Andrew Cuomo al comando | Rolling Stone Italia
Politica

Andrew Cuomo al comando

Il governatore di New York si è ritrovato al centro della crisi coronavirus negli Stati Uniti, ed è finito per diventare un esempio di come deve comportarsi tutto il Paese

Foto: George Etheredge per Rolling Stone

Il primo marzo c’è stato il primo caso di COVID-19 a New York, dopo che un’infermiera 30enne di Manhattan che era rientrata dall’Iran era risultata positiva al test in un ospedale della città. Sei giorni dopo, il numero dei contagi era schizzato a 89 casi e il governatore Andrew Cuomo aveva dichiarato lo stato d’emergenza.

Due giorni dopo, Donald Trump aveva scritto su Twitter, “L’anno scorso 37mila americani sono morti di influenza. In media ne muoiono tra i 27mila e i 70mila all’anno. Ma non chiudiamo niente, la vita e l’economia vanno avanti. In questo momento ci sono 546 casi confermati di coronavirus, con 22 morti. Pensateci!”. Mentre gli Stati Uniti affrontano un’emergenza che è più grave di qualunque altra abbiano mai affrontato a memoria d’uomo, la differenza nel modo in cui hanno risposto Washington e Albany è surreale. Le conferenze stampa giornaliere di Cuomo, 62 anni, governatore dello stato più colpito dal virus, sono diventate un appuntamento fisso non solo per i newyorkesi ma per tutti gli americani che sono spaventati e vorrebbero qualcosa che anche solo assomigli a una leadership nazionale competente. Per essere un politico che non è mai stato particolarmente noto per le sue buone maniere, Cuomo è emerso come una strana fonte di rassicurazione in questi tempi incredibilmente incasinati – l’unico adulto che parla chiaro nella stanza.

L’abbassamento degli standard dell’era di Trump ha fatto sì che ogni minima espressione di competenza da parte di un politico lo faccia apparire come Winston Churchill. Per cui il semplice fatto che Cuomo si affidi ai dati e alle opinioni degli scienziati nelle sue azioni e che abbia la capacità di dimostrare un minimo di empatia umana può sembrare enormemente rassicurante. Anche se New York è unica tra le città americane in termini di densità di popolazione e centro nevralgico degli spostamenti internazionali – due cose che, insieme alla terribile risposta del governo federale continuata anche dopo che Trump ha dichiarato la pandemia emergenza nazionale,  avrebbero reso qualsiasi tentativo di contenimento a livello cittadino estremamente difficile – le decisioni di Cuomo di chiudere le scuole e di emanare un’ordinanza per obbligare i cittadini a stare a casa sono arrivate più tardi che in altri stati con focolai di contagio più piccoli. In Ohio, per esempio, le scuole sono state chiuse tre giorni prima che a New York, nonostante ci fossero solo 5 casi confermati. In California, l’ordine di restare a casa è arrivato tre giorni prima che a New York, anche se New York aveva sei volte più casi. 

Ma come comunicatore, Cuomo ha colto l’occasione e si è dimostrato particolarmente bravo ad accompagnare gli spettatori attraverso i problemi quotidiani e le ondate di cattive notizie, offrendo squarci realistici di speranza senza mai mettere sul piatto il pensiero magico. Ha condiviso storie personali sulla sua famiglia e sul fratello minore Chris, giornalista della CNN, che è risultato positivo al test per il coronavirus, e mostrato un livello sorprendente di calore e di umorismo per essere uno che, come ha scritto nella sua autobiografia, i media di Albany avevano soprannominato il “principe delle tenebre” o “Darth Vader”. «Andrew ha sempre avuto due lati», racconta Michael Shnayerson, autore di The Contender, una biografia di Cuomo del 2015. «Un lato affascinante che viene fuori nei momenti di crisi – è stato fantastico durante l’uragano Sandy, quando andava in giro per la città di notte controllando la situazione in tutti i punti più colpiti e guadagnandosi l’acclamazione della gente di ogni colore politico – ma è anche un governatore noto per essere brutale con i suoi sottoposti e spietato con i suoi rivali».

