A qualcuno piace legale: il ddl sulla cannabis è arrivato in Parlamento | Rolling Stone Italia
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A qualcuno piace legale: il ddl sulla cannabis è arrivato in Parlamento

La proposta prevede la totale depenalizzazione della coltivazione domestica di un massimo di quattro piantine di marijuana, oltre a prospettare la riduzione delle pene per i fatti di lieve entità riguardanti la cannabis, ma ha già incontrato l'ostruzionismo della destra, che è tornata negli anni Ottanta e sta già parlando di 'cultura dello sballo'

A qualcuno piace legale: il ddl sulla cannabis è arrivato in Parlamento

Foto di Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images

Finalmente ci siamo: dopo il via libera della Commissione Giustizia, ieri il disegno di legge Magi-Licatini – quello sulla depenalizzazione della cannabis – è approdato alla Camera dei Deputati per la discussione generale. Il testo ha subito diverse modifiche nel corso del suo travagliato iter in Commissione Giustizia, da ricollegare soprattutto all’intransigenza del centrodestra che, negli ultimi due anni e mezzo, ha proposto diversi emendamenti – quasi tutti di natura ostruzionistica – nella speranza di ritardare il più possibile la discussione nelle Camere.

La proposta tenta di rovesciare il paradigma sancito dalla Fini-Giovanardi, incorporando la distinzione tra sostanze “leggere” e “pesanti” e prevedendo la totale depenalizzazione della coltivazione domestica di un massimo di quattro piantine di marijuana, nella prospettiva di «sostenere chi ne fa un uso terapeutico» e «togliere terreno allo spaccio», come ha riferito Mario Perantoni, relatore del testo; inoltre, prospetta la riduzione delle pene per i fatti di lieve entità riguardanti la cannabis, distinguendo il piccolo spaccio di hashish e marijuana da quello delle altre sostanze, portando solo per la cannabis la pena detentiva minima da 6 mesi a 2 mesi, e quella massima da 4 anni a 2 anni – per il piccolo spaccio di altre droghe la pena rimarrebbe, invece, in una forbice compresa tra i 6 mesi e i 4 anni.

Il provvedimento, quindi, rappresenterebbe un’inversione di tendenza, tagliando parzialmente i ponti con l’approccio punitivo e repressivo che ha caratterizzato le norme adottate negli ultimi anni – un approccio che ha generato non pochi problemi: come ha ricordato lo stesso Perantoni, allo stato attuale, su una popolazione carceraria di 54.184 persone, quasi 19mila sono detenute per violazione della legge sulla droga, di cui 1/3 tossicodipendente – e incentivando un vasto utilizzo della cannabis a scopi terapeutici. La proposta insegue anche una finalità pedagogica, prevedendo l’istituzione di una giornata nazionale per informare nelle scuole sui danni che derivano da alcolismo, tabagismo e uso di sostanze psicotrope.

Se tutto dovesse andare per il verso giusto (piccolo spoiler: è una possibilità remotissima), il Parlamento potrebbe rimettersi a passo coi tempi e allinearsi con il sentiero tracciato da alcune sentenze, come quella del 19 dicembre del 2020 con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica destinate ad uso personale» non costituiscono reato, indicando la necessità di cambiare l’articolo 73 del Testo Unico sulle droghe. Si tratterebbe, quindi, di recepire quello che le sezioni unite della Cassazione hanno detto da tempo, e cioè che coltivare per il proprio uso personale non può essere equiparato a un reato.

Vietato illudersi, però: la strada verso la conversione in legge è ancora lunga e piena di ostacoli. Quando – e se – il testo sarà approvato dalla Camera, dovrà passare anche l’esame del Senato, dove – è cosa nota – le proposte un po’ troppo “progressiste” finiscono puntualmente per essere affossate – basti pensare alla triste sorte toccata al ddl Zan, bloccato per sei mesi dalla cosiddetta “tagliola” imposta dai senatori più conservatori il 27 ottobre 2021.

Alle difficoltà connesse all’iter legislativo bisogna aggiungere, poi, il sempreverde ostruzionismo delle destre, che negli ultimi due giorni stanno facendo di tutto per ricreare un clima ostile impiegando toni da pubblicità progresso di fine anni Ottanta e parlando, goffamente, di “cultura dello sballo”, manco fossimo in un film di Claudio Caligari. Già la scorsa settimana – in una prima fase, la proposta sarebbe dovuta arrivare in aula il 24 giugno – Salvini aveva provato a minimizzare la questione, ciarlando genericamente di «parlamentari che pensano alle canne», mentre ieri ha alzato il tiro giungendo a minacciare una crisi di governo, parlando di una «volgare preoccupazione che mette a rischio la maggioranza». Dello stesso avviso anche Giorgia Meloni, che ha etichettato il provvedimento come «ideologico» e ha chiesto che la proposta venga cancellata immediatamente dal calendario dei lavori.

Dal punto di vista di mera opportunità politica, i timori di Salvini e Meloni sono più che comprensibili: oltre al ddl cannabis, infatti, ha passato l’esame delle commissioni anche un altro provvedimento parecchio inviso alla piattaforma xenofoba di Lega e Fratelli d’Italia: quello sullo Ius Scholae – ossia la possibilità, per un minore non italiano, di richiedere la cittadinanza dopo il completamento di un ciclo scolastico di 5 anni. Nel momento in cui due degli spauracchi agitati a intervalli regolari dalle destre – la droga che rovina le menti dei giovani e la cittadinanza che, insomma, non può essere regalata a chiunque – raggiungono Montecitorio, è più che naturale che Salvini e Meloni provino a sporcare l’acqua.

Ora: l’arrivo in aula della proposta, ovviamente, non è la legalizzazione completa per cui Meglio Legale e l’Associazione Luca Coscioni si sono battute negli ultimi anni (sfociata, come sappiamo, nel giudizio di inammissibilità del referendum da parte della Corte Costituzionale). E però, a prescindere dai travasi di bile e dalle parole sminuenti della destra ostruzionista, il fatto che in Parlamento si parli di cannabis, e in un momento significativo della vita istituzionale, è senza dubbio un primo passo importante.