze” perché “siamo sottoposti al politically correct e al pensiero unico”. Eppure Venezi sembra messa lì per consentire un comizio di Federico Mollicone, il deputato FdI che più si occupa di politiche culturali, che altrimenti sarebbe stato un monologo ininterrotto. Fino a quando Mollicone non le consegna il premio, lo stesso per tutti i premiati: un presepe.
Cartolina numero 4: i politici
Ad Atreju ci sono anche i leader europei degli partiti omologhi di FdI,in un panel cui si uniscono l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, Raz Granot (coordinatore delle relazioni internazionali del Likud israeliano) e alcuni riferimenti culturali della destra italiana come i giornalisti Paolo Del Debbio e Marcello Veneziani. Ma diciamocelo, non sono questi gli incontri che tirano qui. Qui si viene per parlare alla pancia degli italiani.
Il leader della Lega Matteo Salvini non regala certo un incontro memorabile, ma viene comunque celebrato con un’introduzione che lo ringrazia per aver imposto il “Prima gli italiani”. Per posizionarsi come eroe e come martire Salvini di fronte alle domande di Giovanni Minoli cita come suoi eroi Vincenzo Muccioli – fondatore della discussa comunità di san Patrignano – oltre al magistrato ucciso dalla mafia Rosario Livatino e ai poliziotti che a suo dire gli chiedono di tornare a fare il ministro dell’Interno. Proprio per il suo periodo da ministro, però, Salvini dovrà presentarsi questo venerdì al processo Open Arms in cui è imputato per sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio. Per questo invita a interessarsi dei referendum sulla giustizia, ma ancora di più a non credere ai giornali che spesso fanno apparire Giorgia Meloni come una sua rivale e che hanno fatto esplodere il caso Morisi, ora archiviato. Per la gestione dei social lascia intendere che il contributo di Morisi era sopravvalutato: ci sono “tanti ragazzi” e alcuni se ne occupano “anche volontariamente”. Insomma, basta chiedere lavoro gratuito.
Se c’è posto per Salvini, c’è posto anche per gli avversari politici, come Enrico Letta. E che il centrosinistra sia qui presente non è una novità, ci sono stati anche Fausto Bertinotti, Graziano Delrio e altri in passato. Quest’anno con un motivo in più: come suggeriva Minoli, bisogna prendere una decisione il più possibile condivisa sui nomi candidabili tra un mese alla presidenza della Repubblica, essendosi esaurito il mandato di Sergio Mattarella, e decidere anche se Draghi merita di continuare ad essere Presidente del Consiglio. Letta intervistato dai fedelissimi Bruno Vespa e Maurizio Belpietro afferma: “Penso che Draghi stia facendo molto bene e se resta a Palazzo Chigi è positivo, ma ne parleremo a gennaio”. Più interessante un’altra affermazione: “L’idea che noi dobbiamo andare al governo sempre per me è molto negativa per la politica e anche per noi”. Dell’ipotesi Berlusconi al Quirinale Letta dice che non gode di una grande maggioranza, dimenticando che FdI e Lega hanno insieme un certo peso e che per quell’universo il barzellettiere è un riferimento.
I dibattiti di Atreju coinvolgono anche altri leader, come Matteo Renzi e Giuseppe Conte e i ministri Luigi di Maio, Roberto Cingolani, Giancarlo Giorgetti e Marta Cartabia, ma a scaldare i cuori qui sono altri momenti. C’è il premio dato all’allenatore della nazionale di calcio Roberto Mancini. C’è la promessa di riportare in Italia Chico Forti, accusato negli Stati Uniti di un omocidio che forse non ha commesso.
Cartolina numero 5: il premio Monteiro Durate a Lucia Duarte
Uno dei momenti più significativi della potenza di Atreju è il tentativo di appropriarsi della figura di Willy Monteiro Duarte, ventenne di origine capoverdiana ucciso lo scorso anno da due fratelli poco più grandi, semplicemente per aver cercato di aiutare un amico coinvolto in una rissa. Willy non era certo un simpatizzante di FdI e non si può dire che FdI abbia mai cercato di aprire una riflessione, interna o pubblica, sul tema della violenza. E allora perché farne un eroe su questo palco e portarci la madre del ragazzo ancora in lutto? Una giustificazione per questa appropriazione indebita la dà il deputato Edmondo Cirielli: “Willy amava questa terra forse più di tanti altri italiani”.
Ma stride ancora di più l’applauso a Patrick Zaki, scarcerato questa settimana, che si è sempre battuto per ideali opposti a quelli di Fratelli d’Italia. Il vero leader italiano della destra in Europa, Antonio Tajani, lo spiega dicendo “Sono felice per la scarcerazione di Patrick Zaki, un giovane finito in carcere perché si è battuto per la libertà religiosa nel suo Paese. Un plauso all’attività diplomatica del nostro governo”. E dal pubblico qualcuno chiede il classico “Sì, ma quanto ci è costato?” e qualcun altro ribadisce che “Non è un italiano”.
Cartolina numero 6: Atreju e la cultura
In fondo Atreju serve per stringere o consolidare alleanze. Per questo vengono invitati personaggi estranei all’attività parlamentare ma che possono fornire interventi utili per parlare ad un pubblico più vasto. Ad Atreju ci stanno andando un po’ tutti: l’autore satirico Federico Palmaroli (conosciuto per come Osho), l’editorialista del Corriere della Sera Federico Rampini, l’allenatore della nazionale di calcio maschile Roberto Mancini, il presidente del Coni Giovanni Malagò, la campionessa olimpica Antonella Palmisano, gli scrittori Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, la stilista Elisabetta Franchi.
Perciò se uno dei dibattiti che hanno caratterizzato l’anno che si sta per chiudere è stato quello attorno al ddl Zan, ecco che a raccogliere gli applausi più forti sono gli interventi di chi l’ha combattuto. È la consacrazione definitiva, come riferimenti della nuova destra italiana, per chi personaggi come la giornalista e blogger Marina Terragni, la conduttrice Platinette e Tommaso Cerno, senatore PD e omosessuale.
Il comizio conclusivo di Giorgia Meloni contiene l’invito a votare come prossimo presidente della Repubblica un patriota. Patriota di un certo tipo, sottinteso. Perché fascista, di nuovo, non si può dire, non apertamente. E se molti le rispondono che si sta appropriando in modo indebito anche del termine patria e le ricordano che un patriota era Sandro Pertini, e non certo Benito Mussolini che dall’Italia tentò di fuggire come un vigliacco venendo catturato dai partigiani, Meloni non replica nemmeno. Non è a loro che parla.
Eppure ignorare Atreju sarebbe sbagliato. Non è la Leopolda, ormai rilevante come una riunione di condominio; se mai è quello che era la Leopolda qualche anno fa. È la sagra delle bufale, d’accordo, ma piaccia o men è anche uno dei luoghi in cui si decide davvero il futuro del Paese.