Suo padre, Mario Cuomo, tre volte governatore di New York, era considerato uno dei più grandi oratori politici della sua generazione, un intellettuale la cui libreria conteneva opere di Aristotele, Marco Aurelio e Teilhard de Chardin. Andrew, invece, «preferisce frasi brevi e immagini semplici», ha scritto Jonathan Mahler in un profilo del 2010 sul New York Times Magazine, quando Cuomo stava per vincere le elezioni da governatore. «A differenza di suo padre lui non esprime valori, non si richiama a ideali, non trasmette visioni. Come un meccanico che tira fuori la testa da sotto la macchina che sta aggiustando, lui ti dice cosa c’è che non va nel motore e come te lo metterà a posto».

Secondo di cinque figli, Andrew Cuomo è cresciuto a Hollis, nel Queens, un quartiere del ceto medio dove i suoi nonni, immigrati dalla Campania, si erano stabiliti e avevano aperto un negozio di alimentari. Come Trump, Andrew ha cominciato a lavorare in famiglia, gestendo la prima campagna di suo padre per il ruolo di governatore e, dopo che Mario è stato eletto, facendogli da consigliere per uno stipendio simbolico di 1 dollaro all’anno. Aveva 21 anni. Shnayerson dice che il rapporto tra lui e suo padre era «quasi shakespeariano: Andrew era, fin dall’inizio, sempre alla ricerca diapprovazione, e suo padre non gliela dava mai».

Nel 1990 Cuomo ha sposato Kerry Kennedy, una delle figlie di Robert F. Kennedy. (Hanno avuto tre figlie e hanno divorziato nel 2005; di nuovo, alla Trump, la loro separazione caotica ha alimentato i tabloid di New York). È diventato Segretario all’edilizia e allo sviluppo urbano sotto Bill Clinton. Come governatore, Cuomo si è convertito al clintonismo, lasciando la filosofia di suo padre influenzata dal New Deal per una Terza Via più liberale. I suoi critici progressisti hanno attaccato l’austerità dei suoi budget e la sua avversione per l’aumento delle tasse, puntando il dito sui problemi della metropolitana di New York, controllata da Cuomo, e sui tagli alla sanità che hanno contribuito a chiudere diversi ospedali. La deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez ha attaccato il governatore per la sua decisione di rispondere ai problemi economici scatenati dalla pandemia con una moratoria di tre mesi sui pagamenti dei mutui ma senza fare lo stesso per gli affitti (anche se il governatore ha emanato una moratoria trimestrale sugli sfratti).

Eppure, l’approccio di Cuomo al governo – l’attenzione al dettaglio, il decisionismo, la brutalità – gli ha fatto ottenere un buon numero di vittorie, tra cui figurano l’aver fatto passare una legge sul matrimonio omosessuale nel Senato statale controllato dai Repubblicani nel 2011, l’essere riuscito a mettere al bando il fracking, l’aver ristretto le leggi sulle armi, alzato il salario minimo e reso gratuita l’università per le famiglie che guadagnano meno di 125mila dollari l’anno. 

Rebecca Katz, consulente politico che ha lavorato a stretto contatto con il sindaco di New York Bill de Blasio, un avversario politico di lunga data di Cuomo, e che più tardi ha lavorato per la campagna dell’attrice Cynthia Nixon quando ha sfidato Cuomo nelle primarie del 2018, non è mai stata una fan del governatore. Nonostante ciò, Katz riconosce che Cuomo «ha il vantaggio di comprendere come funziona la comunicazione come nessun altro politico oggi. Trump capisce perché è importante andare in televisione. Cuomo capisce come raccontare alla gente quello che sta succedendo in un modo che sia contemporaneamente sobrio e confortante».

