Il punk non è morto. Ma anche quando era più giovane, di certo non piaceva a tutti. Così anche gli attivisti di Ultima Generazione che imbrattano le opere d’arte e bloccano il traffico non si preoccupano certo di far colpo sui nostri genitori. Piuttosto, provano incessantemente a suonare la sveglia di un’emergenza climatica ignorata troppo a lungo dai governi. Venerdì scorso, l’attivista Chloe Bertini ha lasciato lo studio di Piazza Pulita nel mezzo del dibattito, esasperata dal tridente schierato in campo da Formigli, con l’immancabile vicedirettore de La Verità, Stefano Borgonovo, e sulle ali Tabarelli e Prestininzi, sostenitori della teoria secondo cui affibbiare tutta la responsabilità dei cambiamenti climatici all’uomo sia esagerato. Il motivo di scazzo sono stati i dati privi di contesto tirati fuori dal geologo Prestininzi sulla presunta stabilità delle rilevazioni delle stazioni pluviometriche, ma durante tutto il dibattito a essere insopportabile era l’atteggiamento paternalista secondo cui è normale che a vent’anni si protesti. Mi raccomando, però, a non esagerare.
Rissa a piazzapulita.
L'attivista climatica si scontra col geologo e lascia lo studio:
"Impara l'educazione, ascolta chi ha studiato"#piazzapulita #crisiclimatica #ultimagenerazione #CambioClimatico #CambiamentoClimatico #alluvione #siccità #clima #Formigli pic.twitter.com/Y54254cMIf— Davide Scifo (@strange_days_82) May 5, 2023
Abbiamo intervistato Leonardo Basso, uno dei portavoce di Ultima Generazione, per dare loro la possibilità di parlare in maniera più ragionata, senza i tempi concitati scanditi dai cronometri dei talk show televisivi.
Agganciamoci all’attualità con quanto successo a Piazza Pulita, quando la vostra attivista Chloè Bertini ha lasciato lo studio. Cos’è che non funziona secondo te nella narrazione della crisi climatica sulla tv generalista?
In televisione si vuole sempre far passare l’idea che ci sia un dibattito sull’esistenza o meno della crisi climatica ed ecologica. Portando appunto, così come avvenne per i vaccini, dei sedicenti esperti. Si cerca di convincere la popolazione che tutto sommato gli scienziati non siano d’accordo, quando la sproporzione per quanto riguarda il tema del cambiamento climatico è enorme. Per ogni scienziato che crede sia esagerato parlare di catastrofe, ce ne sono altri dieci che dicono esattamente il contrario. Come dice il Segretario delle Nazioni Unite, stiamo percorrendo un’autostrada verso l’inferno e il suicidio collettivo. È uscito uno studio su Nature secondo cui il 98,6% della comunità scientifica era d’accordo nel dire che esiste un problema enorme in corso e che i governi non lo stanno affrontando. Attenzione, non “non lo stanno affrontando adeguatamente”, non lo stanno affrontando affatto.
Bisognerebbe, su questi temi, rispettare le proporzioni della comunità scientifica. Invitando Borgonovo, Prestininzi, e Tabarelli, invece, si inquina solamente il dibattito.
L’obiezione che fanno spesso è “Sì, ma anche Galileo aveva tutti contro, e invece aveva ragione”. Noi a questo rispondiamo che Galileo aveva le prove. Questa gente qua, la maggior parte delle volte, pubblica su riviste che non hanno alcuna credibilità e con numerose falle nei propri studi. Quindi il paragone non regge.
In televisione però non sempre avere ragione e ottenere consenso vanno a braccetto. Come mai? È la sinistra che non sa contendersi lo spazio mediatico in maniera efficace?
Secondo me in televisione non traspare il consenso che abbiamo all’interno della popolazione. E comunque nemmeno loro, tutto sommato, hanno dati alla mano su di noi.
Voi sì?
Allora, gli unici dati che abbiamo a disposizione, anche rispetto all’obiezione secondo cui ci alieniamo la popolazione, sono dati che provengono dal Regno Unito e dal Centro Studi Sereno Regis, che ha condotto dei sondaggi per misurare l’efficacia nella creazione di consenso. Nel Regno Unito, dove Just Stop Oil ha fatto più rispetto a noi, il consenso da parte della popolazione si attesta al 18,6%. Questo vuol dire che c’è quasi una persona su quattro che è d’accordo con i metodi della disobbedienza civile non violenta. D’accordo sul bloccare le strade, imbrattare edifici, fermare conferenze per far parlare del problema, e d’accordo sul fatto che non si debba più investire nelle fonti fossili. Se pensiamo che la popolazione inglese è di 80 milioni di persone, se una persona su 4 è d’accordo sullo scendere in strada e commettere atti illegali di disobbedienza civile non violenta, è un problema enorme per un governo.
