Dopo il polverone alzato dalle anticipazioni dell’Ansa di ieri, eravamo tutti in attesa di leggere la tanto discussa intervista che Giorgia Meloni ha concesso al settimanale Grazia. Come ha scritto la direttrice Silvia Grilli, il periodico ha scelto di dedicare una cover alla premier per permetterle di affrontare «tutti i temi che riguardano la libertà incompiuta delle donne».
A prescindere da come la si pensi il tema è coinvolgente per più ragioni, in primis per il ruolo che Meloni, volenti o nolenti, ha finito per incarnare nell’immaginario collettivo nostrano: che ci piaccia o meno, in uno dei paesi più maschilisti d’Europa il tabù del “primo presidente donna” è stato sfatato proprio da lei, un’esponente politica contraria al matrimonio omosessuale, all’eutanasia, all’aborto farmacologico, alla maternità surrogata, all’adozione per single e coppie gay, retrograda ai limiti dell’oscurantismo.
È riuscita a occupare in maniera incontrastata il vertice di un partito intrinsecamente maschile e maschilista (a partire dal nome) – basti pensare che il suo “ufficiale in seconda”, Ingnazio La Russa, si riferisce alle colleghe pronunciando a reti unificate frasi come «Il loro livello estetico è diminuito. È aumentata però la qualità, la capacità. Quelle di sinistra non le guardo».
MA VOGLIAMO PARLARE DELLE ESPRESSIONI DELLA QUEEN FRANCESCA FAGNANI DURANTE L’INTERVISTA A LA RUSSA???? pic.twitter.com/pPvQV6dD8b
— fottutissima (@unpooverthetop) February 23, 2023
Già questa semplicissima premessa rende l’intervista degna di interesse per più motivi. Gli interrogativi da sfatare sono tanti; ad esempio: cosa pensa Meloni del femminismo? La sua è una leadership che imita le modalità maschili per affermarsi e gestire il potere? O, piuttosto, si limita a ignorare e/o superare le categorie del femminile e del maschile?
Meloni aveva già anticipato alcune di queste tematiche nelle pagine di Io sono Giorgia, la sua autobiografia, dove raccontava ad esempio di «quell’assurdo invito di Bertolaso a restare a casa con il biberon davanti al seggiolone» prima delle elezioni del 2016 a sindaco di Roma. In quel periodo la leader di Fratelli d’Italia era incinta, e l’uscita infelice dell’allora capo della Protezione Civile la spinse a non mollare la presa. «Inconsapevolmente Bertolaso era stato un grande motivatore. Non è stata l’ultima volta che ho fatto una cosa solo perché mi era stato detto che non potevo farla. (…) Se dicevano a me, una privilegiata, che dovevo farmi da parte perché aspettavo un bambino, che cosa avrebbero potuto fare a una giovane donna precaria in un call center, al momento della gravidanza?». La chiosa «Persi da candidata, ma vinsi da donna, da mamma».
Partiamo dall’identità di genere: sul tema, le idee di Giorgia Meloni sono chiarissime. Dal suo punto di vista, si è donne anzitutto dal punto di vista biologico. «Oggi si rivendica il diritto unilaterale di proclamarsi donna oppure uomo al di là di qualsiasi percorso, chirurgico, farmacologico e anche amministrativo», ha spiegato la premier. «Maschile e femminile sono radicati nei corpi ed è un dato incontrovertibile. Tutto questo andrà a discapito delle donne? Credo proprio di sì: oggi per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l’essenza, la differenza. Le donne sono le prime vittime dell’ideologia gender. La pensano così anche molte femministe».
Meloni ha ragione: il periodo conclusivo non è stato buttato lì a caso dato che si tratta, sostanzialmente, di una visione che ricalca in toto la visione di femminismo propagandata da associazioni come Arcilesbica, e che ha procurato al gruppo diverse accuse di transfobia. Il succo del discorso è: le battaglie femministe per il diritto all’aborto, all’allattamento in pubblico, a non vedere trattato il proprio corpo come un oggetto sessuale, a non doversi vergognare del mestruo, alle pari opportunità sul lavoro, alla cura dell’infertilità sarebbero incompatibili con le istanze delle donne transgender (un parere condiviso anche da altre donne che hanno finito per inciampare in accuse di transfobia, tra cui J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter). Non a caso, la premier ha incassato l’immediato endorsement di Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica: «Sono d’accordo con Meloni sul fatto che dare la possibilità ad un uomo di dichiararsi donna, al di là di qualsiasi percorso chirurgico, farmacologico e amministrativo, danneggi le donne. Concordo con il fatto che non si può saltare il corpo sessuato, cioè non si è donna essendo di sesso maschile per la sola autodichiarazione, questo nuocerebbe alla realtà e alle donne , ad esempio negli sport femminili o nelle politiche di pari opportunità», ha spiegato. Sul piano comunicativo, ottenere l’appoggio di un corpo intermedio come Arcilesbica è un risultato importantissimo; significa che una parte di femminismo (quello che viene definito “transescludente”) individua in Meloni un esempio positivo: la leader di Fratelli d’Italia è anche la leader informale delle Terf, e potrà fregiarsi di questo titolo per portare avanti le sue battaglie.
Passiamo al secondo punto: la famiglia. Sul tradizionalismo di Meloni sul tema non avevamo alcun margine di dubbio. «È importante per il bene dei figli avere sia un padre sia una madre? È importante per il bene dei figli che i genitori siano di sesso opposto?”, domanda la direttrice del giornale, Silvia Grilli. La risposta della presidente è quella che chiunque avrebbe potuto immaginare: «Ho avuto la fortuna di avere una madre e una famiglia che non mi hanno mai fatto mancare nulla, ma non posso dire che l’assenza di mio padre non abbia pesato nella mia vita. L’ho capito pienamente quando lui è morto, e mi sono resa conto della profondità della sofferenza che il suo vuoto aveva creato in me. Non conosco nessuno che rinuncerebbe a uno dei propri genitori o che sceglierebbe di essere cresciuto solo dal padre o dalla madre. I bambini hanno il diritto di avere il massimo: una mamma e un papà».
Il terzo nervo scoperto non poteva che essere l’utero in affitto, che Meloni etichetta senza mezze misura come la «schiavitù del terzo millennio». «Non mi rassegnerò mai all’idea che possa essere l’esito di secoli di lotte per i diritti delle donne», ha spiegato, aggiungendo che «È la legge italiana a dire che questa pratica non è lecita, non io. Non credo che commercializzare il corpo femminile e trasformare la maternità in un business possano essere considerate delle conquiste di civiltà».
Quando si tratta di giocare sull’ambiguità, Meloni gioca un altro campionato: è una leader iperconservatrice e tendenzialmente maschilista che piace anche a una porzione di femminismo italiano. Ne è perfettamente consapevole, rivendica questo tipo di appoggio, vuole comunicare che la sua lotta è anche la loro lotta. Come ha dichiarato Paola Ricci Sindoni, filosofa e cofondatrice di Scienza & Vita, «È evidente che Giorgia Meloni non sposa la causa del femminismo. Ma è certamente portatrice di un modo femminile di fare politica, attraverso l’espressione di valori tradizionali come la maternità, la famiglia».