Shnayerson ci vede un calcolo politico. «Cuomo ha visto fin dall’inizio che Trump non è in grado di mostrare empatia», spiega. «E istintivamente o in modo deliberato – per me la seconda – ha cercato di ritagliarsi uno spazio in cui ogni giorno può mostrare quanto Trump sia incompetente e pericoloso. E Trump non ci può fare niente. Non lo può licenziare. Può solo borbottare che Cuomo non è abbastanza grato di quello che riceve dal governo federale».

Per tutta la sua palese ambizione, il governatore ha sorpreso gli osservatori politici non candidandosi alle primarie Democratiche del 2020 e appoggiando ufficialmente Joe Biden fin dall’inizio. Ora che la pandemia ha trasformato Cuomo nel nemico perfetto di Trump e contemporaneamente ha mostrato quanto Biden, che è ormai il candidato Democratico, faccia fatica a far parlare di sé, c’è persino chi chiede di “chiamare Cuomo” – immaginando che un newyorkese schietto sia l’avversario perfetto contro l’altro newyorkese fin troppo schietto alla Casa Bianca.

Qualunque sarà il suo futuro politico, Cuomo è diventato una voce affidabile in un momento di incertezza. Le slide fatte con PowerPoint che mostra alle sue conferenze stampa diventano dei meme. La lenta cadenza delle sue frasi potrebbe entrare in una app di meditazione. In qualche modo è riuscito a costruire un legame con milioni di persone in un momento di crisi e incredibile dolore. Rolling Stone ha parlato al telefono con lui sabato 4 aprile, mentre Cuomo era nel suo ufficio di Albany.

L’ex governatore di New York Mario Cuomo con il figlio Andrew alla festa di compleanno di Andrew a New York, dicembre 1994. Foto Luiz C. Ribeiro/New York Post Archives /(c) NYP Holdings, Inc. via Getty Images

Il Paese ha avuto modo di conoscerti tramite le tue conferenze stampa giornaliere. Come passi il resto delle tue giornate durante la crisi? Ricevi briefing a ogni ora del giorno e della notte?
Sì. Una situazione come questa la devi gestire 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, se vuoi farlo nel modo giusto. Perché si evolve di minuto in minuto. Quindi lavori finché non ce la fai più, dormi 20 minuti e poi lavori ancora.

Con chi ti stai consultando?
Parlo con tutti. Ovviamente ho il mio team che gestisce le cose giorno per giorno. Ma poi le relazioni con il governo federale sono importanti, con il presidente e il vicepresidente. E gli esperti, nazionali e internazionali, l’OMS. E poi si parla con i funzionari locali, perché bisogna mantenerli calmi e coordinati. Si parla con la comunità imprenditoriale. Si fanno due cose in pratica: si gestisce l’operazione, che è un’operazione sanitaria. Quindi decidi come chiudere le scuole, chiudere i negozi. E poi c’è una seconda dimensione che è quella di comunicazione. La gente ha bisogno di informazioni. Hanno bisogno di informazioni corrette. Tutto è fuori controllo, la vita della gente è fuori controllo. Siamo in una situazione mai vista prima. La gente è preoccupata, ansiosa, magari ha perso il lavoro. Si ha paura di uscire di casa, di entrare in contatto con altri esseri umani, ed è probabilmente l’esperienza più alienante in assoluto. Un abbraccio oggi è pericolosissimo. La gente si chiede chi la aiuterà, chi gestirà questo momento, chi sta tenendo le cose sotto controllo visto che per loro sono fuori controllo.

Parlando delle tue conferenze stampa, c’è stato un momento in cui il tuo team ha realizzato di avere la responsabilità di far venire fuori i fatti e rassicurare la gente, non solo i newyorkesi ma tutti gli americani? Un momento in cui avete realizzato che stavate riempiendo un vuoto di leadership a livello nazionale?
No. No. Mai. Faccio le conferenze stampa come le faccio sempre. Capisco la tua domanda. Ma non ho fatto niente di diverso rispetto a ciò che ho sempre fatto. Dimenticati tutta la prospettiva nazionale.