Il 18% è quasi una su cinque, però. E il Regno Unito conta 67 milioni di persone.
Si, scusami.
Anche Martin Luther King, comunque, non era ben visto ai tempi dell’approvazione del Civil Rights Act. Nel 1966, più di 6 persone su 10 avevano un’opinione sfavorevole su di lui. Nel 2011 però il tasso di disapprovazione è sceso dal 63% al 4%. Succederà anche con voi?
Penso stia già succedendo, in realtà. E comunque, ciò su cui ci basiamo di più è il consenso della comunità scientifica, che viene ignorata da trent’anni a questa parte e chiede disperatamente in ginocchio ai governi di fare qualcosa per tutelare la vita delle persone. Non sono stati ascoltati attraverso i sit-in, le proteste, i cortei, le petizioni, le conferenze, le assemblee o le proposte di legge. L’ultima cosa che le persone comuni possono fare per tutelare il proprio futuro è attraverso la disobbedienza civile non violenta, che non piace a nessuno. Ma come abbiamo visto in Emilia Romagna la settimana scorsa con le enormi piogge torrenziali che l’hanno colpita e le inondazioni che hanno causato disagi a migliaia di persone, un singolo evento estremo come quello crea cento volte i disagi che crea Ultima Generazione in cinque anni di proteste sul Grande Raccordo Anulare.
Riguardo al merito delle proteste, i due punti su cui vi si critica più spesso sono, da una parte, quello di creare disagio, ad esempio con i blocchi stradali, a lavoratori che così facendo si allontanano ancora più dalla causa; e dall’altro, il fatto che alcune proteste siano incomprensibili alla maggior parte delle persone e diventino quasi performance artistiche.
È una cosa di cui si parla e su cui discutiamo sempre, motivo per cui cerchiamo sempre di innovare le tattiche che vengono utilizzate. Siamo sempre aperti non solo al dibattito interno, ma anche alle reazioni dall’esterno. Organizziamo blocchi del traffico e imbrattiamo le strade perché in questo momento, e anche a livello internazionale, sono la cosa più semplice e veloce. Per imbrattare una statua o bloccare il traffico bastano poche persone. Per fare cose più complesse ne servono di più.
Cose più complesse tipo?
Mi vengono in mente le proteste di Otpor in Serbia nei primi anni 2000, in cui avevano un movimento molto più di massa, riuscivano a organizzare concerti, grosse manifestazioni, con azioni umoristiche che mettessero le forze dell’ordine in una posizione ridicola, rimuovendo magari i bidoni dell’immondizia con la faccia di Milošević. Noi non lo stiamo facendo perché pensiamo che tattiche del genere lavorino più sul lungo periodo.
Quanti siete al momento?
Ad aprile, di persone disposte a scendere in piazza, a farsi denunciare, a farsi arrestare, eravamo attorno ai 100. Siamo partiti un anno e mezzo fa sul Grande Raccordo Anulare, quando abbiamo bloccato il traffico, in 6. Invece, per quanto riguarda tutte le persone che agiscono e operano nei gruppi di lavoro a livello locale siamo sulle 300/400 persone.
A livello pratico e legale poi a cosa si va incontro, una volta gettato carbone vegetale in una fontana, imbrattato monumenti o bloccato il traffico?
La cosa che ci contestano sempre è la manifestazione non autorizzata, che è un illecito amministrativo, per cui ci sono multe che vanno dai 100 ai 300 euro. C’è poi interruzione di pubblico servizio, se si dovessero fermare autobus o gli stessi mezzi della polizia. I mezzi del 118 invece sono sempre avvisati con quindici, venti minuti di anticipo. E in ogni caso nei blocchi del traffico, i mezzi di soccorso sono sempre stati fatti passare, ovviamente.
E per gli imbrattamenti?
Danneggiamento. Lo danno a prescindere, anche se la vernice è lavabile, com’è stato nel caso di Palazzo Vecchio o del Senato. E poi infatti non regge l’accusa e decade in sede di processo.
Davanti al Duomo di Milano cosa c’era di diverso? Perché non sono riusciti a lavarla via?
