Le parole che l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del Comando generale delle Capitanerie di porto, ha pronunciato questa mattina in un’intervista a Repubblica non vanno prese alla leggera: dopo la tragedia di Crotone, l’imbarazzante scaricabarile relativo alle responsabilità e le frasi irripetibili del ministro Piantedosi, devono stimolare una riflessione importante su come il volto e la percezione pubblica della Guardia Costiera siano cambiate in seguito all’avvento di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, la power couple del populismo italiano, e del primo governo diretto – nella forma, s’intende – da Giuseppe Conte.
C’è stato un tempo, ha spiegato Alessandro, in cui salvare le vite rappresentava il vero vanto della Guardia Costiera: «L’attività della mia Guardia costiera è stata fortunata. Salvavamo centinaia di migliaia di vite umane e nonostante il grandissimo lavoro e lo sforzo immane, per tutti noi era un vanto, un orgoglio portare a terra ogni persona. E soprattutto ti arrivava il riconoscimento, la stima di un Paese intero, persino l’invidia. Ed è stato per tutta Italia un grande arricchimento poter dire: se hai salvato una vita, hai salvato il mondo».
Poi, però, è arrivato il grande scisma del 2018, l’anno in cui una serie di congiunzioni inspiegabili ha portato alla creazione di quello che, fino allo scorso settembre, poteva essere definito (a ragione) come il governo più a destra della storia repubblicana: il mostro bifronte gialloverde.
Da quel momento in poi, sostiene Alessandro, «È cambiato che a un certo punto le nostre motovedette sono diventate i “taxi del mare”, i nostri uomini da eroi sono diventati la cinghia di trasmissione, le nostre navi, come la Diciotti e la Gregoretti, che avevano fatto niente più che il loro dovere salvando i migranti in pericolo, sono state lasciate fuori dai porti italiani». Più in generale, secondo l’ammiraglio, con il Conte I e il nuovo assetto targato Salvini e Di Maio «è cambiato il clima politico, ma sono cambiate anche le regole d’ingaggio ed è cambiata l’immagine stessa del Corpo» e «improvvisamente, l’attività di salvataggio dei migranti è persino scomparsa dalle foto dei calendari del Corpo».
L’avvento di Salvini al Viminale e la retorica anti–ONG forgiata da Di Maio hanno prodotto degli scossoni nella stessa attività operativa della Guardia Costiera, i cui limiti d’azione, spiega Alessandro, «sono sempre stati quelli della zona Sar, ma centinaia di volte ci siamo spinti fuori e nessuno si sognava di bacchettarci». Poi «diciamo che qualche decreto interministeriale ha in qualche modo imbrigliato l’attività. Tutto si muove su un piano non normativo e la Guardia costiera, che prima si spingeva molto al di là delle acque territoriali, è stata in qualche modo ritirata».
Secondo Alessandro, anche la strage di Cutro è il prodotto di un cambio di rotta nella politica dei soccorsi in mare. Il Viminale ha assunto un ruolo strategico nell’assegnazione del porto di sbarco e questo ha spostato l’attenzione dalle esigenze del soccorso a quelle di polizia. «In mare, però, non si fa polizia: in mare si fa soccorso», ha sottolineato. Questa tendenza è iniziata nel 2018, in piena gestione salviniana. È a partire da quel momento che nei rapporti della Guardia costiera, oltre alle persone “soccorse”, cioè i naufraghi, si cominciano ad annoverare quelle “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”, cioè operazioni di law enforcement. I dati forniti nel Rapporto del 2019 sui salvataggi parlano per la prima volta di un aumento esponenziale delle operazioni di law enforcement a scapito di quelle Sar.
La differenza potrebbe apparire superficiale, ma in realtà è assolutamente sostanziale. La sua estrema rilevanza è stata evidenziata da diversi esponenti della Guardia Costiera: nel 2015, il contrammiraglio Nicola Carlone, intervenuto al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, aveva spiegato che «Se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso Sar), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a terra delle persone soccorse». Di contro, se un’imbarcazione «non è ritenuta versare in situazione di pericolo, l’attività di polizia delle autorità dello stato costiero normalmente si limita al monitoraggio della situazione, allo scopo di verificare se la destinazione appaia essere quella di detto stato costiero». La strage di Cutro sembra ricadere in questo secondo caso. Le verifiche della procura di Crotone potrebbero arrivare a capire chi abbia deciso che un barcone carico di 200 persone con mare mosso non fosse in pericolo. Una cosa, però, la sappiamo già: questo clima infame è figlio del populismo Made in Salvini e Di Maio.