Il numero delle morti a New York è in grande aumento. Anche se pensiamo allo scenario migliore possibile, si parla comunque di una tragedia enorme. E il tuo ruolo primario è di tenere questo numero il più basso possibile. Ma hai anche la responsabilità di confortare le persone, e in questo caso non puoi fare quello che farebbe normalmente un leader, tipo andare ai funerali e abbracciare le famiglie delle vittime. Ci hai mai pensato? 
Beh, senti, nessuno si è mai trovato in questa situazione prima, no? Navighiamo in acque sconosciute. Quindi si usa la propria esperienza, le proprie conoscenze, il proprio istinto, si cerca di sentire la situazione. Nessuno sa darti una lista dei vari passi che bisogna fare. Nessuno sa dirti quanto sia profonda l’acqua in cui navighiamo o dove sono gli scogli. Ma se navighi da anni, sviluppi un istinto che ti aiuta in queste situazioni. Ma allo stesso tempo bisogna semplificare le cose. Dire la verità. Dare alla gente dei fatti. Spiegare quello che stai facendo, perché lo stai facendo. Non mi espongo al pubblico per ostentare sicurezza. Puoi far finta di essere sicuro ma non fregherai nessuno, men che meno i newyorkesi. Loro ascoltano quello che dici e guardano quello che fai, e poi prendono la loro decisione di conseguenza. Dico dove siamo, quello che faccio, quello che ho fatto e quello che ho in programma di fare, e perché lo faccio. Queste sono azioni radicali. Sto chiudendo le scuole. “Perché chiudi le scuole? Voglio che mio figlio vada a scuola”. Questa è la reazione normale. “Beh, lo faccio per questo”. “Ok, ha senso”. Oppure pensano che non abbia senso. Ma sono le azioni e i fatti che alla fine hanno la meglio. Sono cinque o sei settimane che osservano quello che faccio. Per ora penso che la gente pensa che le azioni che abbiamo intrapreso siano sensate e logiche. Ma penso che alla fine tutto stia nei meriti e nella sostanza delle azioni. Non importa quanto spesso fai le conferenze stampa. Se quello che fai non gli sembra sensato, ci metteranno un secondo a perdere fiducia in te. La fiducia si guadagna e non si guadagna a parole.

La risposta alla pandemia mi ricorda la risposta al cambiamento climatico, nel senso che sembra difficile costringere la gente a cambiare le proprie abitudini a causa di una minaccia che esiste ma è abbastanza invisibile. C’è stata una tensione tra la necessità di spaventare le persone per convincerle a stare a casa e la volontà di non creare il panico?
Guarda, non c’è dubbio che un governo è efficace solo nei limiti in cui la gente glielo consente, a meno di non rendere illegali i singoli comportamenti. Questa è una democrazia e le persone hanno la libertà di scegliere. Sentono quello che dice il governo e se sono d’accordo ne seguono le direttive. Se non sono d’accordo, no. Come si può bilanciare questa cosa. Criminalizzare i comportamenti è un modo. Se fai una cosa vai in carcere. Ma a parte quello, rimane una decisione delle persone. Ma hai ragione, la realtà di questo virus è difficile da comunicare e da accettare. Perché è una realtà che non abbiamo mai visto prima. “È come l’influenza spagnola del 1918”. Ok, ma io non c’ero nel 1918. E adesso abbiamo medicine diverse da quelle che avevamo nel 1918. Puoi non credere che quello che è successo nel 1918 possa succedere di nuovo. “Ricordati l’Ebola”. Sì ma alla fine l’Ebola si è risolta in un nulla di fatto. “Ricordati l’H1N1”. Anche quello è stato un nulla di fatto. “Nah, sarò un po’ cinico e scettico, ma penso che su questa cosa si stia esagerando”. E nel frattempo c’erano voci che dicevano che questa cosa era davvero esagerata, che era un complotto politico.

