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È giusto trattare gli attivisti ambientalisti come dei vandali?

Ci danno fastidio perché toccano il nervo scoperto del decoro, un tasto pericoloso da premere in un Paese a trazione iper,conservatrice come il nostro. Eppure, cercano soltanto di dimostrarci che per il nostro Pianeta è già troppo tardi

Ultima Generazione è tornata a far parlare di sé: questa mattina, alcuni attivisti legati al gruppo ambientalista hanno lanciato della vernice su una facciata di Palazzo Madama, la sede del Senato, in segno di protesta contro il disinteresse del mondo politico di fronte ai dati e le notizie sempre più allarmanti sul collasso eco-climatico.

L’azione ha suscitato l’immediata reazione del mondo politico, a partire dal presidente del Senato La Russa, che ha parlato di «Un atto che offende tutte le istituzioni e che solo grazie al sangue freddo dei carabinieri non è trasceso in violenza». Al coro si sono uniti altri esponenti della destra, come il ministro della Difesa Guido Crosetto – «Scegliere di sporcare opere d’arte o edifici storici, per difendere l’ambiente sarebbe un po’ come organizzare una cena tra amici a tema Asado argentino, per fare battaglie vegane», ha detto. A prendere le distanze dal gruppo ambientalista è stato anche Matteo Renzi, che sui suoi social ha scritto: «Chi vandalizza un palazzo delle Istituzioni pensando di difendere l’ambiente capisce poco».

Il gesto si inserisce in un filone di proteste e disobbedienza civile che, negli ultimi mesi, abbiamo imparato a conoscere bene: un moto di contestazione reso celebre dall’ormai iconico lancio di zuppa su I Girasoli di Van Gogh (o meglio, sul vetro posto a protezione dell’opera, che non è stata danneggiata in alcun modo, come riportato erroneamente da alcuni fonti) e, nel contesto domestico, dal trio di attivisti che, a luglio, ha scelto di incollarsi al vetro protettivo della Primavera di Botticelli per richiamare l’attenzione sulla necessità di accelerare il processo di decarbonizzazione e diminuire le emissioni climalteranti.

Queste azioni dimostrative, in alcuni casi, sono più vicine a delle vere e proprie performance aritistiche di denuncia dal retrogusto situazionista, colme di citazioni e riferimenti al vandalismo dell’arte e ai moti di protesta che hanno animato i movimenti dei diritti civili del passato. Ad esempio, in tanti hanno ricollegato il caso della National Gallery e della lattina di Campbell Tomato Soup a un illustre precedente del passato: nel 1914, nello stesso museo, la suffragetta canadese Mary Richardson sfregiò la Venere allo specchio di Velázquez con un coltello da macellaio, dopo aver distrutto la teca, per protestare contro il trattamento riservato in carcere a Emmeline Pankhurst, leader del movimento per il diritto di voto – (rimandiamo alla lettura di questo puntuale approfondimento scritto da Stella Succi su Not).

Il senso ultimo di queste proteste, insomma, è chiarissimo: sfruttare le – limitatissime – finestre di attenzione che questi movimenti hanno a disposizione per portare la crisi climatica al centro del dibattito pubblico. Da questo punto di vista, al netto delle rimostranze – sintetizzabili in un perentorio «L’arte non si tocca» – coinvolgere un’opera iconica come I Girasoli o imbrattare il Teatro alla Scala di Milano sono azioni perfettamente funzionali allo scopo: catalizzano l’attenzione mediatica, fanno parlare di sé, portano la causa del climate change sui giornali, nelle televisioni, sui nostri feed.

È quello che potremmo definire alla stregua di un tentativo di egemonia, perseguito con modalità dure e che provocano per forza di cose fastidio e malcontento: per intenderci, è lo stesso principio che orienta le decine di blocchi autostradali a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi.

