Alla fine l’attesa “stretta sui rave” preannunciata dal nuovo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è arrivata. Ieri, durante la prima riunione in Consiglio dei Ministri del governo Meloni, è stato approvato un decreto legge (il primo licenziato dal nuovo esecutivo) che interviene su diverse materie: ad esempio, il decreto ha anticipato al primo novembre la fine dell’obbligo vaccinale per i lavoratori sanitari, ha rimandato di un mese l’entrata in vigore della riforma della giustizia che porta il nome dell’ex ministra Cartabia e ha limitato l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati di mafia e terrorismo che decidono di non collaborare con la giustizia.
La norma più discussa, però, è appunto quella relativa ai rave. In sostanza, il decreto prevede una nuova fattispecie di reato, concependo i rave – intesi come raduni sopra le 50 persone – come fattori da cui potrebbero scaturire delle minacce all’ordine e alla salute pubblica. Il decreto è anche particolarmente duro dal punto di vista punitivo: prevede, oltre alla confisca obbligatoria degli strumenti (le casse e gli impianti audio), una sanzione fino a 10 mila euro e la pena del carcere dai 3 ai 6 anni per chi organizza e partecipa.
Nelle ultime ore, alcune voci hanno sollevato qualche obiezione sull’opportunità di impiegare uno strumento particolare come il decreto legge, che entra immediatamente in vigore e procrastina la discussione in Parlamento e, per questo motivo, secondo la Costituzione, dovrebbe essere adottato soltanto in casi straordinari di «necessità e urgenza». Piantedosi, durante la conferenza stampa di ieri, ha obiettato che «I requisiti di necessità e urgenza nascono dal fatto che l’assenza di una normativa efficace nel nostro Paese ci rendeva particolarmente vulnerabili, come testimonia la cronaca degli ultimi anni».
Altre analisi si sono soffermate sull’eccessiva repressività della norma, che incorpora pene più severe rispetto a quelle previste per reati parecchio gravi – per intenderci: chi partecipa a un rave in Italia potrebbe potrebbe dovere scontare una pena più rispetto a chi commetta violenza privata (reato punito con il carcere fino a 4 anni).
Inoltre, c’è chi ha parlato di possibili profili di incostituzionalità richiamando l’articolo 17 della Costituzione, che garantisce la libertà di riunirsi pacificamente e senza armi. Anche la formulazione estremamente generale presterebbe il fianco a qualche ambiguità: il decreto parla di “raduni con più di 50 persone”, quindi non specificamente di rave: cosa accadrebbe se le maglie larghe della norma dovessero essere sfruttate per interpretare estensivamente e impedire altri tipi di riunioni come, ad esempio, un corteo?
La volontà di intervenire in maniera più decisa e repressiva su raduni di questo tipo era già stata palesata nei giorni scorsi, come reazione al rave party a tema Halloween che, sabato scorso, aveva portato circa 3mila persone (molte giunte dall’estero) a riunirsi in un capannone abbandonato a nord di Modena, zona Cittanova. L’evento, denominato “Witchtek”, era stato segnalato ieri sera da polizia e carabinieri e aveva indotto la regione a prendere alcune misure di sicurezza, come la chiusura di alcune uscite dell’autostrada. Il capannone è stato sgombrato ieri in un clima assolutamente pacifico e collaborativo: molti dei partecipanti si sono fermati a raccogliere la spazzatura dentro e fuori l’edificio occupato.
Rave a Modena, i partecipanti ripuliscono il capannone dai rifiuti #raveparty #rifiuti #localteam pic.twitter.com/BOL21kLZA3
— Local Team (@localteamtv) October 31, 2022
Per Piantedosi, si tratta anche di un’occasione da cogliere per marcare una discontinuità con l’operato dell’ex ministro dell’Interno Lamorgese, accusata a più riprese di avere un atteggiamento troppo permissivo nei confronti di raduni del genere, come accaduto nel caso del Teknival, il free party organizzato a Viterbo nell’estate del 2021 che tanto fece discutere per via dell’incidente costò la vita al ventiquattrenne inglese Gianluca Santiago, affogato nel vicino Lago di Mezzano.