Andrew Cuomo con suo fratello Chris, di 13 anni più giovane, nel 2015. Chris Cuomo, giornalista della CNN, è risultato positivo al coronavirus ed è in isolamento a casa. Foto Jason Decrow/Invision/AP/Shutterstock

Col senno di poi, ti penti della lentezza con cui all’inizio hai gestito la crisi? Tu e il sindaco De Blasio all’inizio avete resistito alle pressioni per chiudere le scuole. E quando il sindaco ha cominciato a chiedere ai newyorkesi di stare a casa, tu sei rimasto del parere opposto per un paio di giorni in più. A che cosa pensi se ti guardi indietro?
No, ogni decisione che ho preso è stata criticata perché era troppo cauta e prematura. Perché era controversa. La gente mi criticava. Ho fatto una zona di contenimento a Westchester, di cui si è parlato male. Contenimento doveva voler dire contenimento del virus. È stata interpretata come contenimento delle persone. Hanno pensato che stessi imprigionando la gente in una certa area. Era il focolaio più grave del paese, e la gente mi criticava. Ho chiuso gli asili settimana scorsa a New York e la gente mi criticava. Le mie decisioni sono sempre state sbilanciate dal lato della sicurezza. Preferisco e preferirò sempre essere accusato di aver sbagliato e perso soldi che di aver sbagliato e perso vite umane. Quindi anche in tutte le altre situazioni precedenti, come gli uragani, ho chiuso le strade, la metropolitana, i negozi. E a volte l’uragano arriva, altre volte non arriva. E se non arriva ti criticano. Posso conviverci. Posso convivere meglio con quello che con la critica che se mi fossi mosso più rapidamente avrei potuto salvare delle vite.

Che cosa pensi della risposta del governo federale per ora? Ieri è stato chiesto al Presidente se poteva assicurare che i newyorkesi avrebbero avuto tutti i ventilatori polmonari necessari e lui ha risposto, “No, avrebbero dovuto averne di più”. Qual è la tua reazione quando senti cose così?
Non posso parlarti di questo adesso, a meno di non andare off the record.

Capisco. Beh, ufficialmente, che cosa mi puoi dire? Trump lo conosci da 30 anni. Il tuo rapporto personale con lui ti ha aiutato a far arrivare a New York tutto l’aiuto di cui c’è bisogno? 
Guarda, non c’è governatore negli Stati Uniti che sia più critico del Presidente di me. Non c’è governatore negli Stati Uniti che sia stato più criticato dal Presidente di me. Quello che gli ho detto di questa situazione è che si tratta di una situazione molto più grande delle questioni politiche e di partito. Lo Stato dovrà fare tutto il possibile, e il governo federale dovrà fare tutto il possibile. Perché lui ha ragione quando dice che abbiamo solo 10mila ventilatori. Lo Stato non ha la capacità di affrontare la crisi da solo. Ci vogliono sforzi del governo federale e sforzi del governo statale. Gli ho detto che se si dimostrerà un buon collaboratore, non avrò problemi a dirlo. E se non si dimostrerà tale dirò anche quello. Ho detto entrambe le cose. E a seconda delle azioni che prenderemo ogni giorno, dirò l’una o l’altra cosa. Questa è la relazione che abbiamo. È trasparente, aperta e sincera.