I travasi di bile scaturiti da queste azioni li conosciamo: automobilisti arrabbiati che trascinano di peso gli attivisti per liberare un varco nella carreggiata, camionisti che intimano ai gruppi di spostarsi e lavoratori – comprensibilmente – infastiditi che criticano queste forme di contestazione suggerendone di più efficaci. Uno dei consigli più richiesti è di lasciare perdere le autostrade e andare a protestare di fronte ai “palazzi del potere”, ma siamo seri: che copertura mediatica potrebbe scaturire da una generica manifestazione in senso tradizionale? Da questo punto di vista, hanno ragione loro: una colata di vernice funziona molto di più di una folla inferocita. Perché? Semplice: è più inaccettabile dal punto di vista culturale, tocca i nervi scoperti dell’ordine e del decoro – che, in un paese a trazione ultraconservatrice come il nostro, sono tasti pericolosissimi da premere.

Per tutti questi motivi, trattare chi prova a richiamare l’attenzione sulla crisi climatica alla stregua di un generico vandalo è indice di enorme arretratezza. A dicembre, la questura di Pavia ha chiesto l’applicazione del codice antimafia nei confronti di Simone Ficicchia, uno dei tre attivisti di Ultima Generazione che ha partecipato alla protesta degli Uffizi. La misura a cui rischia di essere sottoposto comporta l’obbligo di dimora nel comune di residenza e un “coprifuoco” notturno, con verifiche da parte delle forze dell’ordine dell’effettiva presenza in casa della persona oggetto della misura di Sorveglianza Speciale; questo complica la vita e la quotidianità di un ragazzo di vent’anni, che ancora vive con i suoi genitori e che, a prescindere dalle modalità, persegue una causa sacrosanta. Giulia Crivellini, tesoriera di Radicali italiani, è intervenuta sostenendo che «queste misure sono discutibili in generale e sono state già oggetto di numerose censure al nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti umani e della Corte costituzionale. Tanto più appaiono illegittime quando sono richieste per motivi politici atti a punire azioni di resistenza civile. Si tratterebbe dunque di un pericoloso precedente che si aggiunge a quell’insieme di norme anti-rave. Il 10 gennaio il tribunale di Milano deciderà se accogliere la richiesta della Questura di Pavia. In quel giorno porterò personalmente la mia solidarietà a Simone manifestando contro la sua incriminazione».

Crivellini ha colto perfettamente il punto: alzare l’asticella della repressione servirà soltanto a complicare la quotidianità di un ragazzo fondamentalmente inoffensivo, che vive ancora con i genitori e non ha ancora completato gli studi. Nel frattempo, è bene ricordarci che siamo reduci da un anno tristemente memorabile, in cui il riscaldamento globale si è rivelato più concreto che mai, con buona pace di chi prova a sottostimarne la portata riportando in auge il “gretinismo”.

Lasciando perdere il quadro globale – in cui spiccano i 1500 morti causati dalle alluvioni in Pakistan –, concentriamo per un secondo lo sguardo su quanto accaduto in casa nostra: per l’Italia, il 2022 l’anno più caldo di sempre da quando gli scienziati hanno iniziato a registrare le temperature, ovvero dal 1800, come confermato dagli scienziati del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’istituto per le Scienze dell’atmosfera e del clima (Isac). Un anno costellato da 310 fenomeni climatici estremi che hanno causato 29 morti e gravi danni. Sono aumentate siccità, grandinate e alluvioni. Il 3 luglio 2022, il distacco di una grossa porzione dalla calotta sommitale del ghiacciaio della Marmolada ha fatto 11 vittime e 8 feriti; nelle Marche l’alluvione del 15 e 16 settembre ha provocato 13 morti. Il 26 novembre, a Ischia, le piogge intense hanno causato una frana e un’alluvione provocando 12 vittime: numeri da bollettino di guerra. Senza dimenticare gli oltre cento giorni consecutivi senza precipitazioni a Milano, le fontane delle nostre piazze spente per risparmiare acqua, lo stato d’emergenza per la siccità e le inquietanti immagini del Po in preda alla secca peggiore degli ultimi settant’anni – qualcuno ha avuto il coraggio di urlare al complotto anche in questi casi.

Forse, tra qualche anno ricorderemo quei lanci di vernice non come gesti da demonizzare, ma come avvertimenti lucidissimi: è già troppo tardi, e gli attivisti ce lo stanno ricordando di settimana in settimana. In modi fastidiosi, suscitando indignazione, alle volte spingendoci a provare antipatia nei loro confronti, ma hanno colpito nel segno.

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