«Il punto è che noi non chiediamo soldi, ma di poter spendere quelli che già abbiamo. Tutto questo è assurdo». Arriva quasi alla fine della conversazione il momento in cui Filippo Palombini abbandona l’intransigente diplomazia e la pazienza che lo avevano contraddistinto fino a quel punto. È il primo cittadino di Amatrice da maggio, quando, dopo l’esperienza da vice, ha preso il posto di Sergio Pirozzi, popolare numero uno del comune laziale entrato in consiglio regionale.
Lo scorso 11 gennaio sul suo profilo Facebook così aveva scritto: “Da settembre scorso avevo deciso che come Sindaco non avrei più ricevuto delegazioni politiche che venivano solo a dare visibilità a se stesse. Sono stanco di passerelle inutili ma, soprattutto, sono stanchi i miei concittadini. Amatrice di tutto ha bisogno fuorché delle solite chiacchiere e passerelle”. Palombini aveva poi deciso di “accettare” la visita del sottosegretario Crimi, “perché è il referente istituzionale per la ricostruzione del Centro Italia” e sentiva la necessità di confrontarsi con lui. L’incontro è andato bene, la speranza è che si possa passare dalle parole ai fatti a breve.
«Questo è un momento molto particolare per noi. Oggi finalmente sappiamo chi è il nostro interlocutore, dopo che in questi due anni e mezzo abbiamo visto cambiare aver troppi primi ministri, ministri e commissari. È giunto il tempo di cambiare le regole e fare i provvedimenti che servono per accelerare una ricostruzione che è nata male e sta continuando peggio», dice Palombini. «Non so quanto la presenza del governo da queste parti negli ultimi periodi sia legata alle elezioni Europee di maggio e nemmeno mi interessa: il mio obiettivo è prima di tutto ridare un po’ di speranza a una comunità stanca e sfiduciata».
La sensazione è che, come spesso accade quando la politica diventa conflitto e spettacolo 24/7, Amatrice sia come sparita all’interno di una bolla. Tutti ne parlano, ma quanti poi fanno un passo in più, cercano di capire cosa serva davvero e cosa si potrebbe fare per migliorare le cose? Negli ultimi mesi – dopo che le risposte fornite dai governi di centrosinistra sono state del tutto insufficienti per la gravità della situazione – dare una mano alle popolazioni terremotate è stato uno dei refrain più utilizzati dall’attuale esecutivo, quello del “prima gli italiani”. Non ci possiamo occupare dei migranti perché da anni abbiamo nostri compatrioti che soffrono e vanno aiutati, più o meno, il concetto. E così gli uni e gli altri sono pian piano sprofondati nelle sabbie mobili della retorica politica, quasi scolorendo come persone in carne e ossa alle prese con situazioni complicate.
«Chiaro che questa sensazione noi l’abbiamo provata, più volte. In tanti casi ci è sembrato che i politici venissero a trovarci più per il proprio tornaconto, che per vedere quali fossero i nostri problemi. Che ci si riempisse un po’ la bocca con Amatrice, mai poi in concreto si facesse ben poco», spiega il sindaco. «Almeno abbiamo scampato il pericolo di sparire dai riflettori, ed essere abbandonati definitivamente».
Il paradosso, come detto, è che i fondi non mancano. «In questi anni sono state stanziate diverse decine di milioni, ma non è stato speso un euro per colpa di procedure farraginose». Mancano le ordinanze esplicative dei decreti già firmati, che chiariscono come si possono spendere gli stanziamenti. Manca l’operatività sul territorio da parte dei vari organismi chiamati a intervenire per conto dello Stato. «La cosa più importante è cambiare la governance. Tutte le strade di Amatrice sono già state finanziate, così come la messa in sicurezza degli edifici e varie opere pubbliche, eppure nulla di tutto ciò è partito. Davanti a un’emergenza non si possono utilizzare le procedure ordinarie, altrimenti si promettono soldi che non arrivano mai».
Il problema è che l’Anas, per fare un esempio,«non può venire per sistemare 200 metri di strada: fare il sopralluogo costerebbe più dell’intervento». E così tutto rimane fermo, anche perché «in un paese distrutto non si può partire dalle abitazioni: senza i collegamenti, l’acqua, le fogne e la luce nessuno si sogna di tornare in casa. Infatti anche quelle rimaste agibili sono disabitate per questo motivo. E molti non chiedono nemmeno i contributi per la ricostruzione, perché non hanno più fiducia. Così i cantieri sono al palo, complice anche il fatto che le imprese private sono avvilite dai tempi infiniti nelle risposte e dalle pastoie burocratiche».
Allo stesso modo Amatrice chiede da tempo di dare il via libera alla costruzione di villaggi di residenze temporanee, delle specie di bungalow che consentirebbero alle persone di tornare sul territorio in attesa della ricostruzione delle loro abitazioni. «In questo modo anche i proprietari di seconde case, che sono molti nel nostro Comune, oppure i turisti potrebbero tornare nei luoghi del cratere sismico per pernottare, e sostenere un mondo economico in enorme difficoltà. I fondi sono stati decisi a luglio, ma ancora una volta mancano le direttive sul modo con cui spenderli. Spero tanto che in primavera, assieme alle margherite, sbuchino fuori».
Insomma, bisogna snellire le procedure e ascoltare il territorio. «Che lo Stato non arrivi a riportare la luce in una piccola frazione ci può stare, ma allora fatelo fare a noi. Se i sindaci e le comunità locali avessero avuto il modo di operare tutta una serie di piccoli interventi, molti servizi fondamentali sarebbero già ritornati». Così «la rabbia si trasformerebbe in energia, entusiasmo, e le cose comincerebbero a funzionare». La bolla finirebbe per bucarsi. «Siamo dei montanari, abituati alla vita dura. Ma abbiamo bisogno di serietà».