Tu come governatore pensi di aver fatto abbastanza per impedire la chiusura di molti ospedali? Negli ultimi 20 anni ben 16 ospedali hanno chiuso a New York, e lo Stato ha perso qualcosa come 20mila posti letto. Sei stato criticato da sinistra per i tagli che hai fatto ai rimborsi nelle assicurazioni sanitarie. Come rispondi a queste critiche? 
In questo Stato ci sono più persone coperte dall’assistenza sanitaria che in quasi qualunque altro Stato americano. La copertura è del 95%. Avevamo troppi letti ospedalieri nel nostro sistema sanitario. Ne abbiamo ancora troppi. Il nostro sistema sanitario si sta trasformando in un sistema più olistico, più concentrato sul benessere e sull’assistenza comunitaria, mentre prima erano solo letti in terapia intensiva. Questa è la direzione in cui stiamo andando. Ora, chiudere un ospedale è una decisione molto dura. Dà lavoro a molte persone e diventa un’istituzione nella sua comunità di riferimento. Quindi è dura fare questa transizione. Ma è fuor di dubbio che abbiamo troppi letti d’ospedale quando in realtà ci servirebbero più programmi d’ambulatorio, più programmi di assistenza alla comunità e simili. A Brooklyn abbiamo lanciato un programma per dimostrare questa cosa, per cui tagliamo letti d’ospedale e apriamo cliniche su base locale concentrate più sul benessere e la prevenzione. In altre parole, la sanità non dovrebbe funzionare come qualcosa a cui ti rivolgi solo quando stai così male da aver bisogno di un ricovero. La sanità dovrebbe funzionare come qualcosa che ti mantiene in salute così non hai bisogno di andare all’ospedale. E questa è una politica nazionale, noi la stiamo testando qui a New York, ma è l’orientamento dominante al momento nel Paese. Non si può discutere. È difficile, eh. Mentre per quanto riguarda l’assicurazione sanitaria, oggi abbiamo più persone coperte di quante ne abbiamo mai avute.

I sostenitori del Medicare for All affermano che il fatto che l’attuale sistema Obamacare dipenda dal piano sanitario del singolo dipendente rischia di diventare un problema in tempi di crisi, quando milioni di posti di lavoro vanno persi dall’oggi al domani.
Guarda, la gente usa le crisi per sostenere qualsiasi posizione. Ma questa crisi non dimostra niente se non che il numero di persone che oggi sono state infettate dal virus supera la capacità attuale del sistema sanitario. Non dice niente sul modo in cui il sistema sanitario è progettato o sui fondi che riceve. Si parla della capacità. Abbiamo 50mila letti nello Stato. Gli infetti sono un multiplo di quel numero. Ora, tu puoi dirmi: bene, questi 50mila letti dovrebbero essere finanziati tramite il Medicare for All. Ma il problema è sempre che ci sono 50mila letti per affrontare la crisi. Puoi dirmi, e allora perché di letti non ne abbiamo 100mila? Perché non c’è mai bisogno di 100mila letti in tempi normali. E probabilmente non ne avremo più il bisogno dopo la crisi. Almeno spero. E non è nemmeno questione solo di letti. I letti li troviamo. Sono i maledetti ventilatori. Normalmente non ne servirebbero così tanti, ne servirebbe una frazione, ma adesso abbiamo una pandemia che colpisce il sistema respiratorio e in cui, se non hai abbastanza ventilatori, non puoi fornire un’assistenza sanitaria adeguata. Ma i ventilatori che ci servono oggi sono cinque volte i ventilatori che ci servivano normalmente prima. Come fai a prepararti a una cosa del genere? 

Da governatore, tuo padre non ha mai dovuto affrontare una crisi di queste proporzioni. Ci sono delle cose che hai imparato da lui che ti sono state utili nelle ultime settimane?
Ti giro la domanda. Non c’è niente che io abbia imparato da lui che non mi sia stato utile in qualche modo. Nessuna sfida è troppo grande. Bisogna credere nella bontà intrinseca delle persone. Bisogna credere che governare bene sia una forma d’arte. Bisogna credere che il governo sia il veicolo per mobilitare le capacità di tutti. Bisogna trovare supporto nella famiglia. Io ho mia figlia che lavora con me come io lavoravo con mio padre. Bisogna essere sinceri. Dire alla gente la verità. Loro risponderanno se gli dici la verità e se fai appello alla logica, anche se quello che sentono non gli piace. La fiducia tra un funzionario pubblico e la gente che deve servire è tutto. La fiducia e il rispetto sono tutto. Se ti tocca prendere una decisione difficile e credi sia giusta, devi prenderla, e se la gente se la prende con te per quello, amen, perché devi agire nel modo corretto secondo la tua coscienza e il tuo cuore. Queste sono tutte cose che ho imparato da mio padre. Questo è quello che sto facendo. E quando sei stanco e non ce la fai più, proprio in quel momento devi spingere ancora di più. 

