Domenica la Lega ospiterà Marine Le Pen a Pontida in occasione del tradizionale raduno del partito. La leader dell’estrema destra francese ha annunciato la sua presenza al raduno con un video rilanciato da Matteo Salvini sui propri canali social: «Cari amici italiani è con grandissimo piacere che sarò al vostro fianco a Pontida […] Evocheremo naturalmente il futuro, la gioia di combattere insieme per la libertà, per la democrazia dei nostri popoli e delle nostre nazioni».
Sembra passato un secolo da quando la Lega Lombarda accusava i lepenisti di essere «fascisti come i partiti di Roma», sostenendo che «se in Francia esiste un Le Pen (Jean-Marie, ndr), è soltanto perché la legge elettorale francese è ancora meno democratica di quella italiana». Viene da chiedersi quale sarà la reazione dei vecchi militanti del Carroccio di fronte all’ospitata dell’ultranazionalista nel luogo di culto Pontida, ma in dieci anni anche i leghisti di ferro, le macchiette con elmi e sciarpe verdi, hanno imparato a tollerare i cambiamenti e a obbedire alle decisioni di Matteo Salvini.
Infatti, i malumori per l’appuntamento di domenica non arrivano dalla base: sono gli alleati di governo che hanno subito l’ennesima provocazione del vicepremier, tanto esplicita quanto goffa. Sia Meloni che Forza Italia spingono per l’istituzionalizzazione in Europa dove il Rassemblement National è visto come la pecora nera per il suo programma euroscettico e il rapporto, mai del tutto chiarito, con la Russia di Putin.
Il segretario di Forza Italia Antonio Tajani ha messo il suo veto a qualsiasi forma di collaborazione con Le Pen e Salvini, non potendo attaccare formalmente i compagni di coalizione, continua imperterrito a rivendicare questa “grande amicizia” che mette in imbarazzo la maggioranza.
La questione non è solo europea. È passato quasi un decennio dalla svolta sovranista della Lega, da quando il partito autonomista ha iniziato quel percorso che lo ha visto approdare al sud nel tentativo di egemonizzare il voto di destra sfruttando l’ondata populista che ha condizionato la politica italiana (e non solo) negli ultimi anni.
Una scommessa che ha portato l’ex Lega Nord – ai tempi dell’elezioni di Salvini fissa a un poco lusinghiero 4% – a macinare consensi sui temi più caldi del periodo: uscita dall’Euro, ritorno alla lira, pugno duro sull’immigrazione e fascinazioni putiniane. Per farlo, la Lega che in passato rivendicava la sua “coscienza partigiana” ha corteggiato la galassia dei movimenti neofascisti finché, una volta arrivata al governo, si è ritrovata vittima di quel meccanismo naturale che l’ha costretta ad abbassare i toni e accantonare le rivendicazioni più radicali.
Questa strategia che nel 2019 ha portato il partito di Salvini sopra il 30% dei consensi ha avuto un testimonial d’eccezione, Marine Le Pen. L’estremista francese è stata considerata a lungo il volto vincente del sovranismo, la donna che ha trasformato un partito di naziskin in un movimento discusso sulla stampa internazionale, concorrente fisso negli ultimi ballottaggi presidenziali e destinato a cambiare profondamente la politica europea.
Poco importa se il Rassemblement National nella sua storia recente sia riuscito a collezionare solo sconfitte, basta il racconto che gli è stato cucito addosso per dargli un senso di autorevolezza, specialmente per il pubblico italiano. Salvini ha sfruttato l’alleanza con Le Pen per accreditarsi come l’unico vero sovranista italiano, il duro e puro che combatte l’establishment nonostante gli alleati e se qualcuno prova a fargli notare che la Lega negli ultimi cinque anni è stata parte integrante di tre governi (con i Cinque Stelle, con Draghi e ora con la coalizione di centrodestra) corrono in suo soccorso i fedelissimi, convinti che “il capitano” abbia dovuto cedere di fronte alle necessità del momento. Non tutti, i tempi del 30% dei consensi sono già lontani.
Per spiegare questa nostalgica difesa di Le Pen – Salvini ha già detto agli alleati che non rinuncerà all’eurogruppo con l’estrema destra francese – bisogna guardare allo scontro perenne con Fratelli d’Italia, il partito che ha approfittato del calo della Lega per vincere le elezioni e diventare l’azionista di maggioranza dell’esecutivo.
Fratelli d’Italia ha recentemente dichiarato che l’uscita dall’Europa è impensabile e questo, come la condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, ha creato malumori tra la base che non riesce ad accettare il percorso di autolegittimazione voluto da Meloni e i suoi dirigenti, un’occasione che Salvini vuole sfruttare per erodere consensi a destra sperando di tornare a contare qualcosa.
È così che Le Pen diventa essenziale per l’immagine del purista Salvini, ma l’operazione rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. Marine Le Pen non è più la macchina da guerra che ci è stata raccontata qualche anno fa: i fallimenti del Rassemblement National sono bastati a depotenziare il messaggio sovranista così come il suo scollamento dalla realtà, anche alle ultime elezioni il Rn è arrivato al ballottaggio, ma vista la sua incapacità di andare oltre la propaganda del 2016 non ha mai avuto serie prospettive di successo.
Basta leggere qualsiasi intervista recente di Marine Le Pen per capire come il suo modello sia anacronistico, una macchietta più che una minaccia. La Lega che non accetta il cambiamento dei tempi pensa di essere un movimento capace di cavalcare l’elettorato più radicale, in realtà è solo un fastidio per gli alleati e per il pubblico costretto a risentire, nel 2023, gli slogan che hanno fatto la sua fortuna nel 2014. Questa volta gli slogan sono più ridicoli perché l’Europa è brutta, ma non possono dire di volerne uscire, perché la Russia è un modello di governo, ma è meglio dirlo sottovoce per non rischiare conseguenze internazionali. Domenica a Pontida hanno preparato la festa della Lega e, senza rendersene conto, il funerale del sovranismo.