Arte, musica, scuola. Spettri dello Yemen in guerra | Rolling Stone Italia
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Arte, musica, scuola. Spettri dello Yemen in guerra

Nei territori controllati dai ribelli Houthi, la produzione culturale è alla paralisi. A Sana’a i teatri restano chiusi, mentre la musica e il sistema educativo sono vittime di un’oppressione

Arte, musica, scuola. Spettri dello Yemen in guerra

Foto di Mohammed Hamoud via Getty Images

Sana’a è una città senza voce, stretta nel bavaglio della guerra e del governo degli Houthi. Dalla conquista della capitale dello Yemen da parte delle milizie sciite spalleggiate dall’Iran, ormai sette anni fa, il paese della penisola arabica appare trasfigurato nel paesaggio e nell’anima del suo popolo. Da fine 2014, oltre 24mila raid aerei hanno generato distruzione.

Secondo quanto dichiarato da Medici Senza Frontiere, circa 4 milioni di persone hanno perso le proprie case, mentre 20 milioni sono bisognose di assistenza umanitaria. Ad aggravare il quadro arriva il governo degli Houthi, la cui oppressione culturale di carattere ideologico ha demolito l’animo di una nazione. Dopo aver stravolto alla radice il sistema scolastico dello Yemen, infatti, il governo golpista, che controlla buona parte delle province occidentali del paese, ha imposto una legge marziale al mondo dell’arte. I teatri sono chiusi. Le poche produzioni cinematografiche e musicali che ancora resistono sono soggette a limitazioni che si spiegano nel controllo ossessivo che i ribelli intendono imporre nelle relazioni con l’esterno.

«Le milizie stanno sferrando un colpo che rischia di essere mortale per il mondo dell’arte», confida Amin, uno dei pochi produttori ancora attivi e disposti a parlare. Con il passare degli anni, il panorama artistico di Sana’a appare irriconoscibile. Fin dagli anni Settanta, la capitale è stata uno dei più attivi centri culturali e artistici della Penisola Arabica.

Le case cinematografiche producevano sceneggiati e telenovele che spopolavano oltreconfine. A Sana’a convergevano i maggiori investimenti legati al business del cinema e alla musica. Ora, però, il setaccio della propaganda Houthi sta infittendo le maglie, criminalizzando tutto ciò che non proviene direttamente dalla macchina culturale dei golpisti. Di recente un testimone anonimo ha raccontato al quotidiano Al-Sharq al-Awsat che «gli artisti, siano essi attori o cantanti, non possono dire una parola». Agli attori è fatto divieto di partecipare alle soap opera di case di produzione arabe di paesi che non supportano il colpo di stato dei ribelli Houthi. Le milizie chiedono alle produzioni l’impegno di non vendere telenovele alle emittenti televisive che si oppongono al loro colpo di stato.

Oltre al dirottamento culturale, la propaganda Houthi sta danneggiando un’industria che, seppur in maniera limitata, rimaneva una delle poche risorse economiche di un paese martoriato. «Anche se producessi una musica tradizionale come il Taarab –diffuso in tutto il Medioriente ma anche in Africa e India, caratterizzato da uno stile vivace e gioioso – sarei punito e imprigionato», continua Amin. A contribuire a un’atmosfera sempre più asfittica ci pensano le notizie che circolano sui giornali. Artisti e cantanti sono diventati un target politico.

Irruzioni, perquisizioni e arresti ne hanno coinvolti tanti negli ultimi giorni. Dal ministero della Cultura si apprende che molti artisti sono stati costretti a lasciare le aree controllate dalle milizie per stabilirsi in alcune capitali arabe, dove si esibiscono a matrimoni yemeniti o partecipano a festival d’arte. Coloro che ancora restano sono costretti, così come le stazioni radio, a diffondere le Zawamil, canzoni di guerra settarie che supportano il morale dei combattenti.

In alcune aree poste sotto il loro controllo, si legge sempre su Al-Sharq al-Awsat – le milizie hanno cercato di stimolare la partecipazione dei residenti a una raccolta firme finalizzata a imporre il divieto di cantare e suonare durante i matrimoni. Allo stesso modo, gli Houthi hanno impedito la celebrazione delle cerimonie di laurea nelle università. Quest’iniziativa è culminata in una circolare emessa dal governatore di Sana’a ai direttori generali delle direzioni e ai capi dei consigli locali, nella quale si ordinava loro «di limitare le esibizioni degli artisti in occasione di eventi e matrimoni e incoraggiare invece la consapevolezza coranica nella comunità». Nella circolare è contenuto anche un invito a non avvicinare artisti e performer alle loro occasioni private.

Negli anni, il tessuto culturale dello Yemen è stato aggredito con ferocia. Prima è venuto lo smantellamento dell’intero sistema scolastico e universitario. Un processo intriso di ideologia e favorito da una settaria politica del terrore. Gli Houthi sono riusciti a penetrare sin dentro i gruppi Whatsapp degli studenti considerati “ribelli” e “pericolosi”, scatenando offensive per neutralizzare sul nascere ogni possibile minaccia. A gennaio 2020, le milizie armate avevano fatto irruzione nell’università pubblica di Ibb, la più meridionale delle province interamente in mano agli Houthi.

Un gruppo di studenti era stato prelevato e imprigionato, reo di aver espresso in chat forti critiche sul governo dei golpisti. Solo pochi mesi dopo, altri venti giovani erano stati presi rapiti a Dhamar. Nel tempo, gli Houthi hanno destituito presidi e docenti invisi al governo golpista, rimpiazzandoli con figure più fedeli. Contemporaneamente, hanno trasformato i piani di studio delle università, introducendo corsi finalizzati all’indottrinamento. Così come nelle arti, la cultura yemenita è stata manipolata nella forma e nell’essenza.

Il sistema educativo e le istituzioni che lo rappresentano, sono diventati un veicolo imprescindibile di propaganda. Manipolare gli organigrammi degli istituti, così come la suddivisione per sesso delle aule attraverso divisori, è ora una pratica consueta. Ne è un esempio la vecchia “Babel School” si Sana’a, rinominata “21 settembre 2014”, per omaggiare la data di inizio del golpe frantumò una nazione.

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