Rolling Stone Italia

Fare il sindaco a Predappio non è un mestiere facile

Com'è amministrare una città che ha costruito un'intera economia sul ricordo nostalgico del Duce? Lo racconta l'ex sindaco Giorgio Frassineti nel documentario 'The Mayor - Me, Mussolini and the Museum'

Foto di Simone Donati/TerraProject per il Washington Post.

«Per discutere criticamente di certe questioni servono luoghi e simboli. Il luogo è Predappio, il simbolo è la Casa del Fascio». Parole di Giorgio Frassineti, ex-sindaco della città natale di Benito Mussolini e promotore di un progetto ambizioso, raccontato nel documentario The Mayor – Me, Mussolini and the Museum.

La Casa del Fascio, costruita a metà anni ‘30 e utilizzata come sede locale del Partito Nazionale Fascista, è un simbolo decadente del passato della città, abbandonata a sé stessa e svuotata da ogni funzione di memoria storica. L’idea di Frassineti è di riempirla di contenuti culturali, strutturando al suo interno un museo di critica storica al fascismo, per dare prova di poter attrarre un turismo diverso rispetto a quello dei nostalgici che ciclicamente prendono d’assalto Predappio con slogan del ventennio, camicie nere e saluti romani.

Sabika Shah Povia ha girato il film insieme a Piergiorgio Curzi. È stata a stretto contatto con Frassineti, voce narrante che porta per mano lo spettatore durante un’ora abbondante di racconto, e ha cercato di comprendere i motivi che hanno spinto quest’uomo a intestarsi un progetto così dispendioso. «Con il museo voleva creare un antidoto alla presenza dei neofascisti a Predappio», dice durante la conferenza stampa precedente alla proiezione del film, presentato al Biografilm Festival di Bologna a metà giugno. «Volevamo fare un reportage su una delle marce che si tengono in quella piccola città, ma quando abbiamo incontrato Frassineti ci siamo resi conto che ciò che avevamo in mente era riduttivo, dovevamo documentare una storia più ampia».

Frassineti, in effetti, buca lo schermo, come ha dimostrato di recente anche in una puntata del podcast Tintoria.

Ha la spontaneità del romagnolo, a cui abbina una certa lucidità nelle analisi politiche. In una scena del documentario spiega quale struttura ha in mente per il museo, una specie di girone dantesco che si conclude in una stanza senza finestre, in cui un senso di oppressione spaziale accompagna il racconto dei dettagli più tragici dell’esperienza fascista, dalle leggi razziali all’alleanza con Hitler, dal colonialismo alla Repubblica di Salò. «L’ultima cosa che vuoi fare, dopo questo percorso, è andare nel negozio di souvenir a comprare un accendino con la testa di Mussolini». Semplice, lineare.

Non tutti sono d’accordo con il suo approccio. In Italia la memoria relativa al ventennio è divisa, sembra impossibile trovare una prospettiva che metta d’accordo tutti. D’altronde, come ha ricordato in varie occasioni Alessandro Barbero, sperare di creare una memoria condivisa è impossibile. «Avevo due nonni fascisti, uno è stato ucciso dai partigiani. Mia zia quindi era convinta che i partigiani fossero dei criminali. Sarebbe stato inutile mettersi a discutere con lei di questo», dice il professore torinese in questa intervista. Ricorda anche, però, che si deve fare lo sforzo di indicare chi stava agendo per il male dell’umanità. E condannarlo.

Le dinamiche di posizionamento politico, soprattutto in un’epoca di polarizzazione come questa, rendono difficile questo processo. Tanto che Roberto Canali – successore di Frassineti, attuale primo cittadino e primo sindaco sostenuto dalla destra nella storia repubblicana di Predappio – ha deciso di non portare avanti il progetto del museo. «È un argomento controverso, non abbiamo la forza per sostenerlo a Predappio. Dobbiamo lavorare per qualcosa che unisca, non che divida», lo si sente dire in una scena del documentario.

Predappio è un luogo in cui una certa divisione ideologica emerge in modo particolarmente esplicito. Shah Povia lo conferma con un aneddoto. «Il giorno della liberazione di Predappio dai fascisti corrisponde con l’anniversario della Marcia su Roma. Se da un lato l’Anpi festeggia organizzando un pranzo a base di tagliatelle antifasciste, dall’altro a Villa Carpena (una delle residenze di Mussolini, ndr) si preparano i bucatini fascisti».

Di fronte alle attività dei nostalgici in questa piccola città a volte è difficile trattenere una risata: il tragico diventa farsa. Come quando i registi avvicinano la camera ai protagonisti di un raduno fascista, registrando le dichiarazioni di uno degli organizzatori della manifestazione che ricorda a tutti i camerati di non fare saluti romani in pubblico, probabilmente per evitare polemiche. “Facciamo vedere l’ordine e la disciplina”, dice, ed è difficile non sorridere. Nel film non ci si sofferma molto sulle manifestazioni dei nostalgici; “abbiamo voluto dargli poco spazio” spiega Curzi, co-regista. “Penso che queste parate siano destinate a sparire, c’è anche stato un decremento di partecipanti negli ultimi anni”.

The Mayor ha avuto spazio in diversi festival ed è stato trasmesso in televisione in Francia e Germania (grazie alla co-produzione di Arte). E in Italia? La Rai ha partecipato alla produzione, ma al momento non pare intenzionata a introdurlo nel proprio palinsesto. «Appena dici la parola fascismo molti fanno tre passi indietro, poi forse trovi qualcuno ch ti sostiene», sottolinea Shah Povia. «La Rai ha investito denaro su questo progetto, eppure lo tiene bloccato. Abbiamo chiesto motivazioni, ma poco si è mosso. C’è un’alta probabilità che The Mayor non vada in onda. Cercheremo di farlo girare ai festival e magari su qualche piattaforma». Perché all’estero un lavoro simile riscuote successo e nel nostro paese no? «Negli altri paesi si parla di questi temi, da noi per niente. I tedeschi sono stati costretti a fare i conti con la loro storia. All’Italia ancora oggi manca questo passaggio».

La sala del cinema Lumière, che ha ospitato la proiezione del Biografilm Festival a Bologna, era piena. Contatto Shah Povia per messaggio e le chiedo se, secondo lei, questa ampia partecipazione servirà a sbloccare la distribuzione del film. «Alla prima proiezione, in Francia, ci chiesero come aveva reagito il pubblico italiano al documentario. Finalmente potremo rispondere a questa domanda. Se in tanti lo vedranno e apprezzeranno, forse anche la Rai sarà spronata a darci risposte più concrete». Al termine del messaggio c’è una faccina sorridente.

Iscriviti