Stiamo ancora cercando di capire, quella statua risulta che fosse già in uno stato di degrado anche prima dell’azione di Ultima Generazione. Era già transennata. La vernice usata era sempre la stessa. Verranno svolte delle indagini, ma pare che o le temperature molto alte o i ritardi nelle pulizie hanno fatto sì che la vernice non venisse via. Comunque, molte persone hanno apprezzato la modifica.
Le multe, invece, le pagate?
No, non vogliamo finanziare con i nostri soldi uno stato criminale che decide di non proteggere attivamente la salute e il futuro dei suoi cittadini, la cui vita è in pericolo a causa dei continui investimenti sui combustibili fossili. E poi, anche perché se l’Agenzia delle Entrate non rinnova ogni anno, per cinque anni, l’ingiunzione di pagamento, tutte queste multe decadono. E anche se non decadono, spesso vengono condonate da un governo di destra.
Per quanto riguarda i soldi, e il pagamento degli avvocati ad esempio, vi sostenete con i fondi del Climate Emergency Fund, giusto?
Adesso, in realtà siamo passati a sostenerci attraverso le donazioni periodiche di chi ha scelto di sostenere la campagna, non facciamo più riferimento al Climate Emergency Fund come facevamo all’inizio.
A quanto ammontano?
Non saprei dirti, c’è un gruppo apposito che se ne occupa.
Hai sentito parlare di Radical Flank Effect? Consiste nel fatto che le fazioni più radicali di un movimento sociale possono aumentare il sostegno alle fazioni più moderate (così era avvenuto ad esempio durante le manifestazioni per George Floyd e ancora prima con le suffragette). Questo può significare una maggiore mobilitazione o donazioni aggiuntive. Tuttavia, a volte ha anche effetti negativi e può anche danneggiarli.
Sì, noi siamo convinti di svolgere esattamente questo ruolo. Rimanendo radicalmente non violenti, sia nei modi che nelle parole, riusciamo a spingere tutte quelle persone e le realtà che ci stanno attorno a compiere un passo in più.
Extinction Rebellion Uk, invece, quest’anno ha annunciato che avrebbe cambiato tattica, dando priorità alla ricerca del consenso e alla partecipazione rispetto all’arresto e ai blocchi stradali. Hanno detto che in un’epoca in cui parlare e agire sono criminalizzati, costruire un potere collettivo e rafforzarsi numericamente è un atto radicale.
In merito a questo, però, Extinction Rebellion Uk ha dimostrato che si possono portare 60 mila persone in piazza per quattro giorni, ed essere completamente ignorati. Sessantamila persone che non creavano alcun disagio e hanno protestato davanti al Parlamento Inglese per quattro giorni e non se ne è sentita una parola. A stento nel Regno Unito se ne è sentito parlare. Non avendo creato disagi, non hanno avuto modo di far parlare della causa. Tanto che XRUk si era chiesta “Immaginate se rimanessimo lì?”
Voi quindi non avete in mente di organizzare manifestazioni?
Per ora stiamo organizzando presidi di solidarietà per le persone che dovranno andare a processo. Venerdì 12 Maggio alle 13 abbiamo un presidio davanti a Piazzale Clodio per la prima udienza delle persone che hanno imbrattato il Senato. E il 24 maggio alle 15 per Ester e Guido, che si erano attaccati al basamento del Laocoonte.
Ma ha senso puntare all’attenzione mediatica e basta? Alla fine, dopo queste proteste, il ciclo di informazione ti concede effettivamente spazio mediatico per 24 ore, ma poi torna subito a ignorarti. A meno che, ovviamente, non continuate a oltranza.
L’idea è proprio questa. Continuare a oltranza perché andare nei media è strumentale a far parlare del problema. Il fatto che il Governo italiano metta ogni anno 41 miliardi di sussidi alle fonti fossili (siamo il sesto finanziatore al mondo) non è di dominio pubblico. E riusciamo a dirlo solo perché compiamo azioni abbastanza dirompenti da finire su giornali, radio e televisioni.
Non avrebbe più senso costruire o convergere verso un soggetto politico?
No, è un processo troppo lento.
Lento o anche spaventoso? In politica poi ti svendi, i leader deludono. Prendi la TAV in Val Susa, ad esempio, che è stato un grande bacino di voti per i Cinque Stelle. E poi sono stati rinnegati una volta al governo.
Secondo me, anche nel migliore – e irrealistico – dei casi in cui ci si presenta alle elezioni e le si vince, è troppo tardi. Bisogna creare un disagio tale da costringere il governo a trattare con noi.
È troppo tardi anche per protestare, allora, stai dicendo.
