I due maxischermi di piazza Duomo ingigantiscono il poliziotto in alta uniforme che per l’addio a Berlusconi suona con la tromba il silenzio d’ordinanza. Si sentono solo battere svogliatamente sul selciato di corso Vittorio Emanuele gli zoccoli di due cavalli bruni montati da altrettanti poliziotti in maglietta. Un gruppo di persone vestite a lutto li segue e con i cellulari fotografa senza posa gli alti sederi codati degli animali.
Sopra le bandiere sventolanti del Milan e di Forza Italia svetta la statua equestre del re a cavallo, macchiata dalla vernice gialla dei ragazzi di Ultima Generazione. È sommersa da altri ragazzi, con gli zaini, che inneggiano “a Silvio”. Sono aggrappati al becco e alle ali dell’aquila che decora il piedistallo. La testa e il corpo di Vittorio Emanuele sono invasi da orde di piccioni del suo stesso colore ramato, se fossero spruzzati di giallo sembrerebbero parte della statua.
Sul maxischermo passano le immagini dei figli di Berlusconi, impettiti e addolorati.
Lì sotto, un sessantenne con il cappellino da baseball staziona sulla propria graziella. Un parrocchetto verde-azzurro è appollaiato sul suo avambraccio. A chi gli chiede se è possibile accarezzare il pappagallo lui risponde: “Decide lei”.
Sul maxischermo passano le immagini di Marta Fascina che piange.
Il pappagallo si chiama Jo. “Prima li chiamavo tutti Billy”, spiega il padrone del parrocchetto. “E morivano tutti. Allora mio figlio mi ha detto: cambia nome, papà. Così questo l’ho chiamato Billy Joe. Solo dopo ho capito che era femmina”. Il signore abita in zona Niguarda, è venuto in bici, anche se non l’ha mai votato, specifica, “per riconoscenza”. “Perché Berlusconi ha rappresentato l’Italia nel mondo. Solo lui ha fatto stringere la mano a Bush e Putin. Se non fosse stato malato lui sarebbe andato in Russia e adesso ci sarebbe la pace”.
Gli altoparlanti diffondono la voce di monsignor Mario Delpini che ringrazia per il supporto e la vicinanza il cardinale Matteo Maria Zuppi.
Jo gracchia: “Zuppa! Zuppa!”.
Il maxischermo mostra il feretro che esce dal Duomo. Dal monumento equestre risuonano le voci dei ragazzi: “Vai Silvio, vai Silvio!”
I piccioni volano via, raggiungono in aria i propri simili, che tracciano traiettorie stanche, infastidite: la piazza è occupata e loro sono grassi di mangime ed era da mesi che non erano costretti a volare così tanto. Sopra lo sciamare dei piccioni romba un elicottero di sorveglianza.
I ragazzi con lo zaino intonano: “C’è solo un presidente, un presidente!”
A questo grido, un cocker abbaia.
Le rondini saettano appena sopra le teste della folla. Queste centinaia di tonnellate di carne umana hanno attirato nugoli di zanzare. L’ombrellino parasole con fantasia a fiori di ciliegio di una signora è deturpato dagli escrementi già secchi degli uccelli.
Un settantenne in camicia azzurra e mocassini, con un beagle al guinzaglio, inoltrandosi nella folla trascina il cane dietro di sé e gli fa: “Silvio, andiamo a trovare il nonno”. Un quarantenne tatuato e abbronzato, con un bastardone nero tra le gambe, dice al padrone di Silvio: “Non ci credo”. Allora il signore gli avvicina agli occhi la medaglietta di ferro, a forma di osso, del cane: Silvio. Intanto il bastardone nero cerca di copulare col beagle, che forse è femmina pure lei.
Il padrone di Silvio vuole che Silvio si metta in posa di fronte ai latinoamericani che reggono un cartellone a favore di smartphone: “Berlusconi + riposa in pace * condoglianze da tutti i peruviani *”. Silvio azzanna un’asta senza bandiera appoggiata sopra lo zaino a terra di un peruviano.
I ventenni e trentenni del monumento continuano a chiamare i cori, fino a “un ultimo applauso per Silvio, uno di noi”.
Un punkabbestia invecchiato, calvo e con i dread sulla nuca, grida, con la lingua ingrossata dal vino in cartone tra le sue mani, che Silvio non è per niente uno di loro, che Silvio loro li avrebbe schifati, che Silvio ha avuto fortuna solo perché all’estero “Milan” lo capiscono tutti mentre con “Inter” capiscono “Winter”. Il suo cane infila la testa tra due transenne che dovrebbero proteggere il monumento e lecca il polpaccio di un ragazzo con il tricolore dipinto sul volto.
Man mano che la folla abbandona la piazza, i piccioni si posano tra le bottiglie di birra e tra i bicchieri di plastica per beccare le briciole di pane e le patate fritte che sono rimaste sul selciato di piazza Duomo dopo il funerale.