Tu padre una volta ha detto che i politici fanno campagna elettorale con la poesia e governano con la prosa, e si può dire che tu penda più dalla parte della prosa. Le tue conferenze stampa hanno mostrato al pubblico un lato di te più intimo? Ti hanno fatto pensare all’abilità di comunicatore di tuo padre?
No, mio padre non comunicava in quel modo. Mio padre comunicava ispirando, ma lo faceva in modo molto formale. Non parlava mai di cose personali, di se stesso o della sua famiglia o della sua vita o delle sue esperienze. Comunicava in modo molto formale. L’espressione che uso di solito per lui è che era un oratore da stanze grandi, da palco. Dava il meglio di fronte a un pubblico vasto. Quella era la sua arte. Non parlava di cose di famiglia o di esperienze personali nel modo in cui ne parlo io nelle conferenze stampa. Capisci la differenza?

Certo. Il modo in cui hai parlato dell’esperienza della tua famiglia con il virus, per esempio, del fatto che tuo fratello se l’è preso, c’è meno mistero intorno a questa cosa se ci appiccichi sopra una faccia.
Sì. Quello che voglio dire è che mio padre queste cose non le faceva. Non si sentiva a suo agio. Non comunicava in quel modo lì. Hai iniziato parlando di poesia e di prosa: lui era un grande oratore. Sì. Il migliore. Ma non nel senso di cui stiamo discutendo ora.

Cuomo accoglie la nave ospedale USNS Comfort nel porto di New York. Il numero dei morti per il coronavirus in città ha superato quello delle vittime dell’Undici Settembre, con 799 decessi in un singolo giorno. Foto Darren McGee/Office of Governor Andrew M. Cuomo

È vero.
La ragione per cui io comunico così è che tutto questo è già stressante e disorientante in un sacco di modi. Ma probabilmente l’impatto più pesante ce l’ha a livello umano. La gente ha paura per il lavoro, lo stipendio. Il livello umano è quello più sconvolgente. Il livello sociale. E voglio che la gente sappia che non è sola. Non è colpa loro. Non devono sentirsi in colpa. Non devono pensare di star vivendo questa cosa nel modo sbagliato, di essere ipersensibili o di esserlo troppo poco, o che non saranno in grado di gestire la situazione. Non sono soli. Tutti la viviamo allo stesso modo. Io la vivo come loro. Anche io ho paura. Anche io soffro. Anche a me la situazione crea problemi. Non siete solo voi. E credo che sia importante e aiuti comunicare questa cosa. E mostrando i miei sentimenti penso di aver aiutato la gente a capire che quello che sente non è qualcosa di unico ma è qualcosa che sentiamo tutti. 

Qual è stata la cosa più dura per te? A parte ovviamente il lavoro incredibilmente difficile che ti ritrovi a dover fare. Da un punto di vista personale, ci sono persone che non hai potuto più vedere?
Non ho potuto vedere mia madre. Non posso vedere una delle mie figlie. Da un punto di vista personale sono cose molto pesanti. E mi ripeto sempre, che altro dovrei fare? Ci sono altre cose che potrei fare adesso? C’è gente che muore tutti i giorni e io non so che altro fare. E so che domani altre persone moriranno. E non so che altro posso fare. È un peso terribile, un fardello davvero opprimente. 

Una cosa surreale di questa tragedia è che quando si tratta di disastri come un incidente aereo o un terremoto vediamo i volti e i nomi delle vittime. Ma qui per via della privacy e della scala della crisi, moltissime persone che muoiono risultano invisibili. Come fai ad assimilare questa cosa? Hai parlato con i familiari delle vittime?
Sì, l’ho fatto. Guarda, l’altra sera mia figlia mi ha detto, “Perché non vai a dormire? Perché non chiudi gli occhi? Sembri stanco”. E io le ho risposto: “Perché c’è altro da fare”. Sto semplicemente facendo del mio meglio per salvare più vite possibile. Ho accettato che molte persone moriranno. Questo virus è molto efficace a fare quello che fa. È un killer esperto, ed è un killer che prende di mira i più vulnerabili. È codardo, in un certo senso. Non attacca i forti. Attacca i più deboli. E io sono qui per proteggere i più deboli. È il mio lavoro. Lottare per i più deboli. Lottare per chi ha bisogno di una voce. Lottare per chi ha bisogno di giustizia. Sono loro i più colpiti da questo virus. E passo ogni minuto del mio tempo a chiedermi: “Che altro posso fare?” 