No, questi anni sono fondamentali. Le teste migliori che abbiamo, ad esempio Sir David King, che è stato Chief Scientific Advisor per il Governo del Regno Unito, nel 2022 diceva che ciò che faremo nei prossimi quattro anni determinerà il destino dell’umanità. La crisi climatica non è un problema lineare. A un certo punto tocchiamo dei punti di non ritorno. Ci sono scienziati che dicono che è già troppo tardi, e altri che dicono che c’è ancora una speranza se dimezziamo le emissioni entro il 2030. A questo punto, vogliamo essere ricordati come coloro che ce la mettono tutta, mettendo i loro corpi al centro della causa, e che alla peggio ci hanno provato e costruito un mondo migliore, oppure come quelli che hanno gettato la spugna, ritardato sempre di più e sperato nelle nuove tecnologie?
Ti chiedo l’ultima cosa, rispetto a un tema che secondo me manca nella narrazione della crisi climatica. Bertold Brecht, alla fine della guerra, scrisse: “Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”. Anche quando si parla di crisi climatica, essendo qualcosa che riguarda il pianeta, si perde di vista che i danni li pagheranno sempre i poveri a dispetto dei ricchi, e il Sud del mondo rispetto al Nord.
È un tema incredibilmente complesso, sono d’accordo. I responsabili sono chiari e li citiamo ogni volta che andiamo a parlare in pubblico. Non solo le compagnie del fossile, ma tutti i governi, che oggi reprimono con leggi apposite coloro che glielo fanno notare. Exxon sapeva dal 77 sapeva delle potenziali conseguenze che la crisi climatica avrebbe comportato. Hanno messo tutto sotto il tappeto per continuare a garantire profitti ai propri azionisti. E così le altre Sette Sorelle. E successivamente, hanno provato a far passare il problema come un problema causato dai consumatori, inventandosi il concetto della carbon footprint.
Non pensi che questa complessità andrebbe portata nel dibattito pubblico? Essendo ormai tutti d’accordo sull’origine antropica del cambiamento climatico, non bisognerebbe iniziare già a parlare di “transizione energetica giusta”? Riguardo alle tariffe sul carbonio su cui discute l’Unione Europea, ad esempio, Aissatou Sophie Gladima, ministro dell’Energia del Senegal, aveva messo in guardia rispetto alle ripercussioni che avrebbero sull’Africa, dicendo che “Limitare i prestiti per lo sviluppo di petrolio e gas è come togliere la scala e chiederci di saltare o volare”. Pur essendo preoccupati per il clima, i Paesi in via di sviluppo devono affrontare anche altre questioni esistenziali. Oltre al clima, lottano per riprendersi dalla COVID-19, ridurre la povertà, promuovere la crescita economica, migliorare la salute e mantenere la stabilità sociale.
È vero. Per fare un esempio, anche se dovessimo sostituire tutte le macchine a benzina con veicoli elettrici, se poi lo facciamo usando il cobalto estratto nelle miniere del Congo da bambini costretti a respirare sostanze tossiche, o prelevando il litio dalle popolazioni indigene, non stiamo realmente risolvendo la crisi climatica. È complicato, e siamo disposti a parlarne con chi ce lo concede. Magari le persone sul Grande Raccordo Anulare non sono molto interessate a parlare di transizione ecologica giusta. Sono interessate però al perché le loro bollette costano di più, o quanto poco le loro case sono termicamente isolate, per cui devono pagare bollette ancora più salate. Noi, in quanto Ultima Generazione, diciamo che i finanziamenti che il Governo Italiano dirige verso i combustibili fossili sono troppi, e dovremmo dirottarli su forme di energie più pulite. Puntiamo a fare questa cosa in Italia e vogliamo avere una vittoria in Italia che, seppur piccola, per noi è una vittoria. Anche se riusciamo a dirottare solo 1 milione di quei 41 miliardi. Poi passeremo a un nuovo obiettivo, perché avremo dimostrato che se le persone si attivano, le cose possono cambiare.
Capita, quindi, a dispetto di quanto si vede da stralci di video, che ci siano alcune persone che solidarizzano con la protesta e si mettono dalla vostra parte durante un blocco stradale?
Sì, capita. C’è però un Survivorship Bias. Anche se la popolazione italiana è sensibile al tema, non va a rischiare la propria incolumità. A Verona, un signore di settant’anni si è unito a un nostro blocco stradale. Ma anche le forze dell’ordine ci dicono che abbiamo ragione, poi ci sgomberano perché devono fare il loro lavoro.