La situazione in Serbia è sempre più grottesca, almeno vista dalla prospettiva di noi italiani – e in genere europei – che stiamo affannosamente cercando di vaccinare più persone possibile e abbiamo il problema di tenere a bada l’impazienza di chi deve ancora aspettare il proprio turno. Ovvero, la stragrande maggioranza delle persone. Dalle parti di Belgrado no. Un po’ come sta succedendo in America, anche in Serbia – anzi: ancora di più in Serbia – c’è il problema opposto. Ci sono i vaccini, c’è una ramificatissima struttura per vaccinare, ma non ci sono coloro che si fanno vaccinare.
Abbiamo spiegato per bene i confini della eccezione serba, mediaticamente esplosa anche da noi (con qualche superficialità di troppo) quando all’improvviso le autorità di Belgrado avevano deciso di aprire anche ai cittadini esteri la possibilità di farsi vaccinare. Da lì in avanti, dopo anche qualche tentativo di truffa (soprattutto in Turchia, con fantomatiche agenzie di viaggi che promettevano viaggio più vaccino a una tariffa fissa anche piuttosto alta, millantando la possibilità di poter fissare una data certa per il vaccino), si è andati avanti a colpi di stop and go.
La possibilità per i cittadini stranieri di prenotare un vaccino sul territorio serbo prima è stata bloccata per la mini-esplosione di richieste, poi è stata rimessa, infine è rimasta un po’ nel limbo: sì, ti puoi mettere in coda tramite questa pagina, ma non c’è nessuna garanzia tu venga chiamato (men che meno garanzie sulla data precisa, di modo da organizzarsi), e al momento pare che le convocazioni arrivino col contagocce o non arrivino proprio, soprattutto se si sceglie di farsi iniettare il Pfizer o l’AstraZeneca – sì, c’è proprio la possibilità di scegliere, come al ristorante – che sono gli unici al momento riconosciuti dalle autorità europee.
Ogni tanto però la situazione si sblocca all’improvviso. E accadono, appunto, situazioni grottesche. Come ad esempio il fatto che stamattina 6 maggio nel centro commerciale principale di Belgrado, appena al di là della Sava, abbiano aperto alle vaccinazioni senza nessuna necessità di essersi pre-iscritti. Ti presenti, ti vaccini. Anzi: ai primi cento che arrivano e si fanno vaccinare, viene pure regalato un voucher di 3000 dinari (25 euro, al cambio) da spendere in shopping. Ai primi cinquanta di domani venerdì il voucher diventa addirittura da 5000, per i primi cinquanta di sabato si torna ai 3000 dinari. Surreale, no?
In realtà questa trovata è un calco (ed un’ulteriore aggiunta) rispetto a una decisione che è stata ufficialmente annunciata dal Presidente della Repubblica Vučić. «Ci siamo confrontati io e la premier Brnabić, ed abbiamo deciso che i cittadini di buona volontà che decidono di proteggersi attivamente contro il Covid vaccinandosi vanno premiati. Chiunque si vaccinerà da oggi fino al 31 maggio, riceverà sul proprio corrente 3000 dinari». Non manca anche la componente vendicativa (nei Balcani c’è molto gusto anche ad essere permalosi…): «I lavoratori statali che risulteranno assenti dal lavoro causa Coronavirus e che non si sono precedentemente vaccinati, non avranno i giorni di malattia retribuiti».
Se è bizzarra l’idea che lo Stato ti paghi per ringraziarti di aver accettato di vaccinarti, ancora più lunare – ai nostri occhi – è lo scetticismo che continua ad esserci nella nazione serba attorno ai vaccini. Se ce lo si aspetta dalle comunità di lettori che si radunano attorno ai tabloid più populisti, è veramente allucinante leggere anche come anche le pagine dei commenti sotto gli articoli di Danas – praticamente il Guardian serbo, giornale che rappresenta l’elite europeista e progressista – siano a grandissima maggioranza molto, molto scettici contro il vaccino.
“3000 dinari? Se io vado a sottopormi ad un trial per un industria farmaceutica, mi prendo molto più di 3000 dinari”. E a chi prova a scrivere “Vaccinatevi! Io mi sono vaccinata, non ho avuto nessun effetto collaterale e sto benissimo”, arrivano subito sotto risposte come “Il mio vicino di casa si è vaccinato, ed è morto. Tieniti per te il tuo consiglio”, oppure “Brava, ora stai benissimo. Ma vediamo tra tre, quattro anno come starai”. Posizioni no-vax che conosciamo anche noi, ma fa veramente strano vederle così maggioritarie (e così diffuse in contesti decisamente progressisti e non populisti). Su una cosa sono tutti d’accordo: Vučić sta usando la questione vaccini per demagogia, ha puntato tutto sulla vaccinazione per ripartire prima e meglio dal punto di vista economico, in un all in che lo ha spinto ad ignorare i vincoli di bilancio (c’è grande preoccupazione per un debito pubblico che sta superando di slancio il 60% del PIL: un’inezia, rispetto all’Italia, una soglia pericolosa per una economia ancora debole come quella serba).
A rigor di logica si è anche accaparrato consistenti quote di vaccino con però l’impegno a non rivenderlo fuori dai confini patri: da lì la situazione assurda per cui in Europa e nel mondo il vaccino quasi ovunque scarseggia, in Serbia ne hanno da buttare, ma intanto resta ancora lì.