Hai sostenuto Joe Biden fin dall’inizio delle primarie democratiche. Sei stato in contatto con lui durante la crisi?
Non ho mai dato il mio sostegno ufficiale a Biden, non l’ho mai dato a nessuno. Ho semplicemente detto quello che penso di lui, cioè che è un uomo straordinario e un leader straordinario. Ci parliamo spesso. Mi dà consigli. Io gli presento delle idee. Ora non è il momento di parlare di politica. Sono sicuro che sta parlando anche con altri governatori e sindaci. Per cercare di essere d’aiuto. Non è il momento di fare altro.

Per ora hai sempre smentito ogni voce sulle tue ambizioni politiche a livello nazionale. Ma in questo momento la cosa è tornata al centro della discussione. Hai sentito qualcuno degli esponenti democratici che vorrebbero darti un ruolo nelle elezioni di novembre?
Ho cose vere da fare e a cui pensare, e quella non è una cosa vera. Io sono il governatore dello stato di New York. È un lavoro che ho scelto io. È un lavoro per cui credo di essere preparato. Credo di poter fare la differenza. E tutti danno per scontato che un politico voglia sempre fare un passo in più sulla scala della politica. Beh, a volte i politici non fanno politica per loro stessi. A volte, forse, un politico pensa davvero le cose che dice. O vuol fare davvero le cose che dice di voler fare. Non è una cosa positiva? Ho detto che se fossi stato eletto avrei fatto il governatore di New York per quattro anni. Punto. Questo è quello che intendo fare. Punto. È così semplice. Bisogna dire quello che si vuole fare. Fare quello che si dice. Farlo con onore e integrità morale. Farlo con abilità. Fine. E si può dormire bene a fine giornata, anche nelle giornate peggiori.

Ti preoccupa che alcuni politici di questo paese potrebbero cercare di trarre vantaggio da questa crisi in modo pericoloso e incostituzionale? Come è successo in Ungheria con Viktor Orbán.
Mi preoccupa che alcuni politici possano cercare di approfittarsi delle persone, manipolare l’opinione e i sentimenti. Mi preoccupa in ogni momento questa cosa. Prima abbiamo parlato di mio padre, lui diceva sempre: “Non mi piacciono i politici come classe”. E io ho capito cosa intendeva. Rispetto alcuni politici, non ne rispetto altri. Ma ho paura del potere dei politici come classe? Sì. Può essere abusato, quel potere. Può manipolare. Ma può anche essere usato per scopi positivi. Quindi bisogna fare quello che si può e dare tutto, è il massimo che si può fare. Non posso salvare la vita di tutti. Ma posso fare tutto il possibile per salvare più vite possibile.

Come ti aspetti che sarà il ritorno alla normalità? Cosa pensi che succederà dopo che avremo superato il picco e quando arriverà l’estate?
Penso che l’economia ripartirà. La strategia per far ripartire l’economia è legata alla nostra strategia sanitaria. Una strategia sanitaria che prevede test rapidi, che consentano a chi è negativo o è guarito ed è immune di tornare al lavoro. I più giovani cominciano a tornare al lavoro prima. Proteggiamo la popolazione più fragile. Quindi ci sono una strategia sanitaria e una strategia economica. E sono legate. Non credo sia una questione di scegliere tra salvare vite e salvare l’economia. Mi rifiuto di accettare questa falsa scelta. Bisogna fare entrambe le cose.

Leggi altro