L’inizio delle ostilità al confine tra Russia e Ucraina sta sfatando alcuni tabù che hanno tenuto banco per lunghi anni: per la prima volta nella sua storia, l’Unione Europea ha deciso di sostenere un Paese – l’ex repubblica sovietica – attraverso la fornitura di armi e attrezzature utili per combattere contro la Russia di Putin.
Una decisione a suo modo storica, che ha fatto da apripista a un altro precedente: la Svizzera ha scelto, de facto, di abbandonare la sua secolare neutralità e di allinearsi “integralmente” alle sanzioni imposte dall’Unione Europea nei confronti della Russia, ponendo fine a un tratto costitutivo del metodo elvetico di gestione degli affari internazionali, un valore radicato nella coscienza dei cittadini svizzeri e talmente connotante da aver fatto breccia nel lessico comune (chiunque, almeno una volta nella vita, si sarà sentito richiamare all’ordine per la sua indifferenza rispetto a una determinata questione al grido di «Sei come la Svizzera!»).
Ad annunciare la svolta è stato il presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, che ha annunciato che nel breve termine la Svizzera congelerà una serie di beni posseduti dai cittadini russi.
La tradizione della neutralità elvetica affonda le radici in ben cinque secoli di storia: risale infatti al 1516, quando a un anno di distanza dalla battaglia di Marignano – l’ultimo conflitto armato combattuto dalle truppe della Confederazione dei XIII e conclusosi con una cocente sconfitta a opera dell’esercito francese – la Svizzera stipulò con l’allora re di Francia, Francesco I, un trattato di pace destinato a fare scuola.
Soltanto nel 1815, però, questa posizione fu riconosciuta ufficialmente: il Trattato di Parigi del 1815, infatti, sancì l’impegno da parte di Austria, Gran Bretagna, Portogallo, Prussia e Russia a rispettare la volontà della Svizzera di non immischiarsi nelle future operazioni militari e, nel contempo, le garantirono l’inviolabilità territoriale.
La decisione Svizzera rappresenta un passo in avanti importante per il contenimento della Russia, privandola di una possibile via di fuga finanziaria che avrebbe finito per indebolire le sanzioni di Unione Europea e Stati Uniti.