Chi non vive sotto un sasso sa perfettamente che a Verona, per anni, la saldatura tra neofascismo, leghismo e cultura da stadio è stata praticamente inscindibile.
Gli ultrà più irriducibili dell’Hellas non sono altro che il frutto più maturo di questa miscela tossica: negli anni, tra esposizioni di croci celtiche e svastiche, si sono resi protagonisti di episodi di cronaca ai limiti dell’umana comprensione.
Per i pochi fologorati sulla via di Damasco, ecco un piccolo riepilogo. Come ricorda Valerio Moggia, il 22 aprile 1989, in occasione dell’amichevole della Nazionale contro l’Uruguay, l’inno italiano venne sommerso di fischi, così come il minuto di silenzio previsto per la tragedia di Hillsborough, avvenuta soltanto sette giorni prima; sia lo stadio che il municipio vennero tappezzati di scritte contro i meridionali, esprimendo appieno il crescente spirito leghista del Veneto. La Federcalcio, allora, decise che la Nazionale non avrebbe mai più giocato a Verona.
Le varie anime della città, ricorda sempre Moggia, reagirono in un modo surreale e incomprensibile, a partire dall’assessore allo sport, il democristiano Graziano Rugiardi, che cercò di minimizzare l’accaduto asserendo in modo lapidario che, alla fine della fiera, queste cose «rientrano nella logica del calcio». Anche l’informazione locale prestò il fianco a queste distorsioni della realtà: L’Arena, il principale quotidiano veronese, giunse a considerare i biasimi dell’opinione pubblica nei confronti degli ultrà come un attacco alla città, perché «I veronesi non vanno confusi con chi ha fischiato l’inno» (come se ci fosse bisogno di specificarlo). Mario Zwirner, conduttore del telegiornale di Tele Nuovo, si spinse a dire che «Non siamo il pubblico beota del Meridione», adducendo la colpa ai calciatori che prendono troppi soldi, invece che ai tifosi.
Sette anni dopo, durante un derby col Chievo, il gruppo “Banda Loma” protestò contro la scelta della società di voler acquistare il calciatore olandese Maickel Ferrier impiccando un manichino con le sue sembianze ed esponendo il messaggio «El negro i ve la regalà. Dasighe el stadio da netar» («Il negro ve l’hanno regalato. Dategli lo stadio da pulire!!», nda). A sorreggere il fantoccio penzolante erano due uomini incappucciati, conciati come membri del Ku Klux Klan. Non mancava un secondo striscione, in inglese, che recitava prosaicamente: “Negro go away”, e neppure cori del tenore di “ll negher portalo in cantier” (“Il negro portalo in cantiere”, nda). Una vergogna di Stato rimasta impunita per lo spazio di ben 38 minuti, che portò Ferrier a stracciare il contratto e trasferirsi alla Salernitana.
Ma analizziamo il passato recente: nel 2015, durante un Palermo-Verona, i tifosi scaligeri in trasferta intonarono “Mattarella teron” per augurare il meglio al nuovo Capo di Stato eletto il giorno prima. Due anni dopo, durante la festa per la promozione in Serie A dell’Hellas, il capo ultrà Luca Castellini salì sul palco dicendo scherzosamente che il garante della serata altri non era che Adolf Hitler in persona. Per l’occasione, i tifosi intonarono questo coro: «È una squadra fantastica, è una squadra fatta a svastica. Che bello è, allena Rudolf Hess».
Proprio la figura di Castellini meriterebbe un’analisi a parte: basta una ricerca di pochi secondi su Google per prendere visione del suo curriculum. Esponente di spicco e, per anni, responsabile di Forza Nuova in una delle città italiane dove l’organizzazione fondata da Roberto Fiore e Massimo Morsello è più forte, nel 2012 si è candidato come sindaco della città, coltivando l’ambizione di superare a destra Flavio Tosi e portando avanti una campagna elettorale intrisa di avversione verso i migranti, posizioni reazionarie sulla famiglia e deliranti appelli in direzione di un’uscita dall’Unione Europea.
Durante un Verona-Brescia giocato a inizio novembre 2019, Mario Balotelli calciò la palla contro la Curva e dichiarò di averla sentita intonare cori razzisti all’unisono. A fine partita, la risposta di Castellini fu questa: «Quegli ululati sono di quattro persone e sono stati sentiti solo da chi ha fatto il video. Balotelli li ha sentiti nella sua testa. Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere del tutto italiano. Tifoseria del Verona razzista? Ce l’abbiamo anche noi un negro in squadra, che ha segnato ieri, e tutta Verona gli ha battuto le mani. Ci sono problemi a dire la parola negro? Mi viene a prendere la Commissione Segre perché chiamo uno negro? Mi vengono a suonare il campanello?».
Anche in quel caso, a Verona si creò un massiccio blocco tra società, politica e media per sminuire l’accaduto. «Oggi non c’era nessun ululato razzista, grandi fischi, sfottò, nei confronti di un grande giocatore e nient’altro», dichiarò dopo partita Ivan Juric, allenatore dell’Hellas. «Noi tutti oggi, al Bentegodi, non abbiamo sentito alcunché. Posso solo dire che i tifosi del Verona sono particolari. Hanno un modo di sfottere gli avversari carico di ironia ma il razzismo qui non esiste», rincarò il presidente della società Maurizio Setti.
L’Arena scrisse che «i cori razzisti non c’erano quando Balotelli ha avuto la rabbiosa reazione». Il sindaco del tempo, Federico Sboarina, giunse ad affermare che «Oggi allo stadio c’ero e non ho sentito alcun insulto razzista. Ciò che ha fatto Balotelli è inspiegabile perché senza alcun motivo ha avviato una gogna mediatica su una tifoseria e una città». Tre consiglieri comunali leghisti, Stefano Bianchini, Daniele Perbellini e Nicolò Sesso, parlarono di una «sceneggiata folcloristica» e annunciarono una mozione comunale per «chiedere i danni di immagine a chi cerca di farsi pubblicità a danno di una città». Riferendosi, incredibilmente, a Mario Balotelli, non alla tifoseria. Un’operazione di insabbiamento surreale, portata avanti mentre sui social circolava un video girato dalla curva dell’Hellas in cui venivano intonati versi da scimmia rivolti al calciatore.
Per chi conosce questo retroterra, i fischi che ieri hanno interrotto il minuto di silenzio in memoria di Giorgio Napolitano (e Giovanni Lodetti) sembrano quasi un gesto di buon gusto. Va da sé che una generalizzazione dell’intera tifoseria veronese sarebbe impossibile e anche fuorviante. Che una parte degli ultrà dell’Hellas Verona non siano solo uno spot negativo per lo sport italiano, ma più in generale per il Paese, però, è una certezza. Per fortuna, la reazione immediata di San Siro ci lascia ancora qualche speranza per un futuro migliore, per il calcio e non solo.