Da qualche giorno subiamo passivamente una tempesta memetica dedicata a Nardella, alla sua corsa disperata per fermare l’attivista di Ultima Generazione reo di aver imbrattato Palazzo Vecchio con della vernice arancione lavabile e ai famosi 5 metri cubi d’acqua necessari per ripulire la facciata della sede del Comune di Firenze.
La grande attenzione che media e opinione pubblica ha riservato al “Nardella–gate” è la cartina tornasole della superficialità con cui, nel contesto domestico, siamo soliti approcciarci alla crisi climatica: da quando gli attivisti hanno iniziato ad alzare l’asticella della disobbedienza civile, articoli e approfondimenti hanno sottolineato unicamente il lato più superficiale e cronachistico della questione, ponendo l’accento sul decoro, etichettando questo tipo di proteste come “blitz” e lodando l’intransigenza del sindaco di turno.
Del contenuto delle rivendicazioni del movimento ambientalista, però, si è parlato pochissimo; le richieste, ripetute come un mantra, sono sempre le stesse: l’urgenza di interrompere gli investimenti in combustibili fossili, di accelerare sul fronte delle rinnovabili, di portare le emissioni di gas serra a zero in tempi ragionevoli. Il punto focale è tutto qui: queste istanze sono poco rappresentate, non hanno fatto breccia come dovrebbero nella discussione pubblica.
Giornali e televisioni non parlano quasi mai di crisi climatica e, quando lo fanno, lo fanno male: questo può essere il riassunto degli studi commissionati da Greenpeace Italia e condotti dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio sui quotidiani ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa. I report sulle televisioni, analogamente, hanno analizzato tutte le edizioni di prima serata dei telegiornali andati in onda su Rai, Mediaset e La7, e un campione di sei trasmissioni televisive di approfondimento: Unomattina e Cartabianca per la Rai, Mattino 5 news e Quarta Repubblica per Mediaset, L’Aria che tira e Otto e mezzo per La7. Nello specifico, su 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte e i telegiornali esaminati hanno trattato la crisi climatica solo in 96 notizie su circa 14mila, pari allo 0,7% del totale.
La tematica è complessa, difficilissima da trattare con cognizione di causa e, forse, di scarso interesse per il pubblico: è più facile concentrarsi sul sottotesto comico, enfatizzare la presunta inutilità di una zuppa di pomodoro riversata su un Van Gogh.
Il problema è che il tragico accarezza la scena quando le possibilità del comico sono ormai esaurite: lunedì è stato pubblicato l’ultimo rapporto di sintesi redatto dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), il principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Il documento ribadisce un concetto essenziale, ossia l’origine antropica della crisi in atto: le emissioni di gas serra di origine umana, alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili che stanno provocando il caos sul pianeta. Ma si scrive anche che possiamo invertire la rotta: frenare e mitigare l’emergenza. Secondo gli autori del documento, agendo molto in fretta e con misure drastiche, c’è ancora tempo per scongiurare gli esiti più catastrofici. Bisogna fare in fretta, però, dato che «La finestra di opportunità per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti si sta rapidamente chiudendo». Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, lo ha definito «una guida per disinnescare la bomba a orologeria del clima».
Non sono le rivendicazioni di un liceale idealista e immaturo, ma le statistiche ufficiali redatte dagli esperti di settore, a confermare che le denunce di Ultima Generazione non sono soltanto razionali, ma indispensabili: non abbiamo più tempo per risalire la china, e anche i buoni propositi fissati da altri vertici sul clima, su tutto quello di Parigi del 2015, peccano di eccessivo ottimismo. Infatti, secondo l’IPCC, con gli attuali andamenti non potrà essere raggiunto l’obiettivo più importante e ambizioso: evitare che entro la prima metà degli anni Trenta si verifichi un aumento medio di 1,5° C rispetto al periodo precedente all’epoca industriale. Non a caso, Guterres ha chiesto che tutti i paesi sviluppati anticipino di dieci anni i propri obiettivi per raggiungere la neutralità carbonica, fissando il limite per raggiungere l’obiettivo al 2040, e non al 2050. Tradotto: abbiamo dieci anni in meno per raggiungere un risultato che, allo stato attuale, rasenta il terreno dell’utopia.
Se non vogliamo fidarci di Ultima Generazione, forse possiamo fidarci di un documento firmato da migliaia di scienziati provenienti da 195 Paesi.