Ogni volta che c’è da discutere di una nuova droga entrata in circolazione nel dibattito pubblico – in Italia, ma non solo – i fantasmi grossomodo sono sempre i soliti tre: demonizzazione della sostanza in sé e di chi la usa, senza sforzarsi di capire perché lo si faccia, ma parlando di «trasgressione»; generici avvisi a «fare attenzione ai vostri figli» e ai «giovani» in generale, per un adagio per cui il consumo di «droghe» è roba da ragazzi in cerca di «sballo», specie di quelle nuove perché i giovani, è la loro indole, sono attratti dalle novità; e la ricerca a tutti i costi dei cattivi maestri di turno, a cui da anni spesso corrispondono, guarda caso, proprio per un incrocio di fattori, i trapper.
Non fa eccezione il Fentanyl, a cui il governo italiano ieri ha dichiarato guerra e la cui campagna di sensibilizzazione rispetta tutti gli stereotipi del caso: «viene dall’America» (hic sunt leones), è stato ribattezzato (non da noi, va detto, ma l’abbiamo fatto subito nostro) «la droga degli zombie» perché trasformerebbe chi la usa in una specie di zombie (doppia spunta, ricordate la pubblicità del 1991 dove i drogati avevano gli occhi bianchi?), ed è una minaccia per le nuove generazioni perché i rapper lo esaltano. A parlarne così è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che in conferenza stampa ha fatto un appello alle famiglie per tenere al riparo i propri figli «dai rapper e trapper americani, che hanno testi con messaggi sbagliati sul Fentanyl, che arrivano senza filtri agli adolescenti». E poco importa che due dei tre casi appurati di morte per overdose (anche) da Fentanyl – per quanto proveniente da due storie molto diverse, ed è sempre sbagliato generalizzare – siano quelli di Prince e di Coolio, cioè due artisti non certo di primo pelo. Il terzo è stato Mac Miller.
Chiaro: il Fentanyl, che è un oppiaceo sintetico usato in ambito medico al posto della morfina, visto che è più efficace, e che ovviamente ci mette poco a uscire da farmacie e ospedali, è una minaccia; è più potente dell’eroina e si trova a basso prezzo, e negli ultimi anni negli Stati Uniti c’è stata un’effettiva impennata del suo consumo. Biden ha cercato un accordo con Xi Jinping per fermarne il traffico, genera una facile dipendenza e visto che richiede un dosaggio ridotto proprio per la sua potenza, andare in overdose è relativamente facile. In Italia e in Europa non è ancora davvero una minaccia, ma i paragoni con l’eroina sono concreti e per Mantovano e il Ministro della Salute Orazio Schillaci la ’ndrangheta avrebbe già cominciato a sondare il campo per venderlo anche qui. Così, si sono mossi prima. E per ricordarci che è una minaccia, di nuovo, soprattutto per i giovani, hanno messo in mezzo anche il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, per il quale una campagna di prevenzione sarà al centro dei prossimi programmi di educazione civica. Il resto lo faranno le autorità, per le quali ha un po’ messo le mani avanti dicendo «è molto dura» indagare sui trafficanti perché usano il dark web.
Niente di nuovo. Ovviamente anche stavolta bisognava trovare un capro espiatorio, e anche stavolta è stato trovato nei trapper e nei loro eccessi, in testi che inneggiano all’uso facile di droghe e al resto che sappiamo. Non è una notizia neanche da noi, se ne parlava già quando Sfera Ebbasta parlava di sciroppi e veniva visto come un invito ai ragazzi, che sono la gran parte dei suoi fan, a drogarsi. Ma il discorso si può allargare anche, per esempio, alle canzoni sulla vita di strada: pure quelle sono un invito a prendere in mano la pistola e a darsi al crimine, se la vediamo così. Gli artisti hanno diverse responsabilità, certo, ma la droga, per dire, ha avuto un ruolo centrale tanto nei brani dei Beatles e dei Pink Floyd (solo per citarne due cari alle vecchie generazioni), o nella creatività di un Damon Albarn, esattamente come il racconto della malavita ha consacrato Scarface tra i film classici di sempre. Sono corsi e ricorsi generazionali, ciascuno ha il proprio linguaggio, e non sta nei brani o nei film il problema.
Per cui, la sensazione è che si sia cercato l’ennesimo capro espiatorio, percorrendo la strada al contrario. Sono decenni che si fanno campagne così: proibendo a prescindere e demonizzando, piuttosto che informando i più giovani (e non solo, di nuovo) dei rischi di certe sostanze. E senza, soprattutto, chiedersi cosa spinga al loro uso – il Fentanyl è molto diffuso nei quartieri più poveri di New York, non sarà una risposta a una situazione di disagio? Non è facile, ma non converrebbe intervenire su quel disagio piuttosto che sulla droga in sé, che tanto prima o poi verrà sostituita da una più forte e a più basso prezzo? Poi certo, le buone intenzioni che stanno alla base di tutto questo, a partire dalla condanna generica di «rapper e trapper americani», non si discutono. Ma se finora non ha mai funzionato – e non ha mai funzionato – c’è da farsi due domande su quanto sia utile sparare su chi fa musica in